I ragazzini dell’Isola bergamasca che si sparano in cuffia l’ultimo album degli Arcade Fire, The Suburbs, sognano lontane frontiere, e non sanno di starci già immersi fino al collo in quelle strofe, fra centri commerciali “come catene di montagne”. La parola sprawl nella pianura padana è stata recentemente declinata nell’ambiguo slogan della “città infinita”, carica di impatto ambientale, e in definitiva di tara per lo sviluppo, oltre la qualità della vita. Mentre per fare alcune cifre, in Lombardia, solo dal 1999 al 2005 sono spariti sotto cemento e asfalto 22.000 ettari: come aver costruito dal nulla una città più grande di Milano. In Emilia le cose vanno quasi peggio, e altre regioni seguono a ruota.
Il gruppo di Mauro Baioni e Massimo Bernardelli ha portato a termine il piano a “crescita zero”, manifesto di sostenibilità locale per un piccolo comune dell’Isola bergamasca, Solza (2000 ab. su 1,23 kmq), dove il consumo di suolo ha già raggiunto la soglia critica del 50% del territorio comunale. Baioni dirige la Scuola Estiva di Pianificazione di Eddyburg, che ha affrontato il tema dello sviluppo sostenibile applicato all’organizzazione del territorio, e il piano per Solza si inserisce nel solco di un dibattito consolidato, per quanto non ancora mainstream.
Le decisioni hanno un percorso trasparente: confronto con la popolazione, inquadramento in una prospettiva di area vasta, a promuovere cooperazione con gli altri comuni, e riassumendo il resto in pochissime parole, preminenza di qualità e risorse: l’una da aumentare in servizi, abitabilità, occasioni, le seconde da conservare e valorizzare.
Questo si traduce in ricerca di integrazione dei tessuti urbani e aperti nell’intero territorio comunale (sacche monofunzionali, sistema di mobilità auto-centrico, crescita puntuale e a cul-de-sac dell’urbanizzazione), a partire dai rapporti col centro storico, con le polarità dei servizi. Un ruolo particolare, nella nebulosa regionale dei capannoni sparsi, assume la domanda: ma servono davvero allo sviluppo locale? E la risposta di solito è NO. Servono, a volte, solo ai comuni, a far cassa, e sempre a spese della risorsa territorio, preziosa e insostituibile. Il PgT di Solza è stato adottato con delibera del 29 giugno 2010.
I cosiddetti “piani a crescita zero” nascono dalla domanda lecita: a cosa serve l’urbanizzazione dei terreni aperti? A cui spesso viene data la sbrigativa risposta: allo sviluppo economico locale. Risposta che molti, sempre più, ritengono quantomeno parziale e incompleta.
Le prime esperienze si possono far risalire agli anni ’90 con l’obiettivo dello zero consumo di suolo per il piano di Napoli coordinato da Vezio De Lucia (approvato nel 2004), o quello di Lastra a Signa senza aree di espansione (2004). Molto noto quello per Cassinetta di Lugagnano, nell’area metropolitana di Milano (approvato nel 2007, 1500 abitanti, circa 200 abitazioni aggiuntive, tutte in recupero/ristrutturazione) dalla cui esperienza nasce poi la Associazione Stop al Consumo di Territorio. Fra gli altri comuni che hanno iniziato percorsi “virtuosi” di questo tipo spicca per importanza quello di Firenze. Situazioni assai diverse, dove però si cerca una risposta pratica, non ideologica e di lungo periodo al tema della sostenibilità, utilizzando il territorio come nodo per affrontare altri temi, quello energetico, o ambientale in senso lato, o di rapporto fra sviluppo e qualità della vita.
Unica pecca, se così si può definire, di questa piccola “famiglia” di piani, è la pessima pubblicità che li riguarda: utopie ambientaliste, progetti velleitari destinati a tramontare insieme ai loro sponsor politico-culturali, ostacoli alle attività di trasformazione indispensabili alla nostra civiltà … solo per riassumere le critiche più frequenti. In realtà, il solo fatto di essersi tradotti in strumenti approvati di governo del territorio ne dimostra la validità.