Di cosa parliamo quando parliamo di scali ferroviari
La storia degli scali parte da lontano, dalla metà dell’800. A partire dal 1840 decine di imprese ferroviarie iniziano a realizzare linee sparse sull’intero territorio, e intorno al 1880 entrano in stato di crisi e dissesto.
Lo Stato unitario decide di intervenire: tra il 1880 e il 1905 il patrimonio viene rilevato, le società private sono indennizzate, il sistema ferroviario diventa servizio pubblico. Tutte le aree sono acquistate dallo Stato ed entrano a far parte del demanio ferroviario.
Per quasi cent’anni gli scali svolgono un servizio fondamentale per la mobilità: linea, stazione, interscambio, deposito o manutenzione.
Hanno conformazioni particolari, a volte si integrano nella città, a volte ne rimangono un po’ separati. Beneficiano anche di un involontario aumento di valore, perché situati in posizioni strategiche, all’interno di un tessuto urbano che cambia. Ma si tratta di un valore puramente nominale, perché sono scali, fatti di binari e traversine.
Eppure, nonostante questo, sta prendendo forza una grande mistificazione che racconta una storia diversa. Il pubblico, in questo caso il comune di Milano, si rivolge alle Ferrovie come se queste fossero un privato qualsiasi, dicendo: "Se vuoi costruire degli immobili nelle tue (mie) aree centrali (della mia città) devi lasciarmene in cambio la metà come standard, parchi e servizi. Solo così ti permetto di costruire (palazzi di lusso) e di rivendere al prezzo che vuoi (al massimo di mercato) e farci plusvalenze che potrai utilizzare per ripianare il tuo debito (dissesto), per nuovi investimenti ed in generale per il tuo profitto, visto che sei una S.p.A. e rispondi solo ai tuoi azionisti”.
Si tratta di una operazione fantastica, addirittura meglio di quella di Totò e Peppino che almeno vendevano una cosa non loro, la Fontana di Trevi, ad un turista americano. Le FS vendono ai privati le aree ricevute (gratis) dallo Stato e cedono le aree a standard … al proprietario stesso!
La dismissione della mobilità
Il procedimento di trasformazione avviato sugli scali ferroviari milanesi dice un’altra cosa fondamentale: su quelle aree non verrà più fatta ferrovia. Non sarà più possibile fare attività connesse con la mobilità e lo spostamento delle persone e delle cose.
Il modello è quello di un ottuso sprawl centripeto, teso a saturare tutti gli spazi ancora liberi per realizzare nuovi volumi, rinunciando per sempre a funzioni fondamentali per la mobilità in aree centrali e strategiche.
L’Accordo di Programma
La modifica degli scali ferroviari avviene mediante uno strumento urbanistico tipico della deregolamentazione normativa degli anni ‘80: l'Accordo di Programma (A.d.P.). Si tratta di una convenzione, ma sarebbe meglio dire un contratto, tra una parte pubblica ed una privata, per la definizione di interventi ed opere, con un programma concordato.
La valorizzazione
Alcuni scali sono più scali di altri
Gli scali, secondo l’AdP, sono destinati ad una edificazione intensa, anche se la revisione della giunta Pisapia ha leggermente ridotto i numeri rispetto alla proposta Moratti. Con alcune sottigliezze importanti.
Lo Scalo San Cristoforo, un po' più periferico rispetto agli altri, e quindi con minore valore in termini di rendita, verrebbe destinato interamente a verde. L’edificazione viene condensata sugli altri scali, con meccanismo perequativo. Questo viene presentato come un esito virtuoso della trattativa Comune-FS. In realtà l'AdP sta dicendo con chiarezza che al privato non interessa realizzare case al Giambellino, dove i prezzi sono bassi e maggiori sono i problemi, importa invece il centro città, dove prevede di vendere ad un prezzo elevato.
Lo Scalo Farini, centrale e ambito, sembra destinato a nuovi grattacieli ed aree verdi. Le aree verdi sono forse dovute, ma i grattacieli? A chi servono appartamenti da 10÷12.000 euro al metro quadro? Magari la Real Estate Company non riuscirà nemmeno a vendere tutto: una parte verrà ceduta alle imprese che hanno realizzato l'intervento come pagamento del lavoro fatto, una parte residua resterà come garanzia per nuovi finanziamenti da parte delle banche.
Lo Scalo Lambrate si trova in una zona meno centrale, povera di servizi, mal collegata. Sembra destinata a diventare un altro caso Rubattino, secondo lo schema ormai consolidato dei venti megacondomini e un centro commerciale. Come se per vivere non servisse altro.
Conclusioni
Gli scali, e le ferrovie in genere, sono beni preziosi, difficilmente modificabili se non con interventi di altissima qualità urbana (ad es. la High Line a New York o la Coulée verte a Parigi…) o con estesi meccanismi partecipativi. Trasformazioni “à la carte”, in stile padano, uccidono la smart city in nome dell'edilizia, unico motore di un falso progresso.
L’intento del PGT su scali, caserme, aree dismesse, rivela l’ennesima mancanza di un disegno complessivo, e ci consegna una città in cui gli illusi aspettano i raggi verdi e le piste ciclabili mentre la finanza si mette d’accordo con i faccendieri per “valorizzare le opportunità”.
Che si aprano allora mille lotte e mille conflitti, per inventare e praticare nuove e concrete forme di partecipazione, radicalmente diverse da quelle patinate viste negli ultimi mesi a Milano. E che i progetti nascano dall’autodeterminazione, per ottenere giustizia sociale, per costruire la città vivibile ed accessibile, dell’incontro e del mix sociale.