DAL centro commerciale di Villabate al ben più lucroso affare del ponte sullo Stretto. Per la realizzazione dell'opera è stato al momento individuato solo il general contractor, Impregilo, ma per i subappalti le cosche si stanno già attrezzando. La "famiglia" mafiosa di Villabate si era messa in moto già l'estate scorsa. A rivelarlo ai sostituti procuratori Maurizio de Lucia, Nino Di Matteo e Michele Prestipino, alla presenza del gip Pasqua Seminara, è stato Vincenzo Alfano, costruttore trapiantato in Emilia Romagna e finito in carcere nell'ultimo blitz con l'accusa di associazione mafiosa perché ritenuto prestanome a tutti gli effetti dei boss di Villabate. Ai magistrati Alfano ha confermato quanto pochi giorni prima aveva detto il pentito Francesco Campanella in un verbale ancora coperto da segreto istruttorio: «Campanella mi chiamò e mi disse di tenermi pronto e di cominciare a muovermi per i subappalti e i lavori di fornitura per la realizzazione del ponte sullo Stretto».
A entrare nel grande cantiere del ponte avrebbe dovuto essere la Cga costruzioni di Vincenzo Alfano, imprenditore che i magistrati definiscono «a totale disposizione della famiglia di Villabate per appalti pubblici e per il reinvestimento dei capitali illeciti». Come quelli che provenivano dalle sale Bingo e dai centri scommesse gestiti dalla Enterprise. Grande amico di Campanella e di Mario Cusimano, il costruttore è stato incastrato proprio dalle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia. Che lo hanno descritto come uomo di strettissima fiducia di Nino e Nicola Mandala. Era lui, assieme al fratello Benedetto, l'uomo che aveva procurato a Nicola Mandala l'affare della fattoria in Venezuela da acquistare per trascorrere con Ignazio Fontana una latitanza dorata, ed era lui ad aver procurato la carta di identità di un ignaro dipendente della sua ditta che Mandala avrebbe potuto utilizzare per i suoi acquisti.
Già socio del deputato regionale Giuseppe Acanto nell'azienda di arredi da bagno Eurobarren, Alfano si era poi trasferito nel Modenese, dove la sua impresa aveva reinvestito in villette a schiera i soldi della cosca.
Nei suoi cantieri lavoravano solo villabatesi, ma aveva trovato posto anche il figlio del grande consigliori di Provenzano, Ciccio Pastoia, braccio economico del boss, suicida in carcere nel gennaio del 2005, subito dopo l'arresto.
Proprio Pastoia sarebbe stato la testa di ponte dei fedelissimi di Provenzano per arrivare ai grandi appalti, dal ponte sullo Stretto al passante ferroviario di Palermo, circostanza questa emersa la scorsa settimana al processo per l'omicidio dell'imprenditore Salvatore Geraci. Nella bisaccia dei riscontri alle dichiarazioni del pentito Campanella, i pm hanno aggiunto anche la confessione di Giuseppe Daghino, il manager della Asset development finito agli arresti domiciliari assieme al socio Paolo Marussig. Daghino ha ammesso tutte le sue responsabilità, a cominciare dal pagamento della tangente da 25 mila euro per il centro commerciale di Villabate, ma ha anche smentito Marussig sul ruolo di Marcello Massinelli, consulente economico del presidente della Regione Cuffaro. «È vero quello che dice Campanella — ha ammesso Daghino — Massinelli era l'uomo che doveva portarci i 200 mila euro