Parco. Dall’antico francese parc; dal latino medievale parricus, a sua volta derivante dall’equivalente germanico dell’Anglo-Sassone pearroc. 1. nella legge inglese, area delimitata di terreni per volontà reale destinata alla caccia e a questo scopo ripopolata e conservata. 2. superficie di terreno che contiene laghi, prati, boschi, circostante una grande dimora di campagna o possedimento privato. 3. area di proprietà pubblica, in particolare a) interna o adiacente a una città, di solito attrezzata di percorsi, aree da gioco ecc. per la ricreazione pubblica; b) spazio aperto nella città con panchine, alberi, ecc.; c) grande area caratterizzata da scenari naturali e tutelata per l’uso pubblico dal governo statale. 4. grande spazio circondato da montagne e foreste. 5. spazio destinato al deposito temporaneo di veicoli.
No, perché i dizionari servono sempre nel caso di dubbio. Uno ascolta, che so, un dibattito alla televisione e sente distintamente un signore che dichiara appassionato alle folle telespettative “Non voglio fare una città satellite, ma un corridoio verde attrezzato per collegare il parco di Monza ai quartieri san Rocco e san Donato. Smettiamola con il "dagli al cementificatore". Chi conosce Milano 2 e Milano 3 sa che sono parchi”.
Allora va a vedere, magari su un vocabolarione da cultura internazionale, di quelli che stanno spesso sugli scaffali dei veri managers, legge quelle cose lì, e capisce: bastava dirlo prima, no? Perché noi non siamo mica tutti managers internazionali, con gli orizzonti ampi a cogliere il vero senso delle cose, e i trecentottantamila metri cubi più strade vialetti e parcheggi e siepi e rotatorie ci parevano un’altra cosa. Non un parco, ma invece del parco. Il parco, pareva a noi, c’è già: si chiama area della Cascinazza per via della cascina che ci sta in mezzo, e in effetti a vederlo non è un vero parco come lo insegnano ai bambini, anche sui vocabolari. Mancano le panchine, la fontana coi pesci rossi, il laghetto. Ci sono invece campi di granturco e un po’ di sterpaglie, e qualche filare di pioppi lungo il fiume, oltre altri campi arati. In milanese c’è un temine dialettale che chiama “ parco agricolo” certi posti col granturco, le sterpaglie, i fossi coi pioppi … ma qui è troppo piccolo: c’è una strada a quattro corsie a poche centinaia di metri, e dalle altre parti spuntano rigogliosi i tetti di condomini e altro scatolame più difficilmente identificabile.
Al centro dell’area Cascinazza, quella che nelle cartine stradali si chiama via Antonio Rosmini, e per chi ci passa un tracciato sterrato che divide la zona in due ambienti distinti, dopo aver costeggiato gli edifici della cascina: è il Cardine della centuriazione romana. Ce la racconta tra l’altro nei particolari, questa cosa della centuriazione romana nell’agro milanese, un documento dal titolo La vera storia della Cascinazza – Luglio 2006. Documento non firmato in quanto tale, ma che si scarica in PDF dal sito forzaitaliabrianza.com, sito non esattamente ricchissimo e che contiene nell’ordine: a) una bandiera di Forza Italia; b) la scritta linkata Scarica il file PDF Area Cascinazza.
Ma quel documento interessa queste note soprattutto per un aspetto: il parco. Anche lì, fra legioni romane che tracciano centuriazioni nell’agro gallico cisalpino di Mediolanum, e presunte legioni di urbanisti monzesi che in un secolo a quanto pare sono riuscite soltanto a combinare pasticci, rispunta il toccasana per grandi e piccini del parco:
“Il disegno urbanistico proposto si fonda su quattro scelte principali:
- la costituzione del Parco fluviale del Lambro;
- la realizzazione di un grande Parco Attrezzato;
- la definizione di un nuovo bordo edificato;
- la nuova centralità urbana affidata alla Cascina Cascinazza”.
Poco importa, che quel “bordo edificato” si rapporti al quartiere esistente come un raddoppio in termini area urbanizzata, e un incremento assai superiore in termini di cubatura. Poco importa, ancora che a una cascina, tuttora al centro di una piccola porzione di campagna padana residua, venga appioppata inopinatamente una “nuova centralità urbana”. Qui si deve fare il parco (come già fatto a Milano 2 e Milano 3, no?), costi quel che costi.
Dev’essere una tendenza di area, di area politica intendo, questa cosa della transustanziazione del parco. Ci aveva pensato l’ineffabile Gabriele Albertini, qualche tempo fa, a chiamare Central Park una vagonata di grattacieli griffati con qualche alberello negli interstizi. Però forse non si trattava di una sparata personale (non vorrei accusare ingiustamente Albertini di avere delle idee) ma di una precisa filosofia politica, elaborata nelle rarefatte atmosfere intellettuali di Arcore.
Proseguendo di poco nella lettura del documento sulla Cascinazza, questa ipotesi si rafforza:
“Si noti … come sia possibile paragonare nel disegno urbano, la Cascina alla Villa Reale a nord, nel senso che la posizione ne fa la naturale porta di accesso al Parco e la struttura di attività di servizio allo stesso”.
Una sparata incredibile, tutta giocata sul medesimo motivo da cui nasce tutta la questione: il cuneo verde di uscita a sud dal centro storico del Lambro, che corrisponde a quello di ingresso a nord. Sopra, ad aprire le vedute dell’ampiamente progettato Parco, c’è la Villa Reale, monumento solitario ed eccezionale. Sotto, come banalmente ovvio trattandosi di campi coltivati, da qualche parte c’è una cascina, “naturale porta d’accesso” a un bel niente. Nel progetto di Monza Due, la cascina come spesso accade da queste parti ai vecchi edifici rurali assorbiti dall’urbanizzazione, è destinata a qualche tipo di servizio (basta farsi un giro nei comuni della zona per vedere decine di casi simili).
Ma, il parco, che fine ha fatto il parco? C’è, niente paura. In edizione tascabile, comodo e maneggevole. Un po’ come Cesare che zompava oltre il Rubiconde, il brianzolo del futuro dovrà scavalcare l’antico Cardine di centuriazione (che sta a metà dell’area, vedere la mappa) per entrare nella zona che retorica televisiva a parte possiamo chiamare “parco”, ovvero le sponde del fiume e i campi circostanti, fino alla brusca interruzione del nodo autostradale e delle tangenziali, nell’angolo sud-ovest.
E pure, curiosamente, anche parlando delle bellezze di questa fila di condomini a corte, strade cul-de-sac con rotatoria di inversione, l’accento torna sempre e comunque sul “parco”, su qualche grande idea di zona verde attorno al fiume serpeggiante … ecco!
Lo dicevo sin dall’inizio, che noi comuni mortali non dobbiamo mai fidarci di quello che ci appare buon senso. Ma che buon senso non è affatto: solo superstizione, viziata dall’odio spontaneo del “figlio dell’operaio” per il figlio di qualcos’altro. Pensare che era lì, scritto nero su bianco sulle immortali pagine del Webster Unabridged Dictionary citato all’inizio. In particolare, la definizione numero 2, che dice:
“superficie di terreno che contiene laghi, prati, boschi, circostante una grande dimora di campagna o possedimento privato”.
Usciamo dai nostri orizzonti angusti, e come insegnava anche il grande Daniel Burnham: “Think big. Make no little plans. They have no magic to stir humanity's blood”. Ed era quasi ovvio che i nostri moderni e cosmopoliti managers avessero idee grandi, a scala metropolitana e regionale, che i poveri monzesi privi di fede azzurra non sanno cogliere. Il parco “ circostante una grande dimora di campagna o possedimento privato”, ce l’abbiamo sempre avuto davanti agli occhi: la grande dimora sono addirittura due grandi dimore. A presidiare le due rive del Lambro, Villa San Martino a Arcore sulla sponda est, e la più appartata e collinare residenza di Macherio su quella ovest. È da lì che tutto nasce, e si snoda poi fra casupole di villici e giardini di delizie, stalle operose e l’antico Parco Reale con la sua Villa, ex possedimento di ex potenti (le cose cambiano, ogni tanto, eh?). Segue il parco della Cascinazza col segno urbanistico di “nuova centralità” accostata all’antica Centuriazione, e poi giù lungo le acque limpide fino al Parco di Milano Due, e oltre ancora agli spazi tutti da qualificare del Parco Agricolo Sud.
Ecco, cosa non volevamo capire.
E a ben vedere, per quanto mi riguarda, continuo a considerare l’ennesima sparata televisiva, diretta a un esiguo pubblico di gonzi. Una versione prime-time delle solite urla notturne a colpi di “immerso nel verde”. E a furia di immergerci roba, tutto il verde che ci resterà saranno quelle orrende cravatte e fazzoletti da tasca dei leghisti.
Nota: qui, per chi non l'avese ancora fatto, un giro attorno all'area della Cascinazza; qui l'articolo di Repubblica che riferisce del dibattito televisivo dove P. Berlusconi esprime la sua filosofia del parco; di seguito, scaricabile il citato PDF di Forza Italia Brianza. Da notare la copertina, che esplicita orgogliosa tutti i 380.000 metri cubi virtualmente già edificati nel cuneo verde meridionale: si riconoscono le "corti" quadrate e la griglia stradale ; al "dossier" di Forza Italia, dopo qualche giorno dalla stesura di questao articolo, ha risposto puntualmente un altro dossier del centrosinistra, che allego di seguito (f.b.).
Lacquanonebagnata
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