Gli anni del New Deal sono lontani nel tempo. Oggi tutto è cambiato e quella straordinaria esperienza di governo resta consegnata alla storia. Tornando però a rileggere e a guardare i personaggi e le storie di quella stagione si avverte che la polvere che si è depositata non ha ridotto l’attualità di talune idee e comportamenti. La storia non torna mai uguale a sé stessa ma ci ri-propone sentieri già battuti con l’obbligo, però, di rinnovarli e di farli avanzare, ma, forse, il suo compito principale è di aiutarci a riconoscere la moneta falsa corrente.
Ritorno alla terra era la parola d’ordine del presidente Roosevelt che pensava di affrontare la povertà della popolazione rurale attraverso gli aiuti economici e una migliore gestione delle aziende agricole. Inoltre, egli pensava che per contribuire alla ripresa del settore agricolo bisognava intervenire nelle parti degradate delle città e favorire lo spostamento della popolazione nelle aree agricole. Su questa ipotesi si costituì il movimento noto con lo slogan “back to the land”.
A quel tempo uno dei consiglieri del presidente era Rexford G. Tugwell, un economista esperto di economia rurale che la pensava in modo del tutto diverso. Tugwell era convinto che la modernizzazione dell’agricoltura americana richiedeva interventi ampi e una precisa programmazione. Tra i fattori negativi del sistema agricolo americano di quel tempo, lui segnalava: la rigidità, la difficile relazione tra efficienza e tecnologia, l’eccessivo numero di aziende, la contrazione dei mercati, e non ultimo il disequilibrio crescente tra industria ed agricoltura.
La condizione del sistema agricolo era tale, secondo Tugwell, che era indispensabile intervenire con urgenza per evitarne la bancarotta. Il consumo di suolo era un fenomeno di proporzioni enormi e molte imprese erano condannate ad una esistenza di povertà, ma soprattutto era convinto che il flusso migratorio, dalla campagna alle città, avrebbe danneggiato l’economia americana. Altrettanto importante e urgente era il sostegno contro la povertà nelle aree rurali e l’aiuto per gli agricoltori affinché potessero continuare a mantenere il terreno da coltivare. Erano questi i compiti essenziali di una politica federale che si poneva l’obiettivo di costruire il futuro.
Il pensiero di Tugwell appare ancora oggi originale e per questo, anche al di là degli esiti, resta come un esempio tra i più interessanti di politiche pubbliche sul territorio. Il centro del suo ragionamento era che la politica agricola non passava (o comunque non solo) per l’aiuto diretto attraverso la distribuzione di sementi e di strumenti, ma era necessario attivare un processo di riallocazione di quelle aziende collocate su terreni poco produttivi. L’intervento da attivare era sul versante della pianificazione dell’uso del suolo “… if a system of land-use planning were implemented, the United States non only would be conserving its natural resources but also would be making the fullest use of its human resources”. Si trattava di avviare un programma il cui interesse strategico per il Paese ne giustificava la messa in campo di notevoli sforzi economici e organizzativi.
Sono passati 70 anni da quando, con l’ordine esecutivo 7027 del 1 maggio 1935, il presidente Roosevelt istituisce la Resettlement Administration e Tugwell viene nominato direttore. Cominciò così un programma pubblico divenuto famoso con il nome di Greenbelt Towns. L’idea di fondo era di avviare un programma che per contribuire a risolvere la povertà rurale prevedeva la realizzazione ex novondi alloggi e di nuovi centri abitati posti ai bordi dei centri urbani principali e in contatto con le aree rurali produttive. Si trattava di un intervento pubblico che si fondava sull’esigenza di riconoscere l’inevitabilità della crescita urbana ma, allo stesso tempo, che considerava possibile realizzare alloggi in un ambiente più consono per accogliere la popolazione e favorire così la migrazione dalle zone rurali.
La politica di riassetto
L’insieme di questa politica pubblica promossa da Tugwell faceva affidamento al concetto di “Resettlement” (riassetto). Il riassetto consisteva nello stabilire un programma di azione comprensivo (diremmo oggi integrato?) per alleviare i problemi socio economici della popolazione agricola. Nonostante l’approccio pragmatico si assumeva come obiettivo di interesse pubblico la realizzazione, attraverso un approccio sperimentale, del sistema di welfare necessario ad accompagnare le riforme sociali.
Scriveva Tugwell:
“In senso stretto la RA, Resettlement Administration, (l’amministrazione per il riassetto) non si esaurisce nel campo degli alloggi. Essa costruisce gli alloggi, ma la sua azione va ben oltre il dato, pur importante, che milioni di americani necessitano di nuovi alloggi e di conseguire uno standard minimo di decenza. Quello che la RA prova a fare è di mettere insieme case, terreno e persone in modo che il loro rafforzamento possa consolidare in modo permanente l’economia e la struttura sociale del paese.”
Tre furono gli obiettivi prioritari del programma di intervento messo a punto da Tugwell:
1. conservare il terreno abbandonato dagli agricoltori perchè non più idoneo alla coltivazione per destinarlo ad usi più consoni, ad esempio per la forestazione… ;
2. aiutare gli agricoltori ad abbandonare il terreno non più produttivo o scarsamente produttivo per un terreno migliore da lavorare che assicurasse un reddito più elevato;
3. aiutare, infine, quegli imprenditori che vivevano su terreni produttivi ma che a causa della crisi economica o perché inesperti nella conduzione dell’azienda, avevano bisogno di aiuto.
La necessità di una politica pubblica trovava il suo fondamento nella complessità del problema che investiva direttamente aspetti ben più ampi del solo settore agricolo. Gli interventi si collocavano entro un quadro problematico che vedeva gli Stati Uniti confrontarsi con il fenomeno sempre più consistente della migrazione verso i centri urbani.
Da questa visione integrata dell’azione pubblica e della politica pubblica nasce il programma che prevedeva la costruzione di città e centri suburbani che dovevano facilitare i cambiamenti della società rurale americana verso la modernità del ventesimo secolo.
Un programma che richiese un’organizzazione complessa e che comportò la realizzazione di undici uffici regionali con quattro divisioni che facevano da coordinamento presso la RA. I fondi per la realizzazione degli interventi erano messi a disposizione da una legge federale del 1935 .
Quali erano gli elementi caratterizzanti questa esperienza? La letteratura ce ne restituisce almeno tre:
1. l’integrazione delle politiche pubbliche per il governo di fenomeni complessi, come sono tutti quelli che interessano il territorio. Le esternalità prodotte da un’azione entro un contesto specifico devono essere sempre oggetto di politiche di governo in grado di controllarne gli effetti e gli esiti. La dimensione integrata appare qui un carattere costituivo delle politiche pubbliche.
2. Un secondo aspetto è che queste politiche integrate se pur intervengono su settori diversi, l’agricoltura, il suolo, la produttività, devono fare forza su più punti nei diversi settori per conseguire un effettivo contributo alla crescita economica e sociale.
3. Cè, infine, un aspetto istituzionale, ai cambiamenti sociali ed economici si deve rispondere attraverso la pianificazione. Non sembrano esserci altre possibilità. Assumere dinanzi a sé il progresso richiede il disegno di meccanismi sociali, come le tecniche di pianificazione, che incontrano specifici bisogni ed enfatizzano gli aspetti di sperimentazione.
La pianificazione non ha dogmi da implementare, Tugwell affermava questo come una sua convinzione forte, piuttosto, la pianificazione, deve corrispondere alle circostanze, alle risorse e alle tecniche a disposizione e deve essere in sintonia con i tempi e non rincorrere sogni astratti.
Le Greenbelt towns
Tugwell aveva ipotizzato 25 Greenbelt communities, ma ne furono pianificate quattro e completate solo tre: Greenbelt nel Maryland; Greenhills, nell’Ohio e Grendale nel Wisconsin.
Il disegno delle quattro città ripercorre quattro differenti approcci che tenevano in conto le specificità del luogo, la legislazione ma anche le tradizioni e i pregiudizi locali. La scelta e la composizione dei gruppi di lavoro fu fatta in modo da favorire la costruzione di un team che facesse propria l’importanza della sfida che stavano giocando e che sentisse di essere parte di uno dei più significativi esperimenti nazionali per la costruzione di città. Sebbene ogni team lavorava separatamente dagli altri lo faceva secondo principi e caratteri comuni. La divisione in team era necessaria perché differenti erano la topografia, la popolazione, l’economia e l’ordinamento legale e normativo di ogni sito. Ogni gruppo di pianificazione era suddiviso in tre dipartimenti: disegno urbano, architettura e ingegneria. La città di Greenbelt, era disegnata lungo un bosco con spazi aperti che favorivano la brezza fresca durante l’estate. Greenhills era, invece, costruita sulla sommità di tre piccole colline incise da avvallamenti che ne restituivano un disegno della pianta irregolare. Greendale era costruita su un terreno con dolci rilievi ed era incisa, nella parte centrale, da un piccola insenatura. Greenbrook sarebbe stata costruita, invece, su un terreno pressoché piano.
Una bassa densità abitativa era considerata un fattore costante per tutte e quattro le città. A Greendale questa era di 5 famiglie per acro (1 acro= 4.046, 86 mq), a Greenhills si saliva a 8,5 famiglie e a Greenbelt si scendeva a 4 famiglie. Il disegno dei lotti era differente ma aveva in comune il rigetto per i blocchi chiusi.
L’opposizione alle politiche di riassetto
Il programma man mano che veniva realizzato sollevava numerose critiche da fronti diversi: era molto costoso, era estraneo alla cultura americana, il programma non era in grado di incidere sui problemi che affliggevano la vita urbana. L’attacco della stampa e dei media fu sempre più insistente e si fece strada lo stereotipo di Tugwell Comunista e Bolscevico. Il carattere pionieristico del programma nel ricercare un nuovo assetto tra vita urbana, industriale e rurale divenne un difetto piuttosto che un pregio. Quando il piano per la quarta città, Greenbrook, venne presentato le critiche si trasformarono in una dura opposizione legale.
Nel maggio del 1936 la corte di appello del distretto della Columbia ingiunse alla Resettlement Administration di non procedere con la costruzione di Greenbrook. Le obiezioni formulate per il ricorso sottolineavano l’impatto prodotto dalla sua eventuale costruzione che avrebbe, secondo gli oppositori, stravolto il carattere di borgo dell’attuale insediamento, si aggiungevano poi notazioni relative ai costi a carico dell’autorità locale. Un’ulteriore fattore di critica proveniva dai proprietari. Greenbrook era stata progettata per 25 mila abitanti, la più grande del programma di riassetto, e gli abitanti della zona temevano che i valori immobiliari sarebbero crollati se si realizzava un intervento così grande e per giunta con il sussidio federale.
Le motivazioni della sentenza poggiavano però sulle competenze specifiche in materia di costruzione di alloggi. La Corte affermava che il Governo federale non aveva il potere di attivare direttamente politiche di costruzione di alloggi per due ragioni:
a. queste attività non rientrano tra le competenze del congresso, in quanto i progetti di alloggi (il diritto alla casa?) non hanno alcuna relazione con il welfare;
b. queste attività sono riservate unicamente agli Stati tanto che la legislazione del Congresso su questa materia è proibita.
Il programma ricevette così un duro colpo, si riuscì a contenere la validità del pronunciamento della Corte al solo New Jersey, potendo così completare i programmi già avviati e spendere le risorse già allocate, ma non si poterono più avviare nuovi programmi.
Il clima di favore attorno al programma cambiò e non fu sufficiente neanche l’appoggio convinto del presidente Roosevelt e della moglie Eleanor. L’umore del Congresso era via via più ostile all’intero programma e all’idea di un programma pubblico per la realizzazione di nuove comunità abitative.
Ma il vero conflitto era probabilmente culturale e aveva a che fare con l’importanza che il programma aveva attribuito alla pianificazione, al controllo dell’uso del suolo e soprattutto al destino di quelle aree lasciate libere perché non più idonee per l’attività agricola. L’idea da sconfiggere non era il disegno delle Greenbelt towns ma quella per cui il programma costruiva la possibilità concreta di un’alternativa al laissez faire e all’uso indiscriminato e incontrollato del suolo. Tugwell era convinto che gli interessi nazionali non erano solo nella efficienza della produzione, nell’innovazione tecnologica e nel migliorare i meccanismi di mercato ma, anche, nel governo attraverso la pianificazione pubblica.
Tugwell non era un personaggio ingenuo e sapeva che l’affermazione di questa linea richiedeva dei forti cambiamenti culturali, legislativi e istituzionali ma, come lui stesso affermava, sappiamo che è più difficile pianificare piuttosto che non, e che se lasciamo le cose andare per il loro verso si renderà poi evidente a tutti la necessità di uno sviluppo governato. Programmare equivale quindi ad affermare un principio di precauzione o un comportamento lungimirante che per questo richiede la costruzione del consenso ma anche l’affermazione di principi di interesse generale.
Il blocco del programma fu una decisione solo rinviata di lì a poco, e così nel Dicembre del 1936 il congresso smantella la Resettlement Administration. Tugwell rassegna le dimissioni, non solo da direttore della RA ma anche dal gruppo di esperti che lavorava con il presidente, era la fine del 1936.
Le tre comunità realizzate sono ancora oggi abitate e mantengono forti richiami all’identità originaria. Per chi volesse saperne di più può visitare i siti indicati di seguito.
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Bibliografia:
David Myhra, ”Rexford Guy Tugwell; initiator of America’s Grennebelt New Towns, 1935 to 1936”, in AIP Journal May 1974
Sternsher Bernard, Rexford Tugwell and the New Deal, New Brunswick: Rutgers University Press, 1964.
Michael V. Namorato, Rexford G. Tugwell, A Biography, Praeger, New York, 1988.