Titolo originale: Not so grim up north – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
Stanno ovunque, addirittura sui cartelli “Non calpestate le aiuole”: più o meno 700 Soli delle Alpi, i simboli della Lega Nord di Umberto Bossi, appiccicati sulla scuola di Adro, piccolo centro nella valle del Po e ultimo episodio della infinita guerriglia tira e molla fra la Lega e il governo di Roma di cui fa parte.
Da quasi dieci anni, a partire dalla fine degli anni ‘90, il sogno leghista di liberare la “Padania” (Italia settentrionale) era liquidato come una bizzarria. Oggi non più. Dal 2008 il governo di Silvio si regge in parlamento sui voti della Lega. E per assicurarsene il sostegno il primo ministro nelle ultime settimane ha promesso di accelerare l’attuazione del “federalismo fiscale”, idea leghista non chiarissima di maggiore autonomia finanziaria.
Ma se il governo dovesse cadere l’anno prossimo a causa delle divisioni fra le sue componenti non leghiste, Bossi e i suoi fedeli sarebbero i primi ad avvantaggiarsene nelle elezioni. I sondaggi li mostrano in crescita nelle percentuali sin dalla consultazione del 2008.
Come accade a tanti altri partiti in tutta Europa, la posizione anti clandestini e anti-islam dei leghisti ottiene consenso. Appartiene al partito il ministro dell’interno Roberto Maroni, che ha attuato la discussa politica di respingimenti nel Mediterraneo prima che possano chiedere asilo politico. L’islamofobia abbonda nella Lega. Un altro ministro, Roberto Calderoli, tempo fa ha portato a passeggio un maiale sul terreno destinato alla costruzione di una moschea.
Ma tutta questa xenofobia in sostanza è solo un prodotto collaterale del tentativo di Bossi di costruire una identità condivisa fra quelli che cerca di unire. “Un metodo è quello di individuare nemici comuni” racconta Alessandro Trocino, coautore di un recente libro dedicato alla Lega. “Prima erano gli italiani del Sud, poi gli immigrati in genere, adesso in particolare i musulmani”.
Il messaggio di Bossi si dimostra sempre più efficace anche per l’elettorato tradizionale della sinistra. Un sostegno cruciale per la straordinaria affermazione alle elezioni del 2008. “Non siamo né di destra né di sinistra” commenta Ettore Albertoni, ex consigliere regionale della Lombardia, l’area attorno a Milano. Un’affermazione che ha qualche fondamento: molti elettori della Lega sono sia lavoratori che imprenditori: contadini proprietari, artigiani, esercenti.
Sarebbe davvero ironico se il prossimo anno, centocinquantei anniversario dell’unità d’Itaia, si rivelasse l’ annus mirabilis della Lega. Ma Giuseppe Berta, autore di uno studio sull’Italia settentrionale, spiega “Il partito ha raggiunto un culmine. E ciò significa che sta iniziando il calo”. Perché, continua, ha degli ineliminabili handicap. Dipende dal carisma di Bossi (rimasto intatto nonostante l’ictus del 2004 che gli ha lasciato qualche difficoltà di espressione). Gli elettori urbani sono disorientate dal suo populismo, dalle volgarità (recentemente ha definito i Romani “porci”) e dalle varie mitologie (la tradizione Celtico-padana). Il professor Berta sostiene che la Lega non è ancora riuscita a dotarsi di leaders in grado di gestire qualcosa di più grande di una cittadina. Ma no tutti sono della medesima opinione. Maroni è fra i ministri più popolari del governo. Luca Zaia, che ha abbandonato un a poltrona ministeriale in aprile, viene considerato un ottimo governatore del Veneto.
Molto dipende dall’ottenimento o meno del federalismo fiscale chiesto dalla Lega, e se ci si arriva a come si useranno i nuovi poteri. Trocino è convinto che a Bossi e ai suoi convenga, avere qualche promessa eternamente rinviata. “Ricordiamoci della battuta di Oscar Wilde: quando gli dei vogliono punirci, rispondono alle nostre preghiere”.