In principio era la Punta dell’Isola. Poi arrivò l’industria, e su quella prua geografica alla confluenza del Brembo nell’Adda l’imprenditore Cristoforo Benigno Crespi ci costruì nei primi anni dopo l’unità d’Italia quello che voleva essere un villaggio operaio modello. Non era il paradiso, ma almeno le casette con giardino schierate militarmente davanti alla fabbrica erano un posto decoroso per abitare, in attesa di andare a riposare in eterno al cimitero affacciato sulla valle padana, sotto gli occhi sempre vigili del mausoleo di famiglia. Stavano molto peggio i contadini tutto intorno. Nel XX secolo l’Unesco dichiarava il villaggio operaio Crespi d’Adda patrimonio dell’umanità, per inciso nella medesima seduta in cui lo diventava l’Isola di Pasqua coi suoi spettacolari faccioni di pietra. Qui però dobbiamo occuparci di facce di materiale diverso, diciamo facce di bronzo per non dir di peggio.
Uno dei motivi per cui Crespi interessava tanto l’Unesco era la sospensione del tempo tutto attorno, il fatto che a differenza di tanti altri casi magari anche più architettonicamente virtuosi di company town industriale tradizionale, geografia e sviluppo socioeconomico avevano racchiuso il villaggio in una specie di bolla artificiale, fatta di spazi aperti, valle del fiume, terrazzamenti. Verso la seconda metà del XX secolo iniziavano a crescere gli insediamenti urbani attorno al tracciato dell’autostrada Milano-Venezia solo qualche centinaio di metri più a nord, e nel migliore stile dell’epoca all’autostrada si attaccava una tipica espressione di attività economica postindustriale: il parco a tema Minitalia, dove turisti e curiosi potevano divertirsi a girare il Belpaese in miniatura, magari chiamando a gran voce da dietro la Torre di Pisa la zia che si era fermata troppo a Piazza San Marco …
Ma si sa, tutto cambia, e arriviamo ai nostri giorni di trionfo del cosiddetto sviluppo del territorio, della joint-venture pubblico-privata, dei luminosi futuri di crescita economica locale grazie alla visione di qualche lungimirante imprenditore. E soprattutto delle balle in malafede per venderci questa paccottiglia. L’autostrada A4 c’è e ovviamente ce la teniamo. Il parco a tema col piccolo Colosseo, le attività commerciali di complemento eccetera sta insediato appena sotto il tracciato, occupa parecchie decine di migliaia di metri quadrati dell’antica Punta, ma a sud si conserva ancora una apprezzabile fascia di greenbelt agricola fino al limite del terrazzamento che scende al villaggio operaio di Crespi, di cui si vedono le ciminiere della fabbrica. Parallelamente all’asse est-ovest segnato dall’autostrada invece, e lungo quello nord-sud dell’Isola bergamasca, il vero e proprio disastro dello sprawl suburbano fatto di capannoni a casaccio, lottizzazioni di villette e palazzine che chiudono su tutti i lati i residui nuclei storici, rotatorie per smistare il traffico verso la rotatoria accanto.
A dichiarare il rien-ne-va-plus finale ci si mette ora all’alba del terzo millennio la seconda autostrada, quella Pedemontana Lombarda che per motivi imperscrutabili qualcuno chiama “parco lineare” giusto perché ogni tanto nel progetti si vedono delle siepi a nascondere le sei-otto corsie asfaltate. Ma lasciando perdere i problemi di vista addomesticata di alcuni, torniamo a Crespi, un po’ malridotta, patrimonio sì ma con tanto bisogno di manutenzione. E qui suonano le trombe e arrivano al galoppo gli eroi dello sviluppo del territorio pubblico-privato: il pubblico paga, il privato porta a casa. Come si rilancia Crespi? Con un Accordo di Programma, manco a dirlo per lo sviluppo, che parte dalla sua poco corretta dizione inglese di development, la quale di solito si traduce con edilizia. Al centro dell’accordo la trasformazione edilizia di Minitalia, che rilancia il parco a tema e lo contestualizza nel territorio, comprendendo anche Crespi d’Adda.
C’è il nodo delle due autostrade e bisogna approfittarne. Come? Ma nel modo che ben sappiamo, ovvero col classico progetto “multifunzionale” fatto di alberghi, centri congressi, attività turistiche, commercio outlet. La formula architettonica è quella pure classica del pensoso progettista che sviluppa su un tavolo da disegno iper-uranico un concetto astratto, da scaraventare poi sul territorio locale, lasciando agli uffici stampa il compito di spiegare il perché e il percome. Nel caso specifico la ciliegina sulla torta (si fa per dire) è una torre albergo che si vedrà per chilometri e chilometri attorno, villaggio operaio incluso, e che pure nella migliore tradizione si propone “leonardesca”. Se non altro, a differenza di Mario Botta a Sarzana (che aveva confuso con Suzzara) qui non si sono sbagliati a scrivere, che so “leopardesca”.
In definitiva quello che emerge dal progetto proposto (e approvato da qualche settimana) dall’Accordo di Programma, garantito da Regione, Provincia, Comuni interessati, è l’ennesimo discutibilissimo nodo di attività a forte indirizzo automobilistico, con aumento di cubature, occupazione di notevoli spazi per i parcheggi, con una offerta che difficilmente si può considerare concorrenziale, salvo appunto la localizzazione. Se ne possono dire di cotte e di crude, degli impatti probabili anzi sicuri del traffico, e dei vantaggi abbastanza dubbi in termini occupazionali (di solito si guadagnano posti di lavoro da un lato, se ne perdono da un altro, magari di più qualificati). Ma gira e rigira apparentemente il ragionamento potrebbe anche essere: se non lì, dove altro? Ovvero come insegna anche il cosiddetto new urbanism, a suo modo attento alle sciocchezze più macroscopiche, se dobbiamo crescere meglio farlo là dove gli impatti sono minori, e nel caso specifico nell’area a maggior accessibilità e attrezzata.
Per giunta, a suo modo si tratta di un riuso di area parzialmente dismessa, pur allargandola parecchio: si rilancia Minitalia, come si potrebbe fare di un supermercato un po’ in ribasso negli affari. Crespi continua a starsene come stava prima, con buona pace dell’Unesco, circondata da quei campi come l’Isola di Pasqua dall’oceano. E qui casca l’asino con tutte e quattro le zampe: l’Accordo di Programma è falso e tendenzioso. Tutto legale, intendiamoci, formalmente corretto, ma non tutto ciò che è legale è lecito: le mappe e i calcoli del progetto approvato non corrispondono alla realtà, per il semplice motivo che non sono completi. Il resto della documentazione sta su un altro tavolo, leggibile in modo contestuale solo a chi ha organizzato il trucco. E a chi se ne è accorto, naturalmente.
Il progetto del parco a tema ampliato e rinforzato con la sua incongrua torre simil-leonardesca, per capirlo appieno, lo si deve accostare a quanto è sinora pubblico come Ambito di Trasformazione via Cristoforo Benigno Crespi. Che non sta dentro quell’Accordo di Programma, però. Sta nel Piano di Governo del Territorio del Comune di Brembate, ma come si legge chiarissimamente nella apposita scheda è una “Area agricola a seminativo semplice, a prato stabile e ad incolto. Il lato nord è adiacente al Parco Minitalia”. 76.000 metri quadrati di superficie che, come si legge benissimo dalla cartina allegata alla stessa scheda, arrivano a pochi metri dal bordo del terrazzamento affacciato su Crespi, e vengono destinati a funzione “ricettiva, museale, commerciale, svago e sociale”. Quindi ad appiccicarsi senza soluzione di continuità al progetto di outlet albergo leopardato eccetera. Cosa succede, in realtà e in sintesi?
Succede che si iniziano a cogliere i frutti maturi e già abbondantemente marci dell’idea balzana di “sviluppo del territorio” che sta dietro a ogni autostrada moderna, ovvero che a ogni crocicchio vero o immaginato si rimescolano interessi di trasformazione urbanistica, senza badare a nulla. Basta dare un’occhiata veloce alla Scheda dell’Ambito di Trasformazione (allegata, per l’Accordo di Programma faccio riferimento al sito regionale con tutta la documentazione: almeno ci salva l’Europa con la VAS obbligatoria!) per vedere cosa succederà. Sinora il villaggio Crespi è stato risparmiato nella sua integrità sia dalla collocazione nella Punta, tutelata in quanto valle dei due fiumi, che dalla destinazione agricola del terrazzamento superiore, che lo isola visivamente dall’ambiente autostradale.
Per capire meglio l’idea, pensiamo a un tipo di spazio ben noto a chiunque, ovvero la fascia laterale a uso commerciale di una grande arteria guardata dall’esterno, o la gran parte del perimetro di un grosso supermercato. Si tratta di zone ridotte a una specie di vasto “vicolo di servizio”, retrobottega necessariamente degradato, o al massimo barriera invalicabile ben schermata a verde. Oggi questa situazione riguarda l’affaccio sull’area agricola della zona recintata di Minitalia e dei parcheggi esterni al perimetro. Domani, se si attuasse il “doppio progetto” non solo su tutta l’area incomberebbe la incongrua mole della torre albergo, non solo traffico e parcheggi imporrebbero un carico assai pesante, ma con l’aggiunta dell’Ambito di Trasformazione Sud il fronte del “retrobottega” arriverebbe a lambire il sito Unesco. Unica soluzione possibile, a quel punto, e per essere coerenti, sarebbe accorpare anche Crespi d’Adda al parco tematico, magari obbligando gli abitanti a vestirsi con costumi d’epoca, e mimare il lavoro minorile su telai ottocenteschi …
Insomma, una volta per le emergenze si chiamavano i Caschi Blu, oggi ci tocca invocare l’intervento dell’Unesco, per salvarci dallo sviluppo del territorio: è un'emergenza umanitaria, a modo suo.
(in allegato la Scheda AT, le Osservazioni di Legambiente che chiariscono i motivi di opposizione al progetto nel suo complesso, un paio di articoli dai giornali degli ultimi giorni)