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Eddytoriale 96 (11.11.2006)
10 Giugno 2008
Eddytoriali 2006
Tre livelli d’illegalità contrassegnano la vicenda del MoSE. Non esiste un progetto esecutivo del complesso di opere di cui si è iniziata la realizzazione, obbligatorio per legge. L’unica esistente valutazione d’impatto ambientale, obbligatoria per legge, è negativa (sebbene il decreto che la ratificava sia stato annullato dal TAR per ragioni formali). Il Consorzio Venezia Nuova non avrebbe più potuto, per una legge del 1993, essere “concessionario unico” per gli studi, le sperimentazioni, le progettazioni e l’esecuzione dei lavori.

Ciò nonostante, il più appariscente attore della stagione di Mani pulite, il più acceso paladino della legalità, il ministro Antonio Di Pietro, e con lui il prudente ed equilibrato premier Romano Prodi, hanno imposto al Consiglio dei ministri di blindare ogni decisione e decretare la validità del MoSE. La forzatura (il blitz, lo hanno chiamato i giornali) è avvenuto alla vigilia della riunione del Comitato per la salvaguardia di Venezia e che era stato convocato per esaminare, su richiesta del Comune di Venezia, le ipotesi alternative: più leggere, più economiche, più affidabili, meno rischiose per la vita della Laguna. Nel Comitato, cui sono sottoposte le decisioni sui finanziamenti per la salvaguardia di Venezia e della Laguna, siedono i rappresentanti di quattro ministeri, della Regione, della Provincia, del Comune di Venezia e del rappresentante degli altri comuni lagunari.

Il blitz è avvenuto perché, nonostante l’immane apparato propagandistico del Consorzio Venezia Nuova, alimentato dai soldi dei contribuenti, la verità sugli errori del sistema MoSE si stava facendo luce. La maggioranza del Comitato poteva oscillare. Qualche ministro aveva studiato le carte (che inutilmente erano state da tempo trasmesse a Prodi e a Di Pietro), e il gigantesco apparato messo in piedi dal Consorzio Venezia Nuova poteva vacillare. I danni all’ecosistema lagunare potevano non commuovere troppi, ma il dubbio di gettare soldi in un pozzo senza fondo potendone spendere meno poteva sollecitare qualche attenzione. Meglio non rischiare. Meglio costringere i ministri a indossare l’elmetto e dichiarare “Obbedisco!”. (Lo faranno? Vedremo). Meglio dare uno schiaffo al Sindaco-filosofo di Venezia, e magari fargli minacciare le dimissioni.

L’ignoranza sulla realtà della Laguna e dello Mose, favorita dalla complicità di gran parte della stampa, è enorme. E altrettanto grandi sono gli interessi (privati) coinvolti. Il Consorzio Venezia Nuova è composto dai colossi del settore dell’edilizia, e l’entità della spesa prevista è di 4,5 miliardi di euro: ma tutti sanno che il consuntivo sarà molto più alto. Nessuno sa chi pagherà la gestione (certamente costosissima, data l’entità delle installazioni sotterranee, la struttura metallica delle parti sommerse, la delicatezza degli impianti, la continuità delle operazioni richieste). E nessuno ha avuto la possibilità di sperimentare a fondo le soluzioni alternative, dato il monopolio concesso dallo Stato (per la precisione, dal ministro Franco Nicolazzi, con un altro blitz) al poderoso Consorzio.

Elasticità nel rispetto della legge e subordinazione agli interessi forti sembrano essere gli elementi di continuità tra il vecchio e il nuovo governo. Difficile dire se ciò dipende da una oggettiva confluenza di atteggiamenti oppure – per il governo Prodi – dalla circostanza di affidarsi a consiglieri “amici del giaguaro”.

Moltissimi documenti sulla vicenda sono reperibili nell’apposita cartella dedicata al MoSE. In particolare: sull’obbligo non rispettato di por termine alla “ concessione unica” al CVN, la replica di Luigi Scano alle bugie del Ministro Lunardi; un quadro complessivo, tracciato da Edoardo Sazano, della questione MoSE e Laguna,in una sintesi su Liberazione e in un saggio ampio su Area vasta; sulle proposte alternative “ a gravità” e ARCA; infine, il testo della relazione della Commissione ministeriale per la Valutazione d’impatto ambientale.

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