CARAVAGGIO (Bergamo) — Poca mistica, molta politica e parecchi veleni. Da monumento alla misericordia mariana, il santuario del Sacro Fonte di Caravaggio dedicato alla Madonna — che per le cronache della fede cristiana qui apparve nell’anno 1432 — pare di questi tempi più il teatro di feroci dissidi di natura tutta terrena. E di terreno si tratta, per di più ubicato in territorio del comune confinante (e storico nemico di campanile), Misano Gera d'Adda.
Pomo della discordia, un' area di circa 160mila metri quadri proprio a ridosso del tempio, un territorio ricco di sorgive naturali e pregiate, che l'amministrazione guidata dalla sindachessa di fede padana Daisy Pirovano — figlia del presidente della Provincia di Bergamo Ettore Pirovano— avrebbe destinato via Pgt ad «area produttiva».
Apriti cielo, è battaglia aperta. A fronteggiare la prima cittadina leghista si è levato un esercito di paladini della tutela del territorio, in prima fila il Fai e quindi Legambiente, con l'appoggio dei vertici porporini della curia di Cremona, competente sul territorio caravaggino, che avrebbe sposato i timori degli oltre tremila cittadini e fedeli firmatari di un appello e sollecitato l’intervento della Sovrintendenza per i beni ambientali e paesaggistici per un risoluto (e risolutivo) «altolà».
L'area produttiva, denunciano preti, fedeli e ambientalisti, sorgerebbe a soli 600 metri dalle mura del santuario, danneggiando fortemente il luogo di culto, meta di migliaia di pellegrini, e distruggerebbe un'area di pregio naturalistico.
Sulle barricate sono saliti negli scorsi giorni anche i consiglieri regionali bergamaschi Gabriele Sola (Idv), Maurizio Martina e Mario Barboni (Pd), che hanno presentato un'interrogazione al governatore Formigoni e all'assessore al Territorio Daniele Belotti da Bergamo.
«Chiediamo al presidente e all'assessore— spiega Sola— se a loro avviso un insediamento di quelle dimensioni non sia incompatibile con le indicazioni del Piano territoriale regionale. Mi riferisco, in particolare, alla tutela dei luoghi di culto e di devozione popolare. Nei cassetti della Regione giace una proposta di legge d'iniziativa popolare che lo stesso assessore Belotti aveva firmato un paio d'anni fa». Il primo a sollevare la questione era stato un privato cittadino, Gianni Baruffi, che aveva poi allertato la compagine ambientalista.
«Considerata l'importanza naturalistica e ambientale della zona interessata — tuona Patrizio Dolcini, segretario locale di Legambiente — l'area una volta cementificata comprometterebbe seriamente il paesaggio adiacente al santuario. Il nostro sospetto è che si voglia creare un maxi centro logistico. E se qualcuno pensa che a togliere le castagne dal fuoco ci pensi l’amministrazione provinciale di Pirovano si sbaglia, non sono affari di famiglia».
E l' «affaire santuario» sembra abbia sollevato malumori anche nella giunta della rampolla leghista: giovedì scorso il vicesindaco Oscar Mor ha rassegnato le dimissioni, pare — secondo rumors— proprio perché contrario al «mostro di cemento» accanto al santuario.
postilla
la cosa che sorprende davvero (ci si sorprende ancora, e per fortuna), è che nessuno abbia ancora “blindato” spazi del genere rispetto alle classiche trasformazioni idiote e inutili, come quella raccontata nell’articolo, dell’usuale manciata di capannoni a tamponare un contingente problema di immagine consenso o bilancio. Edificazione che lì significa trasformazione brutale, affatto contingente, del tutto arbitraria, e che trascina con sé uno spazio/tempo enorme. Ovvero il tempo dell’eternità, e lo spazio del paesaggio che qui (l’avevano già notato anche i nostri antenati irsuto-gutturali, gli stessi a cui fa finta di riferirsi qualche volta il partito del sindaco) sacralizzando quell’area, che segna con la risorgiva il confine fra l’alta pianura asciutta e la bassa irrigua. Il grande Santuario è spettacolare anche perché come storicamente accade aggiunge l’immaginario cristiano a riti precedenti, occupando il medesimo spazio. Per chi non conosce l’area, basta dire che si colloca a cavallo delle ultime propaggini della strada Rivoltana (quella che a Milano comincia più o meno davanti alla Mondadori di Niemeyer), tra la linea delle Prealpi e la pianura agricola quasi intatta della cosiddetta Gera d’Adda. Uscendo dall’area metropolitana verso est, il paesaggio si “scopre” via via appunto scavalcando le schiere dei capannoni, che si diradano fino a lasciare spazio, verso Caravaggio e la linea di confine fra bassa bergamasca e alto cremasco, alla campagna aperta. Insomma per riassumere in due parole, si tratta di un caso analogo a quello già trattato qui, della lottizzazione di Montalino, dall’altra parte della megalopoli a sud del Po: una trasformazione micidiale, soprattutto perché inutile, che se proprio necessaria (cosa assai dubbia) potrebbe realizzarsi benissimo altrove, ad esempio coordinando meglio il sistema degli insediamenti produttivi a scala intercomunale. Visto che, come ci racconta l’articolo, la sindaco è figlia del presidente della Provincia, si mettano d’accordo a tavola su questa questione di coordinamento territoriale. In Italia (pardon, in padania) si risolve tutto in famiglia, no? (f.b.)