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Edoardo Salzano
Morisi: Autodifesa o autodenuncia?
18 Gennaio 2008
Toscana
La lettera di Massimo Morisi sollecita nuove critiche, su alcuni aspetti decisivi del dibattito attuale, a proposito di Castelfallfi e oltre

Se si vuol discutere con qualcuno la prima cosa è ammettere la sua buona fede. Dò per scontata la buona fede e l’onestà intellettuale di Massimo Morisi, e perciò non dirò che è un “accolito” di Riccardo Conti (e mi piacerebbe che lui non parlasse di “Alberto Asor Rosa e dei suoi accoliti”). Dò per scontata anche l’intelligenza di Morisi e credo volentieri che egli abbia applicato correttamente, come non dice solo Luigi Bobbio, la tecnica della partecipazione locale.

Ciò detto, mi sembra che Morisi, nella sua autodifesa dalle critiche all’intervento di Castelfalfi presti il fianco ad alcuni ulteriori motivi di critica. Mi sembra utile proporli anche perché il tema della partecipazione è tornato oggi all’attenzione dell’opinione pubblica, soprattutto in relazione alla Toscana e alla legge in proposito, recentemente approvata dal Consiglio regionale.

Vorrei partire da un concetto, che è stato chiaramente espresso da Alberto Magnaghi (un appassionato apostolo della partecipazione locale): quello che egli definisce “interscalarità”. “Se si vuole attribuire ai processi partecipativi il ruolo di strumento di intervento della cittadinanza attiva sulla costruzione del proprio futuro – ha scritto su eddyburg Magnaghi - è chiaro che tematiche come la qualità dell’ambiente di vita, la produzione, il consumo, la qualità dell’alimentazione, la mobilità, il paesaggio, le strategie di sviluppo, ecc. richiedono una forte interscalarità degli attori interessati e delle istituzioni coinvolte, dai comuni ai circondari, alle province alla regione”. In altri termini, la partecipazione “richiede la realizzazione integrale del principio di sussidiarietà per affrontare i problemi alla loro giusta scala di risoluzione”.

Declinare il principio di sussidiarietà nel contesto italiano richiede di interrogarsi (se si vuole adoperare il termine “sussidiarietà” secondo il modello europeo di Jacques Delors e non secondo quello dialettale di Umberto Bossi) su quali siano i livelli di governo e di appartenenza, le “comunità”, cui sono affidati patrimoni materiali e morali del Paese. In particolare – visto che di questo si è soprattutto discusso a proposito di Castelfalfi – quel bene comune che è il paesaggio. La Costituzione del 1948, nei suoi immoodificati principi, è molto chiara in proposito: la tutela del paesaggio è compito solidale della Repubblica, cioè dello Stato, della Regione, della Provincia, del Comune, i quattro livelli nei quali la Repubblica italiana si articola.

Ogni livello di governo, ogni comunità (quella locale e comunale, e via via fino a quella nazionale) esprimono interessi meritevoli di rappresentazione e di considerazione: quelli più vicini e diretti, come quelli più lontani e generali. La domanda è: è giusto che a decidere sul destino di un tassello del meraviglioso mosaico del paesaggio italiano sia la sola comunità di Castelfalfi? Ed è giusto che l’unico interesse sovralocale rappresentato con energia nel processo partecipativo di Montaione sia quello espresso dai rappresentanti di una istituzione che hanno predicato e praticato il più smaccato mix tra centralismo regionale (in materia di infrastrutture e altri grandi opere) e delega piena ai comuni (in materia di gestione del territorio e del paesaggio)? I cittadini della Toscana, dell’Italia (e dell’Europa) avrebbero anch’essi il diritto di essere coinvolti con pienezza di rappresentanza in un processo partecipativo compiuto.

Chi, nel concreto, ha rappresentato gli altri cittadini, le comunità più ampie di quella locale, i livelli di governo sovraordinato nelle assemblee di Montaione? Avrebbe potuto e dovuto svolgere questo ruolo il presidente della Regione Toscana, Claudio Martini. Egli infatti è stato presente ed è intervenuto nel dibattito. Ma basta leggere alcuni passi del suo intervento (nel rendiconto del Garante della partecipazione, che riportiamo qui sotto) per rendersi conto di come egli abbia saputo interpretare le ragioni degli altri.

“Il presidente ha sottolineato la valenza regionale della vicenda-Castelfalfi, perché ha a che vedere con lo sviluppo turistico della Toscana e perché può aiutare a decongestionare le città d’arte, creando alternative di qualità e puntando ad un turismo non mordi e fuggi”. Ciò che interessa, insomma, è “lo sviluppo del turismo”. Il prezzo che si paga in termini di snaturamento del paesaggio non conta.

“Martini – prosegue la sintesi ufficiale dell’intervento - ha polemizzato sia con l’isteria di tanti dibattiti politici, sia con chi vuole che si tolga l’urbanistica ai Comuni, centralizzando le decisioni. Si tratterebbe – ha precisato – di un drammatico passo indietro, anche perché nessuna Sovrintendenza o nessun ufficio ministeriale sarebbero in grado di organizzare e gestire un processo partecipativo come questo. E’ dunque bizzarra la posizione di chi chiede di abolire tutto ciò che sta tra i comitati locali e il livello statale”. Non risulta che nessuno abbia chiesto ciò. Ma attribuire all’avversario richieste palesemente assurde serve a screditarlo. Un artificio polemico adoperato nella “isteria di tanti dibattiti politici”, assolutamente impropria nell’intervento di chi dovrebbe esporre le ragioni dei “livelli sovraordinati”.

Allora una prima domanda a Massimo Morisi. È politicamente e culturalmente, corretto un processo di partecipazione in cui l’unico contrappeso all’espressione degli interessi locali, l’unica traccia di “interscalarità”, sia quello costituita dalle parole espresse dall’attuale presidente della Regione, il quale per di più ha affermato che gli unici oppositori all’intervento della multinazionale TUI sono “gli intellettuali proprietari di ville in Toscana”?

Una seconda domanda nasce da un’affermazione che Morisi esprime nella sua lettera di risposta alle critiche. Egli afferma: “Naturalmente, trovandoci anche noi, nell’infausta Toscana, entro quella ‘incresciosa’ situazione di un regime capitalista fondato sulla proprietà privata dei suoli, Tui potrebbe anche mandare tutti al diavolo, frammentare la vendita dell’area e affidarla a un incerto destino di villette a schiera (...anche perché sia i sindaci sia le opinioni sia gli strumenti urbanistici possono sempre cambiare)”.

Insomma, per il garante della partecipazione o a Castelfalfi avviene lo stravolgimento fisico e sociale che il progetto annuncia, oppure il suo futuro è di diventare come Monticchiello: “un incerto destino di villette a schiera”. E perché mai? Non è possibile immaginare un assetto urbanistico nel quale non diventi dominante ed esclusiva la monocultura turistica, non domini la privatizzazione d’ogni elemento del territorio, e in cui invece l’equilibrato rapporto tra le utilizzazioni del territorio e la sua forma diventi l’obiettivo primario? E in cui gli interventi edilizi privilegino il recupero, non lo stravolgimento, delle strutture storiche? E se oggi questo non fosse possibile, se le uniche convenienze economiche sono quelle delle multinazionali del turismo globale e non il tessuto delle economie locali, non sarebbe più saggio conservare quello che c’è in attesi di tempi migliori, praticando una intelligente politica di conservazione?

Certo, per farlo occorrerebbe che ogni istituzione svolgesse appieno il suo ruolo. Bisognerebbe che la Regione fosse consapevole di dover svolgere, in stretta intesa con lo Stato, un ruolo decisivo ai fini della tutela del paesaggio.

Bisognerebbe che le scelte della Regione Toscana fossero fedeli alla lettera e allo spirito del Codice del paesaggio. Bisognerebbe perciò che il Piano d’inquadramento territoriale (malamente camuffato in Toscana da piano paesaggistico) stabilisse precise invarianti territoriali: precise regole da rispettare da parte di tutti, anche da parte dei potenti, anche in una regione che si trova, per adoperare le parole di Morisi, “entro quella ‘incresciosa’ situazione di un regime capitalista fondato sulla proprietà privata dei suoli”. (Ma la privatizzazione dei beni pubblici, lo sfruttamento economico immediato, lo stravolgimento dei fattori naturali e antropici che caratterizzano il paesaggio, non sono stati e non sono praticati da tutti i capitalismi: sono un ‘privilegio’ del nostro, nel quale la rendita continua a essere la componente prevalente del reddito, e quella della quale gli interessi economici prevalenti si impadroniscono più volentieri).

Bisognerebbe, infine, che in Toscana (e magari in tutte le regioni d’Italia) si comprendesse, da parte dei governanti e dei loro consiglieri, che “valorizzare” non significa sfruttare nell’immediato i patrimoni costruiti da una società che, nei secoli, ha applicato lavoro e cultura al territorio, ma restituire e mettere in evidenza il loro valore originario. Questo per la verità è difficile immaginarlo nel breve periodo, dato che si deve a Claudio Martini, attuale presidente della Regione, la proposta dell’infausta separazione tra “tutela” e “valorizzazione” introdotta nelle nefaste modifiche costituzionali del 2001.

Mi rendo conto che parlare di valorizzazione in termini diversi da quelli della riduzione d’ogni bene a merce e d’ogni valore a valore di scambio, alludere a un concetto di sviluppo che non coincide con l’accrescimento del PIL, parlare di autonomia della politica sull’economia, sostenere che può essere opportuno conservare per domani quello che oggi corre il rischio d’essere solo distrutto e degradato, significa parlare di un mondo che è diverso da quello attuale: un mondo che in gran parte deve essere costruito.

E il problema, se si va al fondo della questione, è proprio questo. L’attuale establishment toscano (e italiano) è convinto che tempi radicalmente diversi da quelli attuali non siano possibili. L’economia della globalizzazione è quella che comanda, ora e sempre e così sia. È l’economia che comanda sulla politica: quest’ultima può temperarla, ammortizzarne gli effetti più rischiosi, ammorbidirne gli impatti: non guidarla o trasformarla . E la politica costruisce il consenso, la sopravvivenza dei propri apparati, sollecitando gli interessi economici immediati: sono essi che devono prevalere su quelli più generali e strategici, di lungo periodo.

Non meraviglia troppo che anche in Toscana, anche nell’antica “regione rossa”, sia questa l’ideologia che si è affermata. So bene che una parte molto consistente degli abitanti della parte “avanzata” del pianeta è pervasivamente formate da un tendenziale “pensiero unico” che privilegia l’individuo sulla comunità, il privato sul pubblico, l’immediato sul remoto, il vicino sul lontano, l’eguale sul diverso. Che i dogmi di questo “pensiero unico”, di questa ideologia, prevalgano anche a Montaione non ci meraviglierebbe, e neppure ci meraviglierebbe troppo che essi fossero condivisi da Morisi. Ma in quest’ultimo caso dobbiamo dire che ci sarebbe piaciuto un “garante” più equilibrato – oppure, per adoperare il linguaggio corretto, “diversamente equilibrato”.

P.S. – Nella rassegna della stampa che correda la documentazione esibita dal Garante nel sito dedicato al processo partecipativo è assente, tra l’altro, un articolo nel quale, sulla rivista Carta, ho espresso le ragioni per cui sono contrario all’intervento di Castelfalfi. Si può leggerlo qui.

Qui la lettera di Massimo Morisi. E qui sotto è scaricabile l’intervento del Presidente della Toscana, Claudio Martini. L'mmagine è tratta dal sito www.montaione.de

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