Come contrastare il consumo di suolo? Lasciando invariato quanto previsto dai piani, rinviando ogni valutazione di tre anni. Una proposta di legge della Giunta lombarda, guidata dalla Lega Nord. Ciascuno ama la sua terra a modo suo. (m.b.)
E' ripresa in questi giorni la discussione nella Commissione Territorio della Regione Lombardia sulla proposta di legge dal ridondante titolo "Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato". La proposta presentata dalla maggioranza lombarda di centrodestra getta più ombre che luci su di un tema, quello della lotta al consumo di suolo, che rischia di diventare solo uno slogan, privo di contenuti concreti, da sbandierare per una Giunta verde sempre più in difficoltà.
Le percentuali di consumo di suolo in Lombardia sono allarmanti da tempo, come più volte denunciato dalle associazioni ambientaliste e dalle numerose ricerche accademiche realizzate negli anni. Gli ultimi dati, elaborati direttamente dalla Direzione urbanistica e territorio di Regione Lombardia, ottenuti dall'analisi dei Piani di Governo del Territorio approvati dai Comuni lombardi al 31/12/2013, ci dicono che le previsioni di espansione superano i 400 milioni di mq: ci sarebbero cioè, sulla carta, due città di Milano da costruire. Sarebbe stato lecito aspettarsi che un'iniziativa legislativa regionale per arginare il consumo di suolo partisse dalla gestione di questi surreali residui di piano. E invece no.
L'attuale maggioranza lombarda, che si regge su un asse Lega-PDL-NCD-Fratelli d'Italia sempre più debole, è da oltre un anno che annuncia l'intenzione di riformare in modo strutturale l'attuale legge urbanistica, la 12/2005, che dalla sua emanazione è stata oggetto di innumerevoli modifiche e integrazioni. Una legge urbanistica, quella lombarda, nata già vecchia e tutta improntata alla via liberista del 'ci pensa il privato', già sperimentata da un Maurizio Lupi assessore all'urbanistica di Milano nell'era Albertini, che non solo si è rivelata drammaticamente inadeguata a guidare i processi di trasformazione in atto ma non è stata neppure in grado di contenere le ultime fasi immobiliari espansive, di carattere strettamente speculativo, che hanno compromesso molti territori che ancora potevano vantare un valore paesaggistico.
Purtroppo la debolezza politica della Giunta di Maroni non ha consentito un approfondito dibattito intorno ad una seria riforma urbanistica e l'unica proposta concreta offerta alla discussione del Consiglio sarà un atto debole, pieno di rimandi a provvedimenti successivi, con un approccio settario, parziale e unicamente quantitativo che, se tutto va bene, entrerà in vigore non prima di tre anni.
Un atto, peraltro, annunciato dall'assessore al territorio, Viviana Beccalossi, solo a seguito delle preoccupanti esondazioni che hanno interessato il Nord Milano all'inizio di questo autunno (riguardanti in particolare il Seveso), che hanno fatto parlare, straordinariamente in prima serata, in un talk show televisivo di un'emittente nazionale, delle "terribili conseguenze del consumo di suolo" e della "cementificazione incontrollata" in Lombardia.
Per far fronte ai reali problemi relativi al governo del territorio, anche in Lombardia serve un cambio di rotta drastico e deciso che questo provvedimento non sembra in grado di dare. Le principali criticità si possono rilevare già dall'impianto generale della norma: per contrastare il fenomeno del consumo di suolo serve un approccio integrato di policies urbane e territoriali, di natura spaziale ma anche fiscale (si veda l'esperienza tedesca dei 30 ettari/giorno,
illustrata su eddyburg da Georg Frisch); inoltre un approccio di natura esclusivamente quantitativa rischia di generare trattative infinite tra livelli istituzionali e tra Comuni, incentivando dinamiche concorrenziali poco proficue. Infine, anche alla luce delle previsioni urbanistiche prodotte dai PGT comunali, dovrebbe essere chiaro che il consumo di suolo può essere efficacemente affrontato solo a scala territoriale: in un contesto amministrativo estremamente frammentato come quello lombardo (composto da 1546 Comuni) in cui le maggiori competenze urbanistiche sono in capo ai singoli PGT, ognuno elabora le proprie previsioni in modo indipendente e spesso dissociato rispetto ai confinanti (figuriamoci se dovessero subentrare logiche concorrenziali!); in questo modo la frammentazione diventa anche territoriale. Da qui risulta evidente come il tema del limite al consumo di suolo debba essere affrontato ad una scala sovralocale per poter davvero interagire con gli assetti infrastrutturali, insediativi e ambientali e poter razionalizzare scelte localizzative di rilevanza territoriale.
Invece la proposta di legge attribuisce ancora una volta un'ampia discrezionalità all'ente comunale. Sono i singoli Comuni che dovrebbero definire la propria superficie agricola, la superficie urbanizzata e urbanizzabile, la soglia di consumo di suolo. Sono i singoli Comuni che dovrebbero determinare criteri di incentivazione per il recupero del patrimonio edilizio esistente, in quanto la proposta chiarisce che le misure di incentivazione dovranno essere "senza ulteriori oneri a carico del bilancio regionale". Ma in tempi di profonda crisi dei bilanci comunali, sui quali la norma statale ha concesso ancora una volta (per l'anno 2014) la possibilità di utilizzare una quota degli oneri di urbanizzazione per finanziare le spese correnti, quali risorse possono realisticamente mettere in campo le singole municipalità? E ancora, secondo questa proposta, tutti i piani attuativi conformi o in variante al PGT (quindi teoricamente tutti i 400 milioni di mq previsti, ma anche altri!) potrebbero essere presentati entro 36 mesi dall'entrata in vigore della legge, con tanto di agevolazioni fiscali sulle relative cessioni gratuite e monetizzazioni a favore degli operatori. I piani presentati oltre tale termine sarebbero invece oggetto di valutazione da parte dell'amministrazione comunale, che potrà richiedere modifiche e integrazioni al proponente. Ancora una volta prevale la più assoluta discrezionalità, senza regole o criteri guida.
Infine una riflessione sui tempi di entrata in vigore di questa norma: la Regione si concederà un anno per adeguare il Piano Territoriale Regionale; Province e città metropolitana di Milano avranno, successivamente, un anno per uniformare gli strumenti urbanistici di competenza; i Comuni dovranno rendere coerenti i contenuti dei propri Piani in occasione della prima scadenza del documento di piano. Per tutti quei Comuni in cui la scadenza del documento di piano è prevista prima dell'adeguamento della pianificazione provinciale/metropolitana, lo stesso è prorogato di 12 mesi a far tempo dalle modifiche sovraordinate. Se tutto va bene a dicembre 2017 dovrebbe entrare in vigore questa norma. Non sarà troppo tardi?
La proposta di legge lombarda ha molti limiti e, se approvata così, non inciderà sui processi in atto e non sarà di alcun aiuto a quegli amministratori locali che vorrebbero avere strumenti più efficaci per governare il proprio territorio. IL testo è una lista di rimandi, priva di contenuti che non offre alcuno strumento innovativo per promuovere una nuova stagione di sviluppo urbanistico e territoriale
Ricorda, un po' malinconicamente, il Tancredi gattopardesco, "Cambiare tutto per non cambiare nulla": una legge nuova, con un titolo ambizioso, che non modifica nulla, tutto ciò che è già previsto si potrà realizzare, tra tre anni si vedrà....
Chissà che nel frattempo non sia cambiatO anche il colore della Giunta regionale lombarda e che si possa finalmente affrontare questo tema in modo coraggioso e innovativo.
Sullo stesso argomento, in eddyburg, vedi anche gli articoli di Andrea Montanari e Ilaria Carra su la Repubblica del 10 luglio e del 24 ottobre.