Supermarket e piccoli negozi alimentari, spesso messi in piedi da immigrati o a gestione familiare. Ma con orari flessibili che prevedono chiusure a tarda ora e attività anche nei fine settimana.
A dispetto delle statistiche, che evidenziano un’avanzata inarrestabile della grande distribuzione organizzata, i negozi di vicinato sono tornati di moda, soprattutto nelle città di mediograndi dimensioni. "Colpa" della congiuntura economica negativa, che spinge le famiglie a spendere solo piccole cifre ogni volta, oltre che di una popolazione sempre più anziana, con mobilità ridotta e quindi impossibilitata a raggiungere con una certa frequenza gli ipermercati situati in periferia.
Tra le città più interessate da questo fenomeno Bologna. Nel capoluogo emiliano sono sorti 140 negozi di vicinato, situati nelle periferie, soprattutto ai margini poco fuori il centro cittadino. Gestiti da immigrati indiani o nordafricani, ma non solo etnici: nella maggior parte si tratta di piccoli market alimentari con prodotti generalisti. «Un fenomeno — osserva Maurizio Gattiglia, amministratore di Sogegross, catena di alimentari presente a Genova e nella maggior parte dei centri del Nord e Centro Italia — che si spiega con la convergenza di ragioni congiunturali e strutturali. I consumatori si trovano a fare i conti con una contrazione della loro capacità di spesa rispetto a qualche anno fa e per questo sono diventati più prudenti nella spesa. Preferiscono affidarsi ai piccoli centri commerciali, dove spendono piccole cifre per volta». Una percezione più psicologica, che reale. Infatti, è un dato di fatto che i prezzi della grande distribuzione sono mediamente più bassi del piccolo commercio. «È così — prosegue Gattiglia — ma la congiuntura negativa spinge i consumatori a diffidare dei "consumi indotti" dagli ipermercati». A questo si aggiunge il mutamento della tipologia di consumatori. «La popolazione italiana anziana — prosegue — è in rapida crescita. Le persone avanti con gli anni hanno difficoltà a spostarsi, utilizzano l’automobile di rado e per questo preferiscono punti vendita sotto casa o situati a breve distanza dall’abitazione».
Dello stesso avviso Paolo Palomba, direttore marketing di Sigma: «Oltre all’innalzamento dell’età media pesa anche la maggiore incidenza di singoli e nuclei familiari di piccole dimensioni rispetto al passato. Così la grande spesa presso l’ipermercato diventa una necessità episodica».
Un ritorno, quello del piccolo commercio, che tuttavia non trova riscontro nei dati statistici. Secondo le ultime rilevazioni di Unioncamere, tra luglio e settembre le vendite al dettaglio hanno registrato complessivamente una flessione pari allo 0,9% rispetto allo stesso trimestre del 2004. In particolare, sono state proprio le imprese commerciali di piccole dimensioni (cioè gli esercizi con meno di sei addetti) a registrare i cali maggiori (—2,2%). Una maggiore capacità di tenuta è stata, invece, evidenziata dagli esercizi di maggiori dimensioni (+1,4% nella grande distribuzione alimentare). "Nonostante questi dati — annota Carlo Mochi, direttore del Centro Studi di Confcommercio — è un dato di fatto che oggi sono sempre più i piccoli esercizi che aprono i battenti nelle aree ad alta densità abitativa. Negozi che intercettano una domanda che vede i consumatori interessati non solo ai prezzi, ma anche alla convenienza in termini logistici della spesa. Resta il fatto — prosegue — che per sopravvivere i negozi di prossimità devono accontentarsi margini di guadagno, ma anche adottare orari di apertura più rigidi del passato». Questo trend fa felici le organizzazioni dei consumatori, che da sempre si battono per il mantenimento dei negozi di quartiere a fianco dei grandi centri commerciali. «L’esperienza della Francia osserva Paolo Landi, presidente dell’Adiconsum insegna che la corsa sfrenata agli ipermercati non risponde alle caratteristiche della domanda, che è molto variegata. Non è un caso, dunque, che molte grandi catene transalpine oggi aprono molti più punti di medie dimensioni rispetto al passato». Per Landi «è sbagliato pensare che ipermercati e supermarket o mercatini rionali siano in competizione fra loro. Le famiglie hanno abitudini di spesa articolate: di solito si recano una volta a settimana nei grandi centri, dove trovano maggiori occasioni di risparmio, mentre per i piccoli acquisti preferiscono i negozi sotto casa».
In questo trend si inserisce anche il ritorno di interesse per i mercati rionali. «Un fenomeno di costume tutto italiano — aggiunge, invece, Carlo Mochi — ogni volta che un’amministrazione comunale decide la chiusura di un mercato scoppia il finimondo perché i cittadini trovano estremamente comodo questo modello di consumo».
Il rinnovato interesse per i negozi di prossimità trova riscontro nelle strategie delle aziende della grande distribuzione. Sia Sogegross che Sigma confermano il maggiore interesse per l’apertura dei classici supermarket, con una forte specializzazione sui prodotti tipici del luogo, rispetto alle grandi strutture. Il mutamento della domanda dei consumatori trova conferma anche nelle strategie di un’azienda specializzata nel mercato delle directory come Seat, che ha messo a punto una guida di copertura del territorio, InZona, riservato ai piccoli acquisti cittadini. Un’iniziativa nata in seguito a uno studio realizzato con la società di ricerca Aaster, da cui è emerso che il contesto sociale delle grandi città è cambiato negli ultimi anni. I piccoli esercizi vengono valutati non più solo in base alle politiche di prezzo che adottano, ma anche per la possibilità di socializzazione che sono in grado di offrire, cosa che manca negli ipermercati. Resta da vedere, infine, se queste nuove dinamiche del mercato avranno influssi sulle politiche di assunzioni delle aziende. «Al momento non riscontriamo grossi discostamenti rispetto al recente passato — annota Antonella Severino, della società di selezione Mcs — né tra i grandi, né tanto meno tra i piccoli. Se la tendenza proseguirà potrebbero però esservi dei mutamenti nei prossimi mesi».