loader
menu
© 2024 Eddyburg
Anthony Flint
Le Virtù dello Sprawl
23 Maggio 2006
Articoli del 2005
Una interessante rassegna di autori e posizioni (piuttosto sbilanciata a "destra"). Per inciso: l'autore dell'articolo è uno studioso del fenomeno. Boston Globe, 2 ottobre 2005 (f.b.)

Titolo originale: The Virtues of Sprawl – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Dalla Pasco County appena fuori Tampa, alle zone dei ranch a nord di Dallas, fino a Phoenix, e Las Vegas e Boise, i chilometri di lottizzazioni appena costruite sono la scelta ufficiale di milioni di americani. I demografi utilizzano oggi il termine “esurbano” a descrivere questo tipo di localizzazione, in zone aperte nelle fasce più esterne alle zone già suburbane, dove è completamente assente qualunque tipo di relazione tradizionale con una grande città. Pianificatori, ambientalisti, architetti, chiamano tutto questo lo spreco dello sprawl, e spingono per un tipo di urbanizzazione più compatta.

Ma nonostante i prezzi della benzina in crescita, che rendono sempre più costoso accedere a questi paesaggi diffusi, alcuni studiosi e commentatori sostengono che lo sprawl, a dire il vero, non è tanto male.

Alcune realizzazioni recenti fuori Los Angeles, Phoenix, e Dallas sono lontane, ma abbastanza dense, ad esempio, e fanno pensare a qualche tipo di strisciante efficienza che si insinua nella continua suburbanizzazione d’America. Una ricerca della Brookings Institution sull’area di Los Angeles ha rilevato una media di venti abitanti ettaro nelle zone di nova urbanizzazione (1982-1997), ovvero tre volte le quantità dell’area metropolitana di New York. Se si guarda alla popolazione per chilometro quadrato, Los Angeles – che per quanto sia ampia è delimitata dalle montagne e dall’oceano – è più densa di Chicago, secondo il Census Bureau. E le immagini delle case unifamiliari stipate tutte insieme, hanno provocato qualche brontolio sul fatto che questa nuova generazione di suburbi non offra abbastanza spazio.

La densità è solo uno dei fattori, nell’analisi dell’insediamento disperso. Dato che tutte le funzioni della vita quotidiana – case, negozi, divertimenti, posti di lavoro – sono rigidamente separate e diffuse, tutti hanno bisogno dell’auto per muoversi. Ciò significa lunghi spostamenti pendolari, ingorghi stradali, meno tempo da passare con la famiglia. Le amministrazioni locali rischiano la bancarotta tentando di estendere le reti idriche e fognarie o alte infrastrutture verso le aree esterne, anche se poi sono dense, una volta che ci si arriva. Lo sprawl si mangia terre agricole e spazi aperti, e l’investimento verso le zone di insediamento diffuso è avvenuto a spese delle zone centrali urbane, peggiorandone la frammentazione sociale ed economica.

Ma è tutta una storia negativa? Può anche darsi, dice Robert Bruegmann, professore di storia dell’arte, architettura e urbanistica alla University of Illinois di Chicago, che individua alcune buone cose riguardo allo sprawl. “Non è meglio o peggio di altri modi di urbanizzazione” sostiene Bruegmann. “Funziona, perché soddisfa molti bisogni. Quando se lo può permettere, la gente esce dalle città. Ora ci sono decine di milioni di persone che possono fare quello che un tempo era consentito solo a una piccola minoranza.

Bruegmann, il cui nuovo libro Sprawl: A Compact History (Chicago), sarà pubblicato alla fine del mese, si aggiunge allo scrittore e consulente Joel Kotkin, all’editorialista del New York Times David Brooks, e ad altri, nel trovare ispirazione nelle lottizzazioni, quasi fossero delle Jane Jacobs di suburbia. Il sostegno all’insediamento disperso segue una lunga tradizione, iniziata da Thomas Jefferson e proseguita da Frank Lloyd Wright. Oggi, Bruegmann e gli altri sentono come importante individuare ciò che di buono esiste nell’urbanizzazione diffusa, perché lo sprawl è stato martellato per oltre vent’anni da attivisti che auspicano una smart growth, o un New Urbanism, quest’ultimo un movimento architettonico che promuove la progettazione di quartieri tradizionali compatti.

Lo sprawl ci da’ “decentramento e democrazia” sostiene Bruegmann says: un tipo di uso ordinato dello spazio che avvicina classe lavoratrice e ceti medi, consentendo un avanzamento economico e sociale. Le abitazioni nei nuovi insediamenti, nel Sud e nell’Ovest, di solito partono da 120.000 dollari. Tentare di arginare lo sprawl significa mettersi di traverso allo sbocciare del sogno americano.

”È un modo per avere cose un tempo riservate solo a pochi”, prosegue Bruegmann. “ Privacy, mobilità – fisica e sociale – possibilità di scelta”.

E lo sprawl non è un fenomeno nuovo. Dalle antiche Roma e Cina, alla Londra del XIX secolo, a Parigi o Los Angeles oggi, la società si è diffusa sul territorio nei fasi positive dell’economia. “Appena le persone possono permetterselo, si verifica una massiccia migrazione verso le zone esterne” dice Bruegmann. Quindi, può darsi che dovremmo tutti smettere di preoccuparci, e imparare ad amare le lottizzazioni.

Naturalmente, altri osservatori del panorama nazionale di insediamento diffuso vedono un futuro più nero. James Howard Kunstler, campione del New Urbanism e autore di The Long Emergency: Surviving the Converging Catastrophes of the 21st Century (2005), sostiene che quando non sarà più disponibile petrolio a buon mercato, l’economia suburbana collasserà: l’organizzazione fisica che richiede lunghi spostamenti per recarsi ovunque si rivelerà una follia. Kunstler prevede solo erbacce secche rotolanti nelle lunghe strisce commerciali davanti ai Wal-Mart.

”Le nostre città in genere sono organismi ipertrofici: sono diventate troppo grandi nel secolo scorso, grazie alla crescita consentita dall’energia a buon mercato” dice Kunstler. “Qualunque cosa siano oggi, certamente dovranno contrarsi nel XXI secolo. Il processo probabilmente comporterà una densificazione dei vecchi centri o sulle sponde, nella generale contrazione”. L’organizzazione attuale delle nostre vite, sostiene Kunstler, “segue l’incessante logica del cancro, dell’ipertrofia, e si dimostrerà auto-limitante, dato che consuma e distrugge il portatore”.

La gran parte degli attivisti smart-growth oggi non occupa il proprio tempo a criticare lo sprawl o a prevedere la caduta del suburbio. L’attenzione principale è rivolta all’offrire una scelta più ampia a chi non desidera abitare nello sprawl: modificando norme di zoning superate che impediscono insediamenti a funzioni miste vicino a stazioni ferroviarie, per esempio.

”La smart growth non afferma che tutto lo sprawl sia orribile” dice John Frece, direttore associato del National Center for Smart Growth Research all’Università del Maryland. “Non si tratta di impedire la possibilità di costruire sprawl: solo di aggiungere quella di fare cose diverse, e metterla sul medesimo piano. Poi deciderà il mercato”.

Bruegmann sostiene di essere piuttosto aperto all’idea che gli americani scelgano diversi modi di vita in diversi momenti dell’esistenza. E, giusto a complicare ulteriormente le idee di tutti, prevede anche che con l’aumento della ricchezza nelle società, più persone desiderano tornare in città. Si tratta solo di capire in che modo l’agiatezza condiziona la domanda di vari ambienti fisici.

”Se si hanno soldi a sufficienza, la vita nell’alta densità può essere molto attraente” dice. “Credo che ci sarà sempre qualcuno che desidera vivere in spazi di tipo suburbano, comunque. Ma se si ha un appartamento spazioso sulla Fifth Avenue con un portinaio, e se si può prendere un taxi o camminare fino al Metropolitan Museum of Art ... ci sono milioni di persone che adorerebbero farlo”.

In definitiva, sostiene Kotkin, autore di The City: A Global History (2005), “I problemi dello sprawl dovranno essere risolti nel contesto dello sprawl. Non si può fermarlo. Non si può riprogrammare la società facendo tornare tutti a Boston. Dimenticatevelo. Non succederà”.

Lo sprawl sta migliorando, dice Kotkin says: più denso, e alla fine con una migliore combinazione funzionale, e negozi e posti di lavoro più vicini alle abitazioni. Kotkin prevede una crescita di questi villaggi suburbani, che chiama “ new suburbanism”, riecheggiando deliberatamente il New Urbanism. Con l’aiuto della tecnologia, più persone saranno in grado di lavorare da casa, o comunque più vicino a casa. Gli spostamenti in auto saranno ancora necessari, ma potranno essere più brevi, e fatto usando veicoli ibridi e ad uso efficiente dell’energia.

”Nella California meridionale diciamo queste cose da anni: semplicemente, è un nuovo tipo di città” sostiene Kotkin. “È come se qualcuno dalla Firenze rinascimentale arrivasse nella Manchester del XIX secolo. Direbbe: dov’è la chiesa nel mezzo? È semplicemente diverso. L’urbanizzazione di suburbia è la grande sfida della pianificazione all’inizio del XXI secolo in America”.

Nota: il testo originale al sito del Boston Globe (f.b.)

ARTICOLI CORRELATI
19 Ottobre 2016
31 Dicembre 2008
6 Dicembre 2007

© 2024 Eddyburg