In occasione della presentazione del volume “Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna”, a cura di Maria Pia Guermandi e Valeria Cicala, 2007 Bononia University Press, si è svolto a Roma, nella sede del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme, il 6 giugno 2007, un convegno dal titolo: “Politiche culturali e tutela: dieci anni dopo Antonio Cederna”. Dell'iniziativa che è stata occasione di ricordo di Antonio Cederna, ma anche di discussione sugli attuali problemi della difesa del patrimonio culturale e paesaggistico e sulla situazione dell'urbanistica italiana ed in particolare romana, pubblicheremo in eddyburg alcuni interventi a partire da quello di Rita Paris dedicato all'Appia Antica, per la cui tutela Cederna si battè per più di quarant'anni. (m.p.g.)
Dell’Appia mi occupo dall’inizio del 1996; pochissime sono state le occasioni di incontri ufficiali in cui era presente anche Antonio Cederna, presidente dell’Azienda Consortile del Parco dell’Appia, ancora non operativa all’epoca.
Grata per la fiducia che Adriano La Regina aveva voluto riporre in me e che Angelo Bottini ha confermato, mi sono resa conto ben presto che l’insieme delle leggi a tutela dell’Appia non era tuttavia sufficiente a garantirne la salvaguardia; sebbene negli uffici della Soprintendenza Archeologica di Roma pervenissero da sempre numerosissime richieste di pareri per ogni tipo di intervento da realizzare e nonostante sembrasse universalmente acclarato che l’Appia riveste elevatissimo interesse archeologico e monumentale.
Nel 1998 siamo riusciti a far approvare il decreto ai sensi della legge 431/85 (legge Galasso) art. 1, lettera m) sulle zone di interesse archeologico che si sovrapponeva alla precedente L. 1497/39 e a estesi settori di vincolo archeologico per buona parte del territorio (ma non la totalità) che riperimetrava tutto il comprensorio dell’Appia (dall’Ardeatina all’Appia Nuova), con aggiunta di aree di grande pregio come la tenuta di Tor Marancia, che Cederna aveva individuato tra le priorità per la salvaguardia di tutto il sistema. Nell’impegno per Tor Marancia ho avuto la fortuna e l’onore di lavorare a strettissimo contatto con Italo Insolera, Vezio De Lucia e Carlo Blasi, illuminanti per questo e altre problematiche a seguire, sempre ancora oggi, insieme a Vittoria Calzolari, punti di riferimento insostituibili.
Mi sentivo più tranquilla con la copertura della L.431/85, lettera m) ma mi sbagliavo, perché, a parte la procedura indicata nell’art.13 della Legge Regionale 24/98 sulla tutela e pianificazione paesaggistica in merito alla necessità anche dei pareri della Soprintendenza Archeologica, la tendenza era ed è, anche in ambito ministeriale, di non riconoscere alla Soprintendenza Archeologica che ha proposto il provvedimento di vincolo non solo la titolarità del procedimento ma alcuna competenza, trattandosi di un vincolo paesaggistico.
Anche l’avvio dell’operatività dell’Ente Parco - nel frattempo la legge istitutiva aveva lasciato il posto alla legge sulle aree naturali protette, con modifiche nello statuto e nella composizione della CdA dell’Ente da cui era scomparsa ogni rappresentanza del Ministero, con cui ho sperato di poter condividere, pur nelle distinte competenze, il peso di un impegno così oneroso - incominciò a creare qualche problema di conflittualità per il ruolo preminente e totalizzante che si voleva riconoscere all’Ente. All’Ente spettano compiti di pianificazione, gestione, tutela, promozione e altro su un territorio il cui preminente valore è archeologico storico monumentale paesaggistico, senza alcuna partecipazione delle Soprintendenze.
Quindi ho dovuto combattere non poco con tutti gli uffici dell’amministrazione comunale per poter continuare, almeno come prima, a svolgere i controlli e esprimere i pareri per ogni intervento. D’altro canto cosa non riveste interesse archeologico in un tale contesto?
Mentre faticosamente si cercava di andare avanti nella tutela quotidiana, con le pochissime ma affiatate persone che compongono il poco attrezzato ufficietto dell’Appia in Soprintendenza, le uniche con me a conoscere effettivamente lo stato delle cose, si è tentato di far passare qualche altro vincolo specifico (con scarsissimi risultati), si è arricchito il patrimonio con scavi, restauri, si sono aperte al pubblico la Villa dei Quintili, il complesso di Cecilia Metella con il Palazzo Caetani, si è ridata dignità alla strada e ai monumenti che la fiancheggiano, si è acquisita qualche proprietà tra polemiche inimmaginabili come quella suscitata per la prelazione di Capo di Bove, rivelatasi area archeologica di primario interesse, dove verrà a brevissimo ospitato l’archivio che la Famiglia Cederna ha voluto donare allo Stato, secondo un piano di ricerca e di studi che sarà ampiamente condiviso.
Ecco, contemporaneamente, manifestarsi travolgente il fenomeno dei condoni edilizi che dalla fine degli anni ‘90 a migliaia si stavano rilasciando per questo territorio, come per altri di pregio della città, senza la minima considerazione dell’esistenza di vincoli.
Riunioni da far venire il mal di fegato dove tra violente manifestazioni di arroganza e incompetenza dovevo cercare di dimostrare che, nell’insieme delle leggi esistenti, il nostro parere era necessario e che si stava trattando dell’Appia per la cui difesa Cederna aveva speso una vita. In questi contesti non ho mai trovato una sola persona a cui stesse a cuore il destino di questo territorio. A nulla sono valsi i tentativi di trovare un sostegno presso il Ministero a vari livelli, le denunce alla Procura e presso gli organi della stampa che sono parsi in questi anni i più interessati al problema e non solo per uno scoop giornalistico.
E’ per questo che chiederei di selezionare attentamente le figure che possano parlare o scrivere o promuovere iniziative per Antonio Cederna, il cui nome, a mio avviso, è stato usato da molti senza consapevolezza e dunque indegnamente.
Potrei parlare ore, far vedere immagini, citare esempi eclatanti. Non riuscirei comunque a rendere l’idea del reale stato delle cose, dell’intrigo dei problemi di competenze, di interessi privati.
Di fatto il piano regolatore dell’Appia è stato l’abusivismo o come si dice lo sviluppo edilizio spontaneo che ha portato a stralciare la zona di Cava Pace dai perimetri del Parco e presto porterà, secondo anche le previsioni di alcuni punti del Piano di Assetto del Parco, a riconoscere di fatto le trasformazioni per gli abusi, distinguendo le zone con una gerarchia che non doveva esistere, perché già 50 anni fa se ne era riconosciuta la continuità e l’omogeneità e quindi prescritta l’integrità della conservazione.
I diritti dei privati sono sempre sostenuti da licenze per commercio o attività del tutto improprie rilasciate da uffici della stessa amministrazione che dovrebbe conoscere le limitazioni imposte dalle proprie leggi. Ci ritroviamo così di fronte, quando va bene, a vivai spontanei cresciuti a dismisura che si attrezzano ovviamente con uffici e ristoranti, a impianti sportivi completamente abusivi con campi, club house, ristoranti, piscine, sempre molto ambite dai poveri sfortunati che non sono riusciti a farle passare nei condoni precedenti e che si presentano travestite da riserve idriche o cose del genere, con tanto di pressioni di personaggi politici. Ma non mancano i rimessaggi di grossi veicoli, di roulottes, di materiale per edilizia, i capannoni industriali e la recente intensa attività edilizia, con una variegata gamma di tipologie, che ha completamente occupato le aree preziose della campagna romana, con continue esigenze di crescita, raramente mascherate da attività agricola. I casali più belli ospitano cerimonie e feste, gareggiando con fuochi d’artificio dove dovrebbe dominare il silenzio, allontanando sempre più la presenza dell’intermittenza luminosa delle lucciole.
E non parliamo degli intoccabili a cui è stato consentito di acquistare importanti proprietà con monumenti universalmente noti e che non hanno voluto o saputo avere il rispetto per il luogo scelto esagerando nelle trasformazioni e negli usi.
Da anni vado ripetendo che almeno dall’approvazione del PRG nel 1965 il decreto introdotto direttamente dal Ministro Mancini a tutela di tutto il comprensorio dell’Appia per i suoi straordinari valori archeologici, storici, paesaggistici, ne aveva prescritto la assoluta inedificabilità e la destinazione a parco pubblico ma tutti sembrano ignorare questo atto fondamentale che solo sarebbe bastato a salvare almeno l’integrità delle aree se non ad acquisirle tutte al pubblico.
La lettura e la periodica rilettura di tutti gli articoli di Cederna sull’argomento fa sembrare tutto più incredibile: ciò che lui ha denunciato dal 1953 e che appariva intollerabile già allora è stato superato da migliaia di altre illegalità portate avanti con arroganza e tenacemente difese da grandi studi legali, spesso sostenute dai pareri dei tribunali, a danno del patrimonio e dell’interesse pubblico.
Rispetto a quel decreto e all’illuminato appello rivolto al Governo nel 1954 da parte di importanti personaggi del mondo politico e culturale (pubblicato da Cederna su il Mondo) che mette in relazione i ruderi, i monumenti, le statue con la campagna romana come un tutto inscindibile e come “monumento da conservare religiosamente intatto, quale patrimonio comune dell’umanità”, si assiste oggi a un vergognoso arretramento nel senso della tutela in particolare archeologica che si vuole circoscrivere sempre più alla testimonianza emergente, neutralizzando ogni tentativo di una visione più ampia.
Spesso credo che dovrei lasciare questo incarico esprimendo pubblicamente l’impossibilità e l’inutilità di andare avanti, se non accade qualcosa, in quanto tutto sembra finire nelle stanze del mio ufficio…., per lo più dovendosi difendere anche da quelle persone o istituzioni dalle quali ci si aspetterebbe aiuto, condivisione, forza.
E questo mentre al di fuori si crede che l’Appia sia un Parco, mentre una cartellonistica ne segna il perimetro, mentre i turisti disorientati si domandano dove sia questo Parco, come può essere visitato, al di là di quel poco di pubblico che esiste (Caffarella, Massenzio, Quintili, la strada stessa).
Non è frequente l’occasione di un incontro così in cui con tante persone amiche e competenti si è nella felice circostanza della presentazione di un volume come questo: oltre al merito degli elevati contenuti sembra sia arrivato, come per magia, un nuovo impulso ai temi trattati e si è accesa, almeno in me, una speranza nuova. Desidero ringraziare per questo splendido dono tutti quelli che vi hanno contribuito e in prima linea le curatrici del volume.