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Paolo Tessadri
Scali fantasma e bilanci taroccati
26 Febbraio 2012
Padania
Le incredibili miserie e ruberie che stanno dietro ai mirabolanti progetti di “sviluppo locale” e indebita urbanizzazione a vanvera. Il Fatto quotidiano, 27 febbraio 2012, postilla. (f.b.)

Si sono divorati un intero aeroporto in meno di dieci anni. Una voragine di oltre 92 milioni di euro nel bilancio della società a maggioranza pubblica, ma prima di andarsene hanno abbellito l’ingresso all’aerostazione con diciotto bellissimi olivi, affittati a 3722 euro a chioma. Più di una vacanza natalizia ai tropici con imbarco al Catullo. Totale: 67 mila euro, sottratti alla Avio Handling, società controllata dalla Catullo spa, che controlla gli scali di Verona e di Montichiari di Brescia. La Avio, però, è sull’orlo del fallimento e a novembre dello scorso anno è stata ricapitalizzata con tre milioni di euro, pur di non chiudere, con i dipendenti a rischio licenziamento. Anche alla holding dell’aeroporto non scherzano con i debiti. Dei 92,3 milioni di euro di debiti iscritti a bilancio, 19 sono solo di perdita nell’esercizio 2011, mentre vi sono 50 milioni verso le banche, 21 verso i fornitori, 11,8 milioni tributari, 1,35 milioni verso l’Inps, 7,7 nei confronti di altri. Di quei 50 milioni di euro di debiti verso gli istituti bancari, il Banco Popolare di Verona ha chiesto l’immediato rientro entro marzo di 41 milioni di euro. Se non vengono rinegoziati, la bancarotta è alle porte, i libri finiscono in tribunale.

Pur con un quadro debitorio compromesso, nel 2010, l’allora presidente dello scalo, Fabio Bortolotti, sigla un accordo capestro con Ryanair, togliendo proprio al gemello Montichiari i pochi voli rimasti. Per ogni passeggero che sbarca a Verona, il Catullo verserà alla compagna irlandese 15 euro, cioè il doppio rispetto agli altri scali nazionali e internazionali. Inoltre si aggiungono altre clausole capestro, che impongono un esborso complessivo annuo alla società aeroportuale sui due milioni di euro annuo a favore di Ryanair. L’aumento di passeggeri c’è, ma non risolve il deficit di bilancio. Intanto il procuratore capo di Verona, Giulio Mario Schinaia ha aperto due inchieste: la prima per presunta cattiva gestione, la seconda perché le nuove infrastrutture dell’aeroporto sarebbero prive della Valutazione d’impatto ambientale e delle relative autorizzazioni dell’Enac. La grana più grossa che ha portato al disastro finanziario, parte da un’altra scelta: la costruzione dello scalo di Montichiari alle porte di Brescia, al posto del vecchio aeroporto militare.

Nel 1998 il Catullo di Verona chiude per qualche mese, si inaugura il nuovo aeroporto, spendendo 50 miliardi di lire. Sistemate le piste, gli aerei tornano a Verona e a Montichiari non rimane quasi nulla. Nessun passeggero, tuttavia il personale è al suo posto. Un deserto nella Padania. Già nel 2002 il Montichiari si è mangiato 50 milioni di euro e la voragine si allarga di anno in anno. Nel bilancio 2003, il Montichiari dichiara una perdita pari a 3,8 milioni di euro l’anno. Fino ai 5 milioni di euro l’anno negli anni successivi. Per un po’ le floride casse del Catullo di Verona, in perenne crescita per numero di passeggeri, sopporta le perdite, poi si opta per artefici di bilancio. Come nel bilancio 2006, quando si dichiara ufficialmente un attivo di 236 mila euro, si registrano minori costi per 1,7 milioni di euro, invece aumentano i debiti verso i fornitori e si ricorre sempre più spesso a nuovi prestiti. La perdita reale 2006 per il Catullo, si fa trapelare dalla società, sia vicina ai 3 milioni di euro.

Quell’anno l’esposizione verso le banche è di 15,5 milioni di euro e 22,5 milioni di euro sono i debiti verso i fornitori. Nessuno, tuttavia, dice nulla. Mentre i consiglieri del cda si spartiscono 267 mila euro l’anno di emolumenti, come nel 2010. In una società controllata da enti pubblici, i cui consiglieri sono nominati da Province e Comuni, in particolare di Verona e Trento, che detengono una quota rilevante del pacchetto azionario. Le continue ricapitalizzazioni non hanno sanato i conti in rosso. Mentre Brescia è sempre rimasta alla porta fino a poco fa, quando ha sottoscritto un aumento di responsabilità societaria per il rilancio di Montichiari,conunapartecipazionedel25%diquote nella società unica Aeroporti del Garda, alla quale fanno capo i due scali. I soci bresciani finora non hanno aperto il portafogli e Verona gli ha intimato di pagare la loro quota di debiti. Intanto l’aeroporto di Brescia perde 20 mila euro al giorno, 600 mila al mese, 8 milioni di deficit l’anno.

postilla

Su questo sito già diversi anni fa si era seguita la vicenda di un fantomatico neo-hub intercontinentale padano: padano sia per la collocazione geografica che per la coloritura diciamo così politica. Ovvero la fusione a freddo dei due campi di Montichiari e Ghedi, che si trascinavano appresso scalo TAV, infiniti lavori stradali, massiccio decentramento funzionale (funzioni dal superfluo al decisamente comico allo squisitamente virtuale)dal centro di Brescia. Sempre che queste funzioni siano mai esistite, naturalmente. Il tutto, con previsioni di passeggeri da far tremare tutta la megalopoli, a fronte di una crisi nera dell’altro hub padano, quella Malpensa da sempre fiore all’occhiello della lobby lagaiolo-gallaratese. C’era del marcio in padania, e la puzza si sentiva da lontano, solo dando una scorsa al grandioso progetto. Adesso, eccoli qui, magari a dire “ma noi non potevamo sapere”. Invece è meglio ricordarsi, dando un’occhiata per nulla storica almeno al nostro primo reportage completo, quello seriosamente intitolato Hub? Burp!. (f.b.)

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