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Luciano Canfora
Sette no ai Fori pedonali
8 Luglio 2013
Roma
Si potrebbe intitolare questa intervista, pubblicata dal

Si potrebbe intitolare questa intervista, pubblicata dal Messaggero l'8 luglio, "l'urbanistica di Luciano Canfora". E metterla poi nell'elenco di stravaganze e sciocchezze detto "stupidario". Noi invece la prendiamo sul serio, e nella postilla spieghiamo perchè.

«È molto più importante occuparsi delleperiferie romane che delle zone pedonali nel pieno centro». Non usa mezzitermini Luciano Canfora, illustre storico e saggista italiano, profondoconoscitore della cultura classica, ordinario di Filologia greca e latinapresso l'Università di Bari, che interviene a gamba tesa sul progetto dipedonalizzazione di via dei Fori Imperiali.

Professor Canfora, cosa pensa del piano lanciato dal sindaco Ignazio Marino?
«Il mio pensiero si articola per punti: sette, tanti quanti sono i colli diRoma. Punto primo, mi sembra più opportuno che ci si occupi delle periferie diRoma piuttosto che di pedonalizzazioni del centro. E soprattutto un sindaco,presumibilmente di sinistra, dovrebbe avere una tale sensibilità. Punto secondo,i problemi del traffico non si risolvono con iniziative estetizzanti, cioè cheinseguono la bellezza. Così come non si risolvono con iniziative estemporaneeche rischiano di fare impazzire la circolazione stradale con conseguenzeimprevedibili. Punto terzo».

Non ha fiducia nel piano traffico proposto dal Campidoglio?
«Infatti. Punto quarto, bisogna occuparsi forse dei tempi di percorrenza di chiva al lavoro usando un mezzo proprio, anziché creare difficoltà supplementaririspetto alle moltissime esistenti già, in una città come Roma».

In molti l’hanno definito un provvedimento demagogico o ideologico.
«Non mi piacciono questi termini. Direi più uno spot elettorale. Punto quinto,già ci bastano le bizze di Renzi col Ponte Vecchio a Firenze, non vorremmoquelle di Marino sui Fori Imperiali. Mi sembra tanto il desiderio di lasciareun segno nei secoli a venire».

Lei ama parlare con molta schiettezza, liquidando i giri di parole.
«Preferisco essere d’accordo con Lucrezio: usare poche parole per dire moltecose».

Il suo sesto punto?
«Se l’obiettivo esibito, o meglio ostentato, dal piano di Ignazio Marino èquello di salvaguardare il Colosseo dall’inquinamento da smog dovuto altraffico, il fatto stesso di far passare gli autobus nella corsia preferenzialedimostra che il problema non viene affatto risolto».

Molti studiosi, come Eugenio La Rocca, Cesare De Seta e Francesco Buranelli,hanno richiamato l’attenzione sui rischi per il Colle Oppio e il suo patrimonioarcheologico.
«Ecco il punto settimo, un sindaco dovrebbe conoscere profondamente la città dicui diventa sindaco».

Pensa che Marino non la conosca?
«Temo di no. Prima sembra sia stato tanto in America. D’altronde la suabiografia non è ancora compresa nella Treccani. Ma quando andava in televisionee pontificava tanto sulle università, faceva solo confronti con l’Americaraccontando delle sue esperienze. Il mio è un sommesso pensiero, ma un sindacodeve poter vantare una profonda conoscenza sociale della città. È una legittimaipotesi: gli amici di Marino possono dire che è una malignità, ma è unaconstatazione di fatto».

E se le chiedessimo una considerazione su via dei Fori Imperiali, lontano datermini ideologici (che non le piacciono), ma almeno storici? Andrea Giardinariconosce piena dignità di monumento a questa strada.
«Sono d’accordo con Andrea Giardina, persona seria. Via dei Fori Imperiali nondeve essere toccata. Analogamente dovremmo disfare i grandi boulevard di Parigiche furono fatti costruire da Napoleone III. L’intervento di Mussolini equivalealla stessa operazione urbanistica compiuta a Parigi, fa parte della storiaurbanistica di Roma. Dire che si debba sbancare la strada mi pare un segno diinfantilismo. La storia ha preso questa forma, non si può infierire sullastoria. Roma è una metropoli, non un giocattolo. Quando si fece lacommemorazione dei primi 50 anni dell’Unità d’Italia, nel 1911, fu costruito ilVittoriano, una mostruosità. È come dire, abbattiamo l’Altare della patria eportiamo il Campidoglio alla forma che aveva prima. Demenziale».

Postilla
Stupisce molto questa intervista. Perun urbanista che conosce Roma e il “progetto Fori”, così come è stato elaboratonel corso da qualche decennio, il giudizio sul contenuto dell' intervista èsintetizzabile nella parola che la conclude: “demenziale”. Per un polemista chevolesse contrapporre una sua frase a quelle di Canfora, all’affermazione che «unsindaco dovrebbe conoscere profondamente la città di cui diventa sindaco» lareplica sarebbe: un intellettuale, anche quando parla fuori dal suo campo,dovrebbe conoscere con una certa profondità ciò di cui parla. Per direttore diquesto sito la decisione sarebbe: ignoriamo quell’intervista oppure pubblichiamolanella cartella “stupidario”. Per un appassionato lettore di molti libri di Canfora, tra i quali Demagogia, verrebbe da chiedere se la politica culturale di Renato Nicolini avesse giovato al centro contro le periferie o alle periferie contro il centro, o se avesse per caso giovato ad entrambe (alla città, che è una).
Ma abbiamotroppa stima per Luciano Canfora per ridurre il commento a una di queste possibilirepliche. E allora ci domandiamo e domandiamo: ma che cosa è mai successo, eper colpa di chi o di che cosa, perché i saperi e i mestieri si siano cosìprofondamente separati che chi opera all’interno di un campo non comprende chelavora nel campo vicino? Ci torna in mente quella frase di Lemontey citata daMarx in Miseria della filosofia alla quale qui rinviamo. E ci domandiamo poi, inparticolare, che cosa mai dobbiamo e possiamo fare, noi urbanisti perché inostri progetti siano compresi da tutti, quale che sia il campo nel quale operanoe la profondità con la quale lo coltivano?

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