Qualche breve richiamo alle vicende urbanistiche milanesi del passato per chiarire in quale contesto si inserisce il nuovo PGT.
Il nuovo PGT sostituisce il PRG adottato nel 1976 e approvato nel 1980, che a sua volta sostituiva quello del 1953, modificato nel corso degli anni da numerose varianti e violazioni. Si trattava di un piano allineato, sia pure tardivamente con i principi riformisti degli anni 70: le aree urbane intercluse ancora libere destinate a verde e a servizi, nuove espansioni molto limitate, e addirittura un eccesso tardo industrialista: confermate in blocco tutte le aree industriali, le grandi e persino le piccole e addirittura le piccolissime. Il grimaldello delle osservazioni accolte eliminerà questa civetteria con una normetta che consente la trasformazione terziaria delle aree industriali. Erga omnes e casualmente, senza riferimenti alle prospettive del singolo impianto produttivo o allo specifico contesto urbanistico. Il processo di trasformazione delle aree industriali si avvia dunque, con buona pace del piano tardo operaista, nel più casuale ordine sparso.
Il PRG del 1980 vive quattro anni.
Nel 1984 Milano, avendo ottenuto di usufruire della quasi totalità degli investimenti regionali per i trasporti per potenziare il proprio sistema del ferro, radiocentrico e passante (raddoppi, triplicazioni o quadruplicamenti delle radiali ferroviarie prossime, passante ferroviario urbano e linea 3 della MM, transitante, come la linea 1, per piazza Duomo) annuncia, tramite un testo privo di valore formale, il “Documento direttore del progetto Passante” , l’intenzione non già di sfruttare le nuove infrastrutture per soddisfare il fabbisogno pregresso (un saldo pendolare giornaliero di 260.000 lavoratori) come pudicamente affermato dal Piano regionale dei trasporti, ma, al contrario di volerle utilizzare per accrescere l’attrattività terziaria di Milano. In particolare attraverso la trasformazione urbanistica delle aree lungo il Passante ( Certosa, Bovisa, Farini, Garibaldi Repubblica, Porta Vittoria, Rogoredo, etc ) ma anche di altre aree, come ad esempio l’ex stabilimento Alfa Romeo del Portello destinato all’ampliamento della Fiera. Tutto ciò sarà fatto senza più ricorrere a studi generali di PRG, ma “ a la carte”, grazie a progetti d’area promossi dagli operatori, che il Comune ratificherà mediante singole varianti parziali al PRG. La prima e più grande di queste varianti sarà addirittura fuori dal tracciato del passante e priva di metropolitana e si chiama Pirelli Bicocca. Ma il cavallo non beve quanto si era sperato e così Bicocca, nata e progettata come Tecnocity, polo della ricerca tecnologica, si trasforma in Nettare residenziale di Milano. Insomma, mattone. Seguiranno, più o meno, tutti gli altri progetti, molti dei quali cambieranno forma e natura strada facendo, come ad esempio quello della Fiera, in relazione all’apertura del nuovo polo di Rho Pero, e quello di Isola –Garibaldi –Repubblica, ora noto come Porta Nuova, soprattutto in relazione a discutibili sconfitte amministrativo – giudiziarie della parte pubblica. In pratica molti progetti sono a tuttora incompiuti e molte costruzioni sono invendute. Ordine di grandezza della volumetria convenzionale messa in gioco, oltre 12 milioni di mc. Gestione di questa fase da parte di amministrazioni di sinistra fino a tangentopoli, poi della Lega e infine del centro destra.
Milano non è Roma. Ha solo 1,3 milioni di abitanti ma è il centro di un’area metropolitana di 5,2 milioni di abitanti, composta da più di 400 comuni. E attorno ad essa, soprattutto a nord e ad est non ci sono campi colline e pascoli ma altri grandi sistemi urbani, alcuni addirittura di una dimensione prossima o superiore al milione di abitanti, come Bergamo e Brescia.
Nel 1995 la Provincia di Milano (amministrazione di centro sinistra), preoccupata della condizione di crescente congestione ed inefficienza dell’area, pur in assenza della legge regionale attuativa della legge nazionale 142 del 1990, avvia la formazione del Piano territoriale di coordinamento. Il Piano, presentato nel 1999, è ispirato ad una strategia di policentrismo discontinuo, finalizzato a contenere l’ipertrofia del nucleo centrale, a garantire la tutela delle cinture e dei corridoi verdi fin dentro la città, e a rafforzare le specificità dello sviluppo locale, alimentato dal trasporto pubblico soprattutto su ferro e di superficie, esteso nell’hinterland. Milano esprime con asprezza la propria contrarietà. Il voto riporta al governo della Provincia il centro destra, che subito revoca il piano e ne approva, nel 2003, uno del tutto diverso, totalmente privo di elementi ordinatori e vincolanti. Dopo cinque anni una nuova amministrazione di centro sinistra fallisce nel tentativo di rivedere il piano fantasma del 2003, fino ad un nuova vittoria, nel 2009, del centro destra, che per ora continua a navigare con il “piano” del 2003. Tutto bene dunque: nessuno disturba le ambizioni del comune di Milano.
La Regione del presidente Formigoni fornisce aiuti potenti. Nel 1999 introducendo la super DIA per qualsiasi tipo di intervento, e generalizzando l’uso dei Piani integrati di intervento (PII), di fatto privati, in variante ai piani regolatori - strumento del quale Milano si avvarrà immediatamente e largamente per varare nuovi progetti urbani. Nel 2005 sostituendo il PRG con l’oscura trilogia dei documenti costitutivi del Piano di governo del territorio (PGT), che i comuni si auto approvano. E poi disapplicando il DM 2/4/68. E infine togliendo alla Provincia tutti i poteri, tranne un confuso apporto di copianificazione nella individuazione delle aree agricole strategiche. Il tutto anche grazie alla decisiva, curiosa distrazione di consiglieri dell’opposizione al momento dell’approvazione della legge. Le ambizioni di Milano hanno finalmente di fronte una strada completamente spianata, in barba alle leggi urbanistiche italiane.
Il PGT approvato nel 2011 interviene apparentemente soprattutto sugli ATU - ATPG (ambiti di trasformazione urbana): scali ferroviari e stazioni, caserme, il carcere e altre aree pubbliche e private. Si tratta in tutto di circa 8 milioni di mq di superficie territoriale, che generano diritti edificatori per circa 5 milioni di mq di superficie lorda di pavimento (slp) e sui quali potranno realizzarsi circa 6 milioni di metri quadrati di slp, pari a circa 20 milioni di metri cubi di volume convenzionale. Il volume reale vuoto per pieno sarà più del doppio, circa 48 milioni di metri cubi, come mostrano le statistiche comunali sull’attività edilizia del passato.
Ma questa è, dicevamo, solo l’apparenza. In realtà tutta la città viene sottoposta ad un violento processo di densificazione. Una invenzione normativa molto creativa stabilisce, ad esempio, che tutti i “servizi”, pubblici e privati di qualunque natura non consumano diritti edificatori e che le relative aree generano, come se fossero libere, nuovi diritti edificatori, che possono arrivare fino a 1 mq di slp ogni mq di superficie territoriale. Così come viene attribuito un indice di edificabilità di 0,5 mq per mq di superficie, da sfruttare con il meccanismo del trasferimento dei diritti edificatori, sulle aree private destinate alle nuove previsioni puntuali di verde e infrastrutture di mobilità.
Le aree a servizi sopra indicate sono complessivamente 22,5 milioni di mq e possono generare fino a 22 milioni di mq di nuova slp. Pari a 72,6 milioni di metri cubi convenzionali e dunque a circa 176 milioni di mc vuoto per pieno! In particolare le aree occupate da servizi religiosi potranno non soltanto densificarsi al proprio interno ma anche esportare, secondo il principio della cosiddetta perequazione, diritti edificatori nuovi di pacca su qualsiasi area urbana. Insomma l’Ospedale di Niguarda può costruirsi 313.000 mq di slp residenziale, terziaria o commerciale, mentre il Duomo di Milano genera nuovi diritti edificatori esportabili, residenziali, terziari o commerciali per 10.000 mq di slp. Da non credere.
E ancora, le aree del parco sud sono in una situazione di attesa precaria fino a che una non meglio precisata autorità competente stabilisca se siano aree agricole strategiche oppure se siano invece lasciate libere di salire sulla esilarante giostra della perequazione.
E infine i Pii sono sempre pronti a colpire: per legge regionale gli indici di piano non sono giuridicamente vincolanti, e il Pii li potrà sempre aumentare in qualsiasi misura.
Lo scenario disegnato dal PGT solleva inevitabilmente almeno tre domande fondamentali. Ha un senso economico un piano di questa natura? Come cambierà la qualità della città? Come sarà servita in termini di mobilità?
Il dimensionamento.
Le concessioni edilizie rilasciate a Milano, per tutte le destinazioni d’uso esclusi i servizi, misurate in termini di superficie lorda di pavimento sono state, tra il 2000 e il 2007 mediamente di 390.359 mq/anno. Si tratta, come è ben noto, di un ritmo temporaneamente elevato, a cui hanno fatto seguito quantità molto rilevanti di non finito e soprattutto di non venduto, il che determinerà probabilmente una contrazione dei permessi di costruire negli anni successivi.
I cinque milioni di metri quadri generati dagli ATU-ATPG rappresentano dunque da soli una provvista di aree edificabili sufficiente ad alimentare circa venti anni di domanda. Se a queste aree aggiungiamo i diritti edificatori generati dalle aree a servizi ( 22 milioni i metri quadri di slp ) si raggiungono valori di capacità insediativa ragguagliabili alla produzione edilizia di settant’anni. Il piano non programma dunque attività edilizie in una prospettiva di realismo economico: bensì genera un marea di “future” immobiliari che saranno esigibili solo a lungo o a lunghissimo termine. Tutto questo è spiegabile solo dando per acquisito un rapporto ormai totalmente organico tra amministratori e sistema immobiliare. Quel che non è facile prevedere sono le conseguenze economico finanziarie di questo inedito scenario.
Qualcuno potrebbe sperare in una spontanea riduzione dei prezzi immobiliari. Ma le case realmente in vendita non scendono più che tanto di prezzo, soprattutto a causa degli oneri finanziari accumulati in anni di stand-by all’ufficio vendite. E a causa del sostegno fornito da una politica dei trasporti (sulla quale ci soffermeremo tra poco) che continua ad innalzare il divario tra il livello di servizio nella città e quello nell’hinterland. Di sicuro c’è che cresce la bolla del comparto immobiliare, distraendo sempre più operatori dagli investimenti in altri campi dell’economia meno aleatori e futuribili.
La qualità urbana è la vera vittima sacrificale del PGT. E’ sufficiente dare un’occhiata a volo radente al progetto Porta Nuova, che ha schiacciato con i suoi grattacieli il vecchio romantico quartiere dell’Isola Garibaldi, oppure scattare una fotografia tra le gru e i mastodonti che ancora stanno crescendo per avere l’immediata sensazione fisica di una città che non si piace e non si ama.
I nuovi quartieri inventati dal PGT non saranno da meno. Stephenson, non dispone ancora di un planivolumetrico. Ma basta allineare il cubetti della volumetria convenzionale ( indice volumetrico territoriale convenzionale 9,14 mc/mq, ma probabile indice volumetrico territoriale fisico effettivo, vuoto per pieno più che doppio: 22 metri cubi per mq !) per avere l’immagine della Milano futura voluta dal piano.
Il meccanismo della cosiddetta perequazione consente di prelevare diritti volumetrici dalle periferie e di trasferirli liberamente nelle aree più centrali, di valore molto maggiore. Un centro iperdenso è dunque l’inevitabile e voluto esito del piano.
Le occasioni ultime e irripetibili fornite dalle grandi penetrazioni urbane degli impianti ferroviari vengono bruciate e sacrificate, destinandole in buona misura all’edificazione e a giardinetti poco più che condominiali, invece di sfruttarle come ultima occasione per dotare una città brutta e asfittica di qualche lembo di natura. Cosa potrebbe diventare invece una di queste aree lo possiamo comprendere guardando il progetto di due bravi neolaureati su Farini-Bovisa.
Gli standard urbanistici residenziali che, raggiungendo in passato i 44 mq ogni 100 metri cubi di costruzione avevano regalato a Milano, nella breve stagione del dopo tangentopoli, qualche episodio di trasformazione urbanistica molto civile, oggi si riducono il più delle volte a 12 mq ogni 100 metri cubi, ed anche quel poco può eventualmente essere monetizzato invece che realizzato. Il terziario non ha più alcun obbligo di standard urbanistici, e l’industria nemmeno.
Le sola area considerata dal punto di vista della, sia pur debolissima, tutela del patrimonio storico architettonico è il centro. I nuclei di antica formazione della periferia sono sottovalutati o ignorati.
In qualunque punto del territorio il mix funzionale è a libera scelta del singolo operatore: residenza, terziario, attività produttive, e, come già detto, se si vuole, servizi privati e pubblici senza computarne le superfici. I fabbisogni arretrati, spesso paurosi, di parcheggi, non scalfiscono la libertà privata di gravare con nuovi sovraccarichi in qualsiasi punto della città.
Quote di edilizia sociale, se realizzate, incrementano le possibilità edificatorie private: ma manca qualsiasi definizione dell’edilizia sociale, che può dunque ridursi ad offrire vantaggi economici del tutto marginali, pur consentendo comunque di conseguire l’incremento premiale dell’indice di edificazione privato.
La mobilità.
Il piano è privo di un organico progetto della mobilità, rinviato al futuro piano di settore. La profusione di opere ipotizzate nel PGT non è giustificata da previsioni seriamente fondate sulle risorse disponibili per realizzarle. E’ comunque impressionante l’accrescimento del divario di infrastrutturazione tra città e hinterland. Nell’hinterland qualche rado prolungamento. In città invece quarta e quinta linea di metropolitana, eventuale secondo passante ferroviario da scegliersi tra alternative di tracciato non ancora sciolte e poi 6 nuove cosiddette linee di forza ( presumibilmente altre metropolitane) rigorosamente dentro le mura del municipio. I milanes arius g’han de rangias. Non si ragionava così nemmeno negli anni 60.
Ma visto che le risorse per le metropolitane sono più che incerte meglio tenersi buona la vecchia cara alternativa autostradale a pedaggio, facendola diventare urbana. Un tunnel a pagamento in project financing che collega l’Expo a Linate. La prospettiva certa per la città è più traffico in assoluto, da sommarsi probabilmente alla continuazione del trend storico di peggioramento del taglio modale pubblico/privato. Con l’aria fuori legge per la quale paghiamo salate multe all’Unione Europea.
Abbiamo detto Linate? Ma non era stata la causa del fallimento di Malpensa, hub del nord Italia? Grandissima è la confusione sotto il cielo.
Questo è quel che c’è nel piano. Poi c’è tutto quel manca.
L’hinterland, dove vivono quattro milioni di veri milanesi è completamente ignorato. Anche sotto questo profilo, non si usava così nemmeno negli anni 60 o 70. Allora Milano poteva dedicare uno sguardo benevolo alle periferie popolari che si andavano ingrossando immaginando di avvicinarle ed integrarle e talvolta concedendo anche qualcosa di sostanziale, come una linea metropolitana che arrivava quasi all’Adda. Oggi siamo invece nella torva era della guerra tra municipi per la sopravvivenza e per il potere. I metri cubi sono l’uno e l’altro a condizione di tenerseli stretti dentro i confini, e che i cittadini li sopportino.
Nessun modello territoriale pensato, e la peggiore malformazione territoriale di fatto: la somma esplosiva di super concentrazione al centro e libero sprawl nell’hinterland.
Questo è il Pgt: l’espressione estrema del municipalismo solitario di Milano, postmoderno e neomedievale.
Il piano è appena approvato e non ancora pubblicato. Il piano sarà, spero, confutato giuridicamente, e colgo questa occasione per segnalare fin d’ora a Italia Nostra, che ha avuto il grande merito di sollevare in termini generali, con la forza di questo convegno, il tema della mercificazione della città, l’occasione di confronto culturale, politico e giuridico che penso si aprirà in occasione di questa confutazione. A Milano si vota in maggio e certamente il risultato elettorale potrebbe permettere di tentare di rimettere in discussione l’impostazione del piano, pur con tutte le difficoltà dovute ai diritti acquisiti che non mancheranno certo di essere rivendicati dagli interessati.
Ma il punto vero è che questo piano è il frutto terminale e velenoso della divaricazione crescente tra la geografia reale e quella del potere. Area metropolitana sempre più vasta e sempre meno governata e potere sempre più concentrato e incontrollato dentro la cinta daziaria di Milano. Superare questa contraddizione, divenuta lacerante a Milano ma presente ed acuta anche in altre città italiane, mentre le città europee sono riuscite a strutturare sempre più efficacemente la propria pianificazione d’area vasta, vuol dire mettere mano alla formazione della città metropolitana. Se il nuovo sindaco di Milano saprà compiere il passo decisivo in questa direzione si potrà sperare non solo di liquidare l’orribile Pgt ma di aprire una stagione nella quale, finalmente le risorse ambientali, culturali ed economiche di tutta l’area possano essere utilizzate in vista di un vantaggio comune di sistema a più grande scala.
Auguriamoci che, sia pure con mezzo secolo di ritardo, Milano riesca a riagganciare lo standard di pensiero delle metropoli europee.