Il giornale mi mandò in Sardegna, per una inchiesta sui porti, nel 1960. Avevo 24 anni, l’Italia appariva ancora, in tanti posti, integra e bellissima. Non ero facile agli stupori. Tuttavia quella terra segreta e intatta, quei paesaggi antichi e quasi del tutto intoccati mi emozionarono, mi entrarono dentro in modo tutto speciale. Certo, il sottosviluppo lo si respirava. A Sassari non c’erano neppure dei veri taxi alla stazione, ma soltanto moto-taxi. Andando verso Cagliari, sulla Carlo Felice, incontrammo qualche rara vettura e pochi camion. A Macomer c’erano donne in costume tradizionale in strada e certo non aspettavano noi, sparuti turisti di passo. Poi è successo quello che è successo, travolgendo spesso piani e tutele.
“Abbiamo costruito villaggi fantasma e reso fantasmi i nostri paesi”, ha commentato amaro il governatore Renato Soru lanciando una sorta di nuovo “manifesto” programmatico per la sua isola. In base al quale si vuole dare precedenza assoluta alla salvaguardia delle coste e al restauro, recupero, riqualificazione di quanto già stato costruito.
“C’è qualcosa di molto triste e perfino drammatico nei villaggi vacanze”, osserva un fine intellettuale sardo, Giorgio Todde, “c’è qualcosa che lascia inebetiti nella vita sintetica del villaggio dove si mangia si dorme, si balla, si nuota in piscine irreali, poi si mangia di nuovo, si dorme di nuovo in un ciclo rotondo e animale di cibo, deiezione e sonno”. Dal quale la Sardegna vera è esclusa, là, fuori dal recinto..
A questo punto dovrei indicare le zone dell’isola che ancora si presentano integre a chi vi risiede o a chi vi si reca in viaggio, in vacanza. Il ventaglio della scelta, nonostante tutto, è ampio. Volete, miracolosamente, una grande area a pochi minuti dal traffico di una città come Cagliari? C’è il promontorio di Sant’Elia. Oppure, ad un passo dalla città, il parco della laguna di Molentargius e quello della Sella del Diavolo. Natura, storia, archeologia, lì c’è tutto, in modo affascinante. Anche il Sinis vanta ambienti e paesaggi strepitosi, come del resto la zona attorno a Bosa. All’interno poi ci sono il Gennargentu o il Supramonte. Ma, se vogliamo restare sul mare, scegliamo allora la Costa Verde nell’Iglesiente, detta anche il Sahara d’Italia per l’ampiezza inusitata degli arenili e delle dune che li proteggono. Anche 3.000 ettari ininterrotti.
Sulla Costa Verde si possono meglio capire quante risorse conservi questa grande isola (in passato molto spesso colonizzata da questo o quel popolo e però rimasta fieramente se stessa) e quanti rischi essa corra tuttora. Siamo in un distretto minerario che nell’Ottocento ha attratto, fra Montevecchio, Ingortosu, Funtanazza, Piscinas, Naracauli, Scivu, Pistis, investitori da mezza Europa, per il piombo e per lo zinco (oggi esauriti). Investitori professionali, francesi, belgi, inglesi come lord Brassey, a lungo titolare della “Pertusola”. O improvvisati come uno dei romanzieri europei più amati, Honoré de Balzac, sempre in caccia di febbrili speculazioni regolarmente finite male.
In questa costa sud-occidentale dell’isola, che si apre con la località, anch’essa mineraria, di Arbus, ci sono dune di una vastità e di una bellezza abbaglianti, dune le quali penetrano anche per 2 chilometri nel retroterra dove vigoreggia la macchia mediterranea, col lentischio, il corbezzolo, il ginepro, il cisto. E poi, dovunque, pini e pinastri. Migliaia di ettari di dune, altrove distrutte e cementificate. Chilometri e chilometri di arenili incontaminati da interventi dell’uomo.
Dietro il mare verde, dietro queste dune imponenti, dietro la macchia mediterranea, regno del cervo sardo, nell’interno i villaggi dei minatori, le ville liberty, spesso in granito, dei dirigenti, tutto ciò che ha fatto di questi luoghi una comunità di lavoro, con l’epos unico delle miniere. A Montevecchio le gallerie si inoltrano per un centinaio di chilometri, con pozzi fino a 350 metri di profondità. Altre gallerie perfino a picco sul mare, a Porto Flavia, una costa di roccia alta e accidentata. Su tutto domina il Monte Arcuentu che è come una fortificazione naturale di basalto dovuta a remote eruzioni vulcaniche.
Ne parlo con una certa apprensione. Nella Sardegna investita dal “boom” del cemento turistico si è molto costruito – prima del decreto salva-coste votato dalla Giunta Soru nel 2005 e che preservava una fascia di 2 chilometri – e si è costruito, “normalmente”, a 200 o 300 metri dal mare. Con prezzi d’acquisto che nella scorsa stagione oscillavano fra i 1.300-1.600 euro al mq di Muravera, entrata da poco nel business, e i 2.500-4.000 di Golfo Aranci. Anche se nella prima località c’erano ancora – e risultavano gradite – non poche case del vecchio paese. Ecco tornare il discorso iniziale del governatore-imprenditore Renato Soru e del Piano Paesistico Regionale (di cui si parla qui sotto): non più villaggi turistici aperti pochi mesi l’anno, e che intanto si “mangiano” natura e paesaggio, ma paesi antichi o vecchi che siano sempre più intensamente vissuti. Da tutti.
IL PIANO SALVACOSTE
Renato Soru, presidente della Regione Sardegna, è balzato agli onori della cronaca per la polemica sulla tassa sul lusso (megayacht, seconde case) con Flavio Briatore, manager della scuderia Renault in FormulaUno, proprietario del Billionaire di Porto Cervo. Al governatore sardo si deve il più grande piano paesaggistico mai disegnato in Italia: tutelerà 1.731 Km di coste e il loro entroterra. Un piano impostato, nelle linee-guida, da un comitato di esperti coordinati da Edoardo Salzano (titolare, fra l’altro, dell’utilissimo sito di paesaggio e ambiente, eddyburg.it) e realizzato però dagli uffici tecnici regionali. “Conservare e gestire responsabilmente il paesaggio, prodotto del millenario lavoro dell’uomo su una natura difficile, significa conservare l’identità di chi lo abita. Un popolo senza paesaggio è un popolo senza identità né memoria”. Ecco la filosofia del PPR.
Di qui le linee-guida: priorità alla preservazione delle risorse paesaggistiche, al loro ruolo strategico sul piano culturale, alla riqualificazione e al recupero dell’esistente, a forme di sviluppo fondate su di una nuova cultura dell’ospitalità “sottratta alle ipoteche dello sfruttamento immobiliare ed agli effetti devastanti della proliferazione delle seconde case e dei villaggi turistici isolati”.
Una precisazione
Le linee guida per il Piano paesaggistico regionale sono state elaborate dalla Giunta regional; ad esse il Comitato scientifico ha suggerito alcune limitate integrazioni, collaborando poi al lavoro dell’Ufficio di piano (e.s.).