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Là dove c’era l’erba ora c’è una joint-venture
15 Maggio 2012
Milano
Lo spazio pubblico, urbano, metropolitano, le risorse collettive ambientali, sono cose davvero monetizzabili? Domanda lecita, visto cosa succede. Articoli da la Repubblica e Corriere della Sera Milano, 15 maggio 2012, postilla. (f.b.)

la Repubblica

Le griffe prenotano la Galleria "Raddoppieremo i negozi"

di Ilaria Carra

Oltre il doppio degli spazi commerciali di oggi, da 20mila a 50mila metri quadri. È la base della proposta di valorizzazione della Galleria Vittorio Emanuele ufficializzata al Comune dai marchi del lusso della Fondazione Altagamma. Più insegne, fino al terzo piano del salotto, messe a reddito con un fondo immobiliare trentennale del valore (prudenziale) di 800 milioni: il 51 per cento del Comune, il 49 per cento privato. Con una clausola: per restare dove sono (anche se non nella stessa posizione) o sbarcare nel cuore della città, i marchi devono anche acquistare quote dello stesso fondo in proporzione allo spazio affittato. Una condizione, questa, che mette a serio rischio la sopravvivenza di molti negozi presenti oggi, specie quelli a conduzione familiare.

La Fondazione Altagamma guidata da Santo Versace ha presentato ieri il piano di fattibilità dell’operazione con cui punta a quasi metà della Galleria. La richiesta è arrivata direttamente al sindaco.

E proprio Giuliano Pisapia, sulla vicenda, vuole già chiarire: «Se si continuerà con l’idea di valorizzare così la Galleria, culturalmente e commercialmente, ci sarà un bando internazionale perché è un bene di Milano e di tutto il Paese e va valorizzata». Una proposta «da approfondire» che, sempre il sindaco, si augura non sia l’unica: «Spero ne arrivino anche altre», ha detto Pisapia. L’operazione, per la quale Altagamma si propone come advisor, frutterebbe a Palazzo Marino circa 400 milioni, dei quali «una quota importante - dice la proposta - sarà anticipata» subito al Comune che, a pieno regime in otto-dieci anni, incasserebbe circa 35milioni di redditività all’anno. In cambio, i privati si farebbero carico del restauro conservativo della Galleria (tra i 180 e i 200 milioni).

Il piano «proposto dall’advisor e approvato dal Comune prevede solo a livello d’eccellenza un completo assortimento di merceologie»: la metà degli spazi alla moda e alla cura della persona, il 20 per cento all’arte e alla cultura, il 15 al design, il 10 alla ristorazione e bar e il 5 per cento alla vendita di prodotti enogastronomici. I negozi monomarca sono la strategia: «Come in luoghi iconici del consumo, da Rodeo Drive alla Fifth-Madison Avenue - ricorda il presidente di Altagamma, Santo Versace - vogliamo trasformarla in una delle sette meraviglie del mondo». Un mix in cui sono compresi anche i negozi storici: «Avranno degli sconti», dice il segretario generale di Altagamma, Armando Branchini, secondo il quale saranno più agevolati che con l’attuale assegnazione «sulla sola base di una competizione sul canone». L’assessore al Bilancio, Bruno Tabacci, si compiace che sia arrivata «una proposta interessante e seria per valorizzare un patrimonio di cui si è sempre parlato ma per il quale non si è mai fatto nulla». Con un auspicio: «Si apra subito una riflessione seria».

Possibilista Carmela Rozza, capogruppo Pd in Comune: «Siamo per verificare tutte le ipotesi a patto che la proprietà resti in capo al Comune, che si faccia una gara e in Galleria restino luoghi anche per persone normali e non solo d’elite». Il capogruppo Pdl a Palazzo Marino critica e avverte: «La trattativa privata sulla Galleria sta proseguendo: nulla in contrario sulla partecipazione di privati, ma sul metodo pare si stiano ripetendo le anomalie di Sea. Se il Comune vuole privatizzare lo faccia veramente con una gara internazionale».

la Repubblica

Dimezzati in dieci anni boschi e prati di Milano

di Giuliana De Vivo

Sempre meno alberi, prati, campi coltivati. Al loro posto, sempre più palazzi. L’avanzata del cemento a Milano in dieci anni, dal 1999 al 2009, è stata inarrestabile. In tutta l’area del comune, compresa la cintura extraurbana, il «verde naturale e seminaturale» - aree boschive, prati non coltivati, spazi aperti con arbusti - è diminuito del 43,4 per cento. Passando dai quasi 489 ettari del ‘99 ai 277 attuali. Anche le aree agricole sono calate, del 14 per cento: dai 3.897 ettari di allora ai 3.428 di oggi. E questo nonostante una crescita della popolazione, nello stesso periodo, minima: le famiglie milanesi sono aumentate solo dell’1 per cento. È quanto emerge dal rapporto 2012 sui consumi di suolo elaborato dal centro di ricerca di Legambiente e dell’Istituto nazionale di urbanistica.

Dati ottenuti, spiega Stefano Salata del Centro di ricerca sui consumi di suolo, incrociando quelli contenuti nel database della Regione sull’uso dei terreni: «Si calcola la differenza matematica tra i valori di allora e quelli di oggi». Ma il cambiamento si vede anche ad occhio nudo: «Basta fare un’indagine cronologica su Google Earth, - aggiunge Salata - dalle vedute aeree sono evidenti gli spazi dove il verde è stato "mangiato", ad esempio nell’area nord ovest in prossimità dell’A4. O in alcuni punti del Parco Sud». Nell’intera provincia si è costruito l’equivalente di una città grande come mezza Milano: i campi coltivati spariscono al ritmo di 20mila metri quadrati al giorno. Ogni dieci giorni il cemento cancella un terreno da cui si ricavava il frumento necessario per 150 tonnellate di pane.

E l’erosione continua: per ora è stata scongiurata quella di 100mila metri quadrati di terreno all’interno del Parco agricolo sud Milano a Vignate, a favore del polo logistico Sogemar. L’assemblea del Parco che oggi doveva dare il via libera è stata rinviata su pressione degli ambientalisti, anche se il progetto resta in piedi, con il parere positivo del Comune.

Non va meglio nemmeno nel resto della Lombardia. Dove, secondo il rapporto di Legambiente, in media vengono distrutti ogni giorno 130mila metri quadrati tra campi coltivati, boschi, prati. L’equivalente di venti campi di calcio. Una situazione che è figlia, spiega il presidente di Legambiente Lombardia Damiano Di Simine, dell’assenza di uno strumento come il censimento sull’uso del suolo. «Ogni comune dovrebbe dotarsene prima di assumere le decisioni. Ma la proposta di legge di iniziativa popolare giace nei cassetti del Consiglio regionale da due anni, pur avendo raccolto consensi bipartisan».

Senza contare che anche le leggi esistenti non sempre vengono rispettate. «Sugli oltre 1.500 comuni della regione - denuncia ancora Di Simine - solo 178 hanno recepito l’articolo 43 bis della legge urbanistica regionale, che impone un onere maggiorato per le urbanizzazioni quando queste comportano consumo di suolo agricolo». Anche Milano è tra i comuni che non hanno, finora, adempiuto a quest’obbligo. A lanciare l’allarme è anche la Coldiretti Lombardia. «Assistiamo ad una continua erosione del patrimonio agricolo del territorio», denuncia il presidente Ettore Prandini, «con i campi stretti in una morsa tra l’espansione delle città e l’avvio di nuove grandi infrastrutture, dalla Pedemontana alla Brebemi, dalla Broni-Mortara alla Tem, che hanno e avranno un impatto pesantissimo sulla vita delle aziende agricole».

Corriere della Sera

La Galleria verso i privati

di Annachiara Sacchi

Un luogo di prestigio valorizzato come merita. O un grande atelier, a seconda di come lo si voglia vedere. Fatto sta che la giunta Pisapia sembra intenzionata a cambiare il volto della Galleria, pezzo unico del Demanio comunale e della storia cittadina. La proposta firmata da Altagamma è stata presentata ieri da Santo Versace, presidente della Fondazione. Sul piatto la cessione della Galleria a un fondo immobiliare: al Comune il 51 per cento, il 49 ai conduttori dello spazio commerciale. La Galleria, a quel punto, verrebbe svuotata di tutte le attuali funzioni, uffici compresi, per destinare gli spazi «interamente alle attività commerciali di eccellenza, con un incremento delle superfici commerciali(da 20 mila a 50 mila metri quadrati, ndr)». Mix merceologico definito: 50 per cento a moda, 20 a cultura, 15 a design, 10 a ristorazione, 5 a enograstronomia.

Versace è convinto che questa potrebbe diventare «una delle sette meraviglie del mondo», un «centro commerciale unico al mondo», una «vetrina straordinaria della città». E «senza prevaricazioni verso le attuali presenze, i cui contratti verranno rispettati» (potranno decidere se entrare nel fondo o incassare una buonuscita per liberare gli spazi in anticipo).I tempi: 8-10 anni per vedere la nuova Galleria. Nel progetto, da settimane sul tavolo del sindaco, del direttore generale Davide Corritore, dell'assessore Bruno Tabacci, si parla anche di cifre: il Salotto verrebbe conferito a un fondo immobiliare chiuso trentennale, con una valutazione di 800 milioni di euro. Palazzo Marino incasserebbe 400 milioni e una «quota importante» verrebbe «anticipata al Comune» che poi godrebbe, a regime, di una redditività annuale di 35 milioni (attenzione al patto di stabilità: solo se l'operazione dovesse andare in porto entro il 2012 il 30% del ricavato potrebbe essere usato dal Comune per la spesa corrente, altrimenti andrebbe ad abbattere il debito).

Ai privati, infine, spetterebbe l'onere di ristrutturare la Galleria (circa 200 milioni di euro). Il sindaco Giuliano Pisapia, che ieri ha consegnato al presidente del consiglio comunale, Basilio Rizzo, il progetto di Altagamma perché venga distribuito ai consiglieri, mette le mani avanti rispetto a chi sente puzza di trattativa privata: «Faremo un bando internazionale», puntualizza, augurandosi che «arrivino altre proposte».Più deciso l'assessore Tabacci: «Faremo un bando, anche se valutiamo positivamente l'innesto di questa iniziativa. Finalmente abbiamo scoperchiato un problema, quello della valorizzazione della Galleria, che prima di noi hanno solo fatto finta di risolvere». Tabacci insiste: «La Galleria va valorizzata, a costo di toccare interessi che sono consolidati. Va svuotato tutto, a partire dai gruppi consiliari per ridare dignità a quest'area che è tra le più calpestate d'Italia».

La Galleria come la Fifth Avenue? L'ex vicesindaco pdl Riccardo De Corato è contrario: «Un errore, perché a Milano c'è sono via Monte Napoleone e via Spiga». Poi, la contestazione sul metodo: «Anche qui si fa avanti un amico dell'assessore Tabacci». L'opposizione intravvede il rischio che «si ripetano le anomalie di Sea». Il capogruppo pdl Carlo Masseroli insiste: «Vogliamo fare gli stessi errori?». Se lo chiedono anche i commercianti dell'associazione «Il Salotto». Pier Galli, consigliere delegato, sbotta: «Siamo preoccupati e delusi: il Comune non ci ha mai interpellato, non c'è stata trasparenza». Fiume in piena: «Molte delle nostre attività sono a conduzione familiare, non abbiamo altri punti vendita. Versiamo di affitto 13 milioni di euro all'anno, non 180 mila. Io ne pago 189 mila, oltre mezzo milione il Savini. Chiediamo un incontro. Ne abbiamo il diritto».

Boeri: resti un Salotto, non una vetrina

Parte con le migliori intenzioni: «Buon segno che ci sia un'offerta». Bene «la regia pubblica». Ottimo «il progetto di valorizzazione deciso all'interno della maggioranza».

Ma, assessore Boeri?«No alla vendita. E la Galleria resti un salotto, non una vetrina».

Ci spiega?«Vetrina è uno spazio per il consumo. Salotto è luogo di incontro e di dialogo».

Insomma, cosa ci vuole dire?«Che è inaccettabile l'idea di farne unaRodeo Driveambrosiana: la Galleria deve essere uno spazio pubblico che continui a esprimere la storia di Milano».

E non si esprime con moda e design?«Anche. Ma Milano non è una città provinciale che ha bisogno di ostentare i suoi gioielli. Non ci serve un richiamo per i giapponesi: loro arrivano comunque per la Scala, per Palazzo Reale, per le Gallerie d'Italia. Non sentiamo l'esigenza di unmallamericano».

E di cosa allora?«Di un'idea urbana che faccia parte della nostra storia. Non a caso decine di pittori si sono cimentati sul tema della Galleria, a partire da Umberto Boccioni con la "Rissa" davanti al Camparino».

Proposte?«Sono d'accordo sull'idea di un bando internazionale, sarebbe utile per lotti verticali che valorizzino tutti i piani. Ma con proposte di contenuto...».

Per esempio?«Mi pare che la proposta di Prada, che ha dedicato parte dei suoi spazi alla Fondazione, vada in questa direzione».

Sulla vendita?«Sono contrario. La Galleria deve rimanere pubblica. Tutta».

postilla

Su queste pagine, e a proposito di una questione apparentemente specifica e circoscritta come la perequazione urbanistica, Maria Cristina Gibelli si chiedeva qualche giorno fa, più o meno: ma la giunta Pisapia ha qualche idea su cosa significhi costruire una alternativa di sinistra nell’amministrazione di una grande città? Meglio: giusto fare riferimento ad alcuni principi sui diritti, il valore della politica e via dicendo, ma sul territorio i principi si articolano molto praticamente in pratiche e politiche, equilibri, declinazioni, intrecci. E risulta quantomeno curioso che sia solo l’assessore Boeri, e forse per la sola specifica competenza urbanistica, ad esprimere forti perplessità proprio sul ruolo urbano e sociale delle risorse pubbliche, altrimenti svilite a oggetto di scambio virtualmente immateriale, dove nella logica dei vasi comunicanti si costruiscono equilibri fra amministrazione e soggetti privati privilegiati, che relegano la cittadinanza ai margini. Perché è sostanzialmente questo che sta succedendo, replicando su scala minore un genere di espropriazione assai simile a quella in corso con il famigerato slogan “ce lo chiedono i mercati”. Nel caso specifico, pare che una volta valorizzato lo spazio e incassati i dividendi li si possa investire altrove, che si tratti degli affitti degli stilisti in Galleria o degli oneri destinati alle compensazioni nella greenbelt inopinatamente solcata dalle infrastrutture ideologico-cementizie della “città infinita” (i cui teorici poi presenziano pensosi ai convegni sul consumo di suolo senza che nessuno faccia una piega). Mentre invece è proprio l’altrove ad essere sbagliato: la città è QUI, non è trasferibile, è una magnifica metafora della finitezza delle risorse, ma evidentemente chi naviga nei principi eterni se ne è scordato. Vediamo di ricordarglielo, prima che ci trascini nella sua allegra e suicida insipienza (f.b.)

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