Il candidato di sinistra alle elezioni a sindaco della capitale e le sue ragioni contro la chiusura dell’anello autostradale occidentale. Il manifesto, 23 novembre 2012, postilla (f.b.)
La domanda è: meglio ridurre di qualche minuto la percorrenza di traffico merci e viabilità automobilistica, oppure salvaguardare le riserve naturali, i pascoli, i reperti archeologici, i vigneti, insomma il paesaggio e l'agricoltura? Va da sé che, dietro quest'interrogativo ce ne siano altri, più strutturali, più strategici. La nostra economia deve continuare a puntare sul modello «pesante», incardinato nel circuito produzione-distribuzione-consumo, oppure valorizzare uno sviluppo locale "leggero", legato alle coltivazioni di pregio, all'ambiente, alla cultura? Gli investimenti pubblici vanno impiegati per realizzare grandi opere che garantiscono grandi appalti per grandi imprese, oppure è preferibile che salvaguardino il territorio, attraverso sostegni all'agricoltura e finanziamento di progetti culturali, oltreché programmi di risanamento ambientale e manutenzione del suolo?
Aspettate a rispondere. Proviamo a entrare nel merito raccontando una storia che esemplifica con chiarezza i quesiti di cui sopra. Si tratta del raccordo autostradale che dovrebbe collegare l'A12 Roma-Fiumicino Civitavecchia (Genova) con l'A1 Milano-Napoli. Una grande infrastruttura a otto corsie e a pedaggio, decisa e confermata dai vari governi che si sono succeduti dal 2004 in poi, che in sostanza raddoppierebbe il Grande raccordo anulare di Roma nel quadrante sud-ovest/sud-est, consentendo di far risparmiare una manciata di minuti (19 circa) ai mezzi che transitano sul versante tirrenico del paese. L'opera è stata sostanzialmente progettata e attualmente viaggia sui tavoli di quella liturgia farraginosa e dispersiva che si chiama conferenza dei servizi, dove tutti gli enti pubblici investiti dal processo attuativo hanno l'obbligo di esprimersi. E in quest'ambito, a parte qualche perplessità, l'unico parere contrario è stato quello della Provincia di Roma.
Ma il dissenso è molto più vasto e comincia a organizzarsi in comitati e associazioni sempre più combattivi, che organizzano riunioni, assemblee, manifestazioni di protesta. Ad affiancarli, i partiti della sinistra (Verdi, Sel, Federazione della sinistra) e le stesse centrali ambientaliste (Italia nostra, Legambiente, ecc.). Un dissenso che comincia a contagiare le stesse amministrazioni locali: ovviamente non il Comune di Gianni Alemanno né la Regione dell'imbalsamata Renata Polverini, ma tutti i comuni dei Castelli romani e i Municipi romani attraversati dal tracciato autostradale. Per contrastare o anche semplicemente condizionare questa progettazione, è stato costituito qualche giorno fa un coordinamento metropolitano che raccoglie gli enti locali di Frascati, Grottaferrata, Marino, Montecompatri, Ciampino, Gallicano, Zagarolo e Monte Porzio Catone, oltre ai quattro Municipi di bordo, VIII, X, XI, XII.
Quel che si sta profilando è insomma un conflitto territoriale tra una pianificazione infrastrutturale definita strategica e gli interessi (e i bisogni) delle comunità locali. Percorriamo allora la traiettoria autostradale e vediamo più in dettaglio quali siano questi interessi (e bisogni) locali.
Uscendo dalla A12 ci si ritrova subito in un'area delicatissima, quella della Riserva del litorale romano, che è un esile consolidato appena al di sopra (circa due metri) dal livello del mare; fino a qualche decennio lì fa il Tevere scorreva lungo un'ampia ansa, che si decise di ricoprire con enormi quantità di terra di riporto. Attualmente vi operano tre aziende che allevano una pecora assai pregiata, oltreché protetta, la sopravvissana: un animale prezioso perché dal suo latte si ricavano due prodotti tipici, la ricotta e il pecorino romano, entrambi garantiti da una Dop. La nuova autostrada dovrebbe dunque «galleggiare» su una terra spugnosa e spezzare irrimediabilmente un ciclo produttivo d'eccellenza.
Andiamo avanti. Il transito prosegue e incontra la Riserva di Decima Malafede, che è un territorio sostanzialmente incontaminato, un pezzo di agro romano ancora integro. Anche qui, le ricadute ambientali ed economiche sarebbero dannosissime e strazianti.
Si arriva così ai confini del Parco archeologico dell'Appia antica, che è un meraviglioso patrimonio bio-culturale, dove la storia e la natura hanno depositato un paesaggio incantato: quel paesaggio che con i suoi acquedotti romani, le ville patrizie, i boschi e i pascoli ipnotizzò sentimentalmente Wolfgang Goethe. La superficie del parco verrebbe tuttavia risparmiata grazie a un'interminabile galleria che affiorerebbe solo dopo aver superato Ciampino e il suo aeroporto e il quartiere romano di Morena. Peccato che, appena emersa, con uno spericolato svincolo, l'opera si ritroverebbe in un grumo urbano tra i più densi e urbanisticamente compromessi, tra le vie Tuscolana e Anagnina. Come sia possibile districarsi in quel fritto misto urbano, tra borgate ex abusive, piani di zona e capannoni industriali, è davvero un mistero.
Da qui in poi, il progetto prevede una lenta salita a mezza costa sui Colli Albani, transitando per i territori dei diversi comuni che si affacciano sulla capitale, e così squarciando grossolanamente il millenario profilo dei Castelli romani, un paesaggio universalmente consolidato nel nostro immaginario, generazione dopo generazione. Ma il peggio è che nel suo incedere sempre più invasivo, l'autostrada calpesterà e contaminerà i filari della malvasia puntinata, la preziosissima uva che da millenni ci regala uno dei vini più buoni d'Italia: il Frascati, prossimo a ricevere, primo bianco italiano, la Docg. Per la produzione vinicola, una vera e propria catastrofe.
Per concludere, torniamo alla domanda iniziale. È più importante salvaguardare la pecora sopravvissana e il suo pecorino, la malvasia puntinata e il Frascati, l'agro romano e gli antichi acquedotti, i parchi archeologici e le riserve naturali, oppure continuare a consumare la nostra vita tra asfalti, cementi ed emissioni inquinanti, alimentando desideri su merci sempre meno desiderabili e in fondo non più necessarie?
Postilla
È incredibile come la sensibilità collettiva, figuriamoci quella ingegneristica che pare dominante (oltre a quella speculativa) nelle decisioni, subiscano l’automatismo meccanico della chiusura del cerchio. C’è la città col suo nucleo, che si deve espandere perché sua ragion d’essere è la conquista dello spazio, l’ammaestramento della natura ai propri fini, e man mano si espande un po’ come il sasso nello stagno genera inesorabile i suoi anelli stradali. Da generazioni spontaneamente ci immaginiamo così la faccenda, e onestamente ci vuole un po’ di ragionamento per capire l’assurdità del tutto. Noi dentro la natura ci stiamo, e comportarci come il sasso nello stagno è una strategia scema che non ci porta da nessuna parte: prima ragionare, poi agire. Fa quindi benissimo Sandro Medici a dirci fermiamoci a riflettere. Come del resto si fa e si dovrebbe fare ovunque: dalle distorsioni della London Orbital pur attentamente pianificata da Abercrombie a metà ‘900 e ben raccontate da Iain Sinclair, ai meccanicismi nostrani di piccoli orrori come il cosiddetto Terzo Ponte sul Po a Cremona, ai casi di città grandi e piccole che pur di adempiere al rito automatico dell’anello si immaginano rinunciabili, incredibili e costosissime opere sotterranee o a scavalcare ostacoli inenarrabili. Una sfida tecnica al buon senso, si potrebbe quasi sempre dire. Ma in tutto questo bel ragionare logica vuole che esista anche un immancabile rovescio della medaglia, di cui involontariamente anche Medici si fa portatore fin dall’incipit dell’articolo: ha senso contrapporre il buon sapore del pecorino alla puzza degli scarichi? Certo, con argomenti del genere magari nella nostra alba del terzo millennio si trovano più consensi, ma di che consensi si tratta, in fondo? Progettare la nostra vita sulla terra in modo più rispettoso della terra stessa, è un percorso che possiamo affrontare con spirito progressista, oppure no. Non dimentichiamoci per esempio, in certi automatismi di rifiuto della modernità meccanica e devastante, che il profeta italiano del fondamentale Design With Nature di Ian McHarg è tale Gilberto Oneto. Paesaggista di prestigio, ma anche direttore di Studi Padani e reazionario Doc alla Borghezio (f.b.)