Brexit, e i numerosi altri episodi di sfaldamento dell’Unione europea hanno tolto il velo che annebbiava la vista ai più: l’UE, e con essa l’idea stessa di Europa, è in crisi profonda, e forse irreversibile, anche perché non ha saputo o voluto fare i conti con quel fenomeno che chiamano Migrazioni (segue)
Chiariamo subito che per noi l’Unione europea è la forma che è stata imposta all’idea di Europa vagheggiata dagli esuli di Ventotene, ed è una forma alquanto diversa da quella che l’Europa antifascista del dopoguerra poteva immaginare. È, istituzionalmente, l’Europa dei governi e non quella dei popoli, e i governi sono il tramite coi poteri reali dell’economia e della finanza foggiate dall’ideologia della Mount Pelerin Society; secondo fonti attendibili ha radici ancora più profonde e perverse.
Sostiene Riccardo Petrella, fondatore dell’Università del bene comune e appassionato attivista di un’altra Europa, che se da una parte (da destra) si minaccia l’uscita dall’Europa, dall’altra (da sinistra) si dovrebbe lavorare per l’uscita dalla forma dell’UE e l’apertura di una fase costituente per un’altra Europa. Noi crediamo che i flussi migratori che attualmente premono ai nostri confini siano l’occasione, per la rifondazione dell’Europa, e costituiscano una sfida ineludibile per chi voglia contribuire a fare un passo verso una società migliore. Gli scritti raccolti nel recente libro di Guido Viale argomentano con efficacia questa tesi.
Cominciamo con le parole. Da tempo adoperiamo la parola Esodo invece di Migrazioni. Ci sembra infatti che il fenomeno attuale non soltanto non derivi dalla libera scelta di persone a spostarsi sul territorio, ma sia una fuga nella quale interi gruppi di popolazioni caratterizzati da unità di lingua, di credenze, di abitudini, di cultura, di storia si spostano sotto l’imperioso obbligo di ritrovare le condizioni per una sopravvivenza. È per questo abbiamo intitolato “EsodoXXI”, la cartella di eddyburg in cui raccogliamo numerosissimi testi su questo argomento.
Il dramma dei migranti fu avvertito in Europa dopo le stragi al largo di Lampedusa nel 2004-2005, ma era dalla fine del secolo scorso che sulle soglie della Fortezza Europa i profughi cominciavano a morire. Le responsabilità dell’Unione europea di fronte a un evento che stava assumendo dimensioni bibliche e il carattere criminoso del respingimento diventavano evidenti a tutti, ma non alle teste di paglia dei governanti europei.
Erano gli anni in cui l’Europa si dibatteva nelle spire della crisi finanziaria del 2007. Ci colpì il fatto che molti degli autori le cui idee in proposito condividevamo (citiamo fra tutti Luciano Gallino e Guido Viale, Piero Bevilacqua e Tonino Perna, Franco Arminio ed Enzo Scandurra) intrecciavano il tema dell’Esodo con quello di un forte intervento pubblico che si facesse carico direttamente di una serie di problemi del territorio e della società che il Mercato non era in grado di risolvere: meglio, non era e non è interessato a farlo. Si pensava all’assetto idrogeologico, al degrado della copertura vegetale dei declivi, allo svuotamento di aree periferiche rispetto alle linee e aree forti dello sviluppo economico e urbanistico, allo svuotamento di interi paesi dell’Italia collinare e interna, e anche alla scomparsa di mestieri tradizionali legati alla manutenzione del territorio, degli oggetti d’uso e delle stesse persone.
Il riferimento storico era il
New Deal roosveltiano. Costruire circuiti virtuosi tra l
a d
omanda inespressa di lavoro umano che proveniva da una società avvelenata dal capitalismo globalizzato e
l’offerta di lavoro che proveniva dalle regioni devastate dal medesimo attore ci sembrava una ipotesi di lavoro su cui ragionare. Nella piattaforma elettorale della lista “L’Altra Europa con Tsipras” riconoscemmo un’importante ricaduta di quelle posizioni.
Non è quindi per caso che la nostra riflessione sul tema dell’Esodo abbia avuto un importante momento di approfondimento in un’iniziativa della Grecia di Tsipras alla Biennale di Architettura 2016. Grazie a un’associazione internazionale con cui eddyburg aveva avuto interessanti collaborazioni in alcune occasioni (al World Social Forum di Malmö nel 2008 e all’Urban Social Forum di Napoli nel 2012), la ”Internazional Alliance of Inhabitants”, abbiamo partecipato alla programmazioni di una serie di eventi pubblici nell’ambito delle attività organizzate all’associazione degli architetti greci cui il governo aveva affidato la gestione del padiglione. Abbiamo trovato grande vicinanza di intenti e posizioni nella scelta dei temi portanti della partecipazione greca alla Biennale. Questi sono: Crisi della città e crisi della professione di architetto, Crisi delle migrazioni, Spazio come bene comune. Anche il taglio radicale che si intendeva dare a questi temi era vicino alle posizioni di eddyburg.
Il primo evento cui la collaborazione ha dato luogo è l'assemblea che si è svolta il 25-26 giugno (“Industry vs Solidarity) il cui tema generale consisteva nell'analisi critica di due approcci al fenomeno delle migrazioni (lo sfruttamento e la solidarietà) articolato in due sessioni: il 25 al racconto alternativo della crisi dei migranti (“Alternative narrations on the refugee crisis”), il 26 all’Europa come spazio da abitare connettendo l’immigrazione con gli spazi abbandonati. (“Europe as a place to be inhabited: linking Immigration and the cases of abandoned spaces”). L’assemblea si è sviluppata con una serie di interventi programmati, (di Ilaria Boniburini, Paolo Dignatici, ed Edoardo Salzano, di Nikolaos Vasilopulos, Stefano Ferro, Foteini Georgakopoulou, Gianna De Masi) di cui daremo ampiamente conto nelle pagine di eddyburg man mano che saranno pronti i testi in italiano o/e in inglese, e da una serie di successivi interventi dei presenti. Il coordinamento è stato svolto da un gruppo composto da Ilaria Boniburini, Dafne Papadopulos, Maria Sereti e Filippomaria Pontani; quest’ultimo si è fatto carico anche della gestione del dibattito nell’aula e delle conclusioni.
La decisione che è stata presa unanimemente è stata quella di proseguire il dibattito e la collaborazione, approfondendo i temi sollevati, sviluppando l’informazione sugli eventi, evidenziando i punti di differenziazione delle posizioni, contribuendo a rendere più efficaci le iniziative di accoglienza e di sostegno agli esuli nonché, last but not least, svolgendo una costante demistificazione della narrazione corrente di ciò che avviene. Ricordando, con Rosa Luxenburg, che «dire quello che è rimane l'atto più rivoluzionario».