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Hirschorn. Joe S.
Urbanizzazione disordinata delle coste: impareremo dalla catastrofe dello Tsunami?
22 Maggio 2006
Articoli del 2005
Un editoriale del sito Planetizen, del 18 gennaio, estende all'intero pianeta la preoccupazione di urbanisti e ambientalisti per come si sta già cominciando la "ricostruzione" dell'insediamento turistico costiero dopo ill maremoto del 26 dicembre (f.b.)

Titolo originale:Seaside Sprawl: Who Will Learn From the Tsunami Catastrophe? – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

I disastri naturali producono qualcosa di più che morte e distruzione. Ci sanno delle lezioni. Ma per quanto riguarda le devastazioni delle coste a causa dei ricorrenti uragani che colpiscono le fasce costiere di USA e Caraibi, e ora lo tsunami epocale nell’Oceano Indiano, non pare che governi e interessi economici stiano imparando dall’esperienza passata. In Tahilandia, colpita duramente dallo tsunami, ci sono tutti i segnali che l’edificazione turistica sarà ricollocata nelle stesse aree costiere. E negli USA su sponde pure duramente colpite, come quella della Florida recentemente da parecchi uragani, si è manifestata l’identica sindrome del distruggi-ricostruisci-distruggi. La gente sembra incapace di calmare il proprio desiderio di vivere e far vacanza il più possibile vicino all’oceano. E gli interessi economici, con il sostegno degli enti pubblici, mettono il profitto al di sopra della sicurezza.

Scrivendo sul Washington Post a proposito del recente disastro dello tsunami, il giornalista tahilandese Joshua Kurlantzick ha osservato che “Il governo Thai ha imposto troppi pochi controlli sullo sviluppo turistico; c’erano regole urbanistiche del tutto casuali per l’edificazione, e alcuni insediamenti evidentemente facevano ricchi importanti uomini politici. Il 26 dicembre, la Thailandia ha pagato il prezzo di questa mancata pianificazione”. Si potrebbe dire lo stesso per quanto riguarda gli effetti degli uragani sugli insediamenti costieri USA, con la differenza che non si tratta solo di economia turistica, ma di interessi nell’edilizia residenziale che sembrano completamente ciechi.

Poche sembrano capire che la minaccia delle catastrofi naturali si trasforma in disastro quando è l’ambiente costruito ad intrecciarsi con eventi estremi. La prevenzione dei disastri non si fa collocando persone e case sul percorso delle grandi forze naturali, come uragani, tsunami o alluvioni. Negli USA, le aree costiere ospitano più della metà della popolazione, anche se rappresentano solo il 13% della superficie totale. L’edificazione sulle coste dell’Atlantico e del Golfo è stata notevole, con incrementi di popolazione del 100%, dai 26 milioni del 1950 ai 53 milioni del 2000. Nel 1998, sono state realizzate più di 50.000 abitazioni su isole barriera fra il Maine e il Texas: il doppio del 1992. La densità di popolazione sulle coste si è impennata. Nel 1960 era di 72 persone al chilometro quadrato, salite a 105 nel 1994, e si prevede un aumento fino a 126 per il 2015, secondo i calcoli della National Oceanic and Atmospheric Administration. La media densità di popolazione per il territorio nazionale è di soli 29 abitanti per chilometro quadrato.

Non ci si può sbagliare. I costruttori dello sprawl costiero trasformano i rischi naturali in disastri, e la cosa ci riguarda tutti. Le file di “ McMansions” che occupano prepotentemente tante linee di costa americane offrono un gran panorama ai loro occupanti. Ma l’insediamento costiero uccide il paesaggio disponibile per tutti gli altri, dall’entroterra e dalla spiaggia. La dimensione delle case continua ad aumentare, perché cresce il mercato degli affitti. Nel North Carolina, è stata costruita una casa di mille metri quadri con 16 stanze da letto, come abitazione unifamiliare, per evitare alcuni vincoli urbanistici; si affitterà per circa 20.000 dollari la settimana. Sulle coste della North Carolina i lotti edificabili costano da 500.000 a un milione di dollari.

Uno studio della University of North Carolina osserva: “Le attività umane d’abitudine si collocano in modo da creare seri pericoli sia per noi che per molte risorse e funzioni naturali, molte delle quali utili all’uomo, e di valore in se stesse e in quanto parte di un complesso sistema ecologico”. In verità, l’ambiente costruito non è per nulla resistente o in grado di recuperare quanto quello naturale. L’edificazione inevitabilmente acuisce all’estremo gli effetti sulla natura e sulle persone degli eventi calamitosi, e in alcuni casi genera disastri. In Thailandia come altrove, l’insediamento costiero ha provocato distruzione di mangrovie e barriere coralline al largo, il che ha aumentato il potere distruttivo delle ondate. I controlli di tipo ingegneristico, come quelli per le alluvioni o i moli per evitare l’erosione delle spiagge, spesso sono inefficaci o si limitano a spostare il danno.

In molte delle zone devastate dal recente tsunami, le enormi quantità di aiuti stranieri probabilmente ignoreranno il saggio principio di contenere la riedificazione sulle coste, nello stesso modo in cui gli americani si rifiutano di imparare dalle esperienze con gli uragani. I proprietari di case USA si aspettano sempre che il governo li risarcisca quando la calamità colpisce. La maggior parte dei tentativi di contenere l’edificazione nelle aree costiere minacciate da uragani, sono falliti. Il Federal Coastal Barrier Resources Act del 1982, per esempio, rifiuta finanziamenti federali per strade, servizi, aiuti per calamità e possibilità di assicurazione, per alcune zone costiere classificate come ambientalmente fragili, e ancora inedificate all’epoca della legge. Questo non ferma i costruttori, che proseguono spesso col sostegno delle amministrazioni locali e statali. Per esempio a North Topsail Beach, North Carolina, nel bel mezzo di un’area federale, sono state costruite 960 case e condomini, e il comune non ha osservato le norme federali. Il sindaco lavora nel settore immobiliare.

Ci dovrebbero essere più persone ed enti pubblici preoccupati per l’innalzamento del livello del mare a causa del riscaldamento globale. Gli agenti immobiliari dicono che “non si fanno più terreni”. Hanno ragione. In verità, i livelli crescenti del mare e una cattiva gestione delle coste hanno causato la perdita di numerose superfici, e si prevedono altre perdite per il futuro. Lungo la costa della Louisiana ogni mezz’ora sparisce l’equivalente di campo da football, e si sono già persi migliaia di chilometri quadrati. Si prevede che il livello della Chesapeake Bay salga da dieci a trenta centimetri per il 2030. Comprare una casa vicino alla linea di costa o nei pressi delle zone umide di sponda è poco preveggente, e costruire nuove abitazioni è pura follia.

Il rapporto del 2003 della Pew Oceans Commission sottolinea molti degli effetti negativi dello sprawl sullo stato delle coste, e sull’economia e la società americana. Se c’è un posto dove si rende urgentemente necessario uno sviluppo più sostenibile, è nelle zone costiere, che al contrario di quanto pensano i conservatori favorevoli allo sprawl, sono una risorsa limitata. Chi desidera vivere sulla costa, probabilmente non vedrà l’abitare in Missouri o South Dakota egualmente affascinante. Se persone e costruttori si rifiutano di riconoscere la follia di abitare sul bordo dell’acqua, allora deve intervenire il potere pubblico, a proteggerli da se stessi, e a proteggere la natura dall’uomo.

Nota: qui il testo originale sul sito Planetizen ; su Eddyburg, un articolo correlato, scritto dopo lo “tsunami di Natale”,

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