Le cronache abbondano di episodi che testimoniano il legame tra corruzione e affermazione della criminalità organizzata nelle regioni del Nord. È importante interrogarsi sulle falle del sistema che agevolano questo perverso connubio, al di là delle responsabilità penali delle persone coinvolte. L’entità del giro di affari nell’edilizia e la presenza di meccanismi ancora troppo opachi, tanto nella formazione delle scelte quanto nei successivi controlli, costiuiscono un formidabile “brodo di coltura” nel quale si ramifica e consolida la criminalità.
Nella seconda giornata, Serena Righini ha presentato il suo lavoro di tesi, incentrato su questo tema. Qui di seguito riportiamo il testo, appositamente scritto per eddyburg. In calce sono scaricabili le slide della presentazione.
Negli ultimi mesi sono state numerose le inchieste e le indagini condotte dalla Magistratura e dalle Forze dell’Ordine che hanno svelato, anche in territori fino a poco tempo fa considerati off-limits per la criminalità organizzata, importanti operazioni e trasformazioni urbanistiche che vedono coinvolti, in intrecci poco trasparenti, cosche mafiose ed esponenti del mondo istituzionale.
Spesso il nesso tra criminalità organizzata e territorio viene circoscritto al fenomeno dell’abusivismo edilizio tralasciando di analizzare in che modo i processi decisionali possono venire alterati dalle pressioni della criminalità organizzata che, in questo modo, può orientarli a proprio vantaggio, compromettendo la competitività e lo sviluppo del territorio. Infatti appare sempre più evidente come il pesante condizionamento esercitato dalla mafia sulle scelte di pianificazione sia spesso la causa dello stravolgimento di un ordinato sviluppo urbanistico, che viene così scavalcato da interessi di tipo criminale che sono di ostacolo a una gestione del territorio che abbia come obiettivo il perseguimento dell’interesse collettivo. Alcuni fenomeni che, seppure non imputabili esclusivamente all’agire mafioso, sono influenzati negativamente da eventuali infiltrazioni, sono tipicamente quelli legati alla sovraproduzione edilizia (fenomeno che può essere ricondotto alla necessità di investire e riciclare i proventi di altri traffici illegali nell’attività edilizia da parte delle cosche), ma anche alla cosiddetta “ecomafia”, settore che comprende i reati ambientali, perpetrati in particolare negli ambiti del movimento terra e del ciclo di gestione dei rifiuti, notoriamente caratterizzati da una forte presenza mafiosa.
La relazione tra criminalità organizzata e pianificazione, nella realtà del nord Italia, può essere ricondotta a un approccio tipicamente speculativo nella gestione del territorio che si collega anche al fenomeno della corruzione, coinvolgendo parti sempre più estese sia della componente politica che di quella gestionale e amministrativa di molti enti locali.
Il contesto del nord Italia presenta, a tal proposito, alcune caratteristiche che sembrano favorire le infiltrazioni degli interessi criminali nella gestione del territorio. Da circa un decennio la Regione Lombardia ha avviato un processo di riforma urbanistica che, in nome della semplificazione e dell’efficienza, ha introdotto procedure di pianificazione e programmazione sempre più de-regolative. Il nuovo sistema lombardo di “pianificazione negoziata” è imperniato su un modello di partnership pubblico-privato che priva le strutture pubbliche degli strumenti non solo di controllo ma anche di guida delle scelte strategiche; non prevede criteri oggettivi e prestazionali che regolino la contrattazione e consente, in questo modo, processi decisionali opachi e criteri di valutazione molto discrezionali.
Lo strumento paradigmatico di questa stagione urbanistica lombarda è il Piano Integrato d’Intervento con il quale le Amministrazioni Comunali, previa adozione di un Documento d’Inquadramento (che indica gli obiettivi che si intendono raggiungere e che comunque è modificabile in ogni momento), possono indirizzare le proprie scelte di sviluppo a seconda delle opportunità – o delle proposte – che il contesto immobiliare offre loro.
È facile comprendere, a questo punto, come il contesto lombardo, nonostante alcune ancora forti resistenze soprattutto di carattere propagandistico volte a tutelare l’immagine della “Milano capitale morale d’Italia”, offra ampi varchi per le infiltrazioni criminali.
E forse non è un caso se dalle indagini della Direzione Investigativa Antimafia emerge come nell’ultimo decennio si sia progressivamente diffusa e radicata la presenza della malavita organizzata al nord, fenomeno peraltro dimostrato anche dalle classifiche annuali redatte da Legambiente sui reati ambientali, nelle quali la Lombardia guadagna posizioni ogni anno, e dai dati relativi alle operazioni antiriciclaggio che, nel 2009, hanno visto localizzate nel nord Italia circa la metà di segnalazioni registrate nell’intera penisola.
Nonostante questi dati non lascino dubbi, la percezione mafiosa sul territorio lombardo resta ancora molto bassa. Le attività criminali compaiono raramente sotto i riflettori e non provocano allarme sociale, raramente ricorrono alla violenza, mai alle stragi; piuttosto si presentano con una nuova generazione di “mafiosi con le scarpe lucide”, sempre più inseriti nei settori vitali dell’economia nei quali si presentano con formule e operazioni finanziarie molto avanzate, ricorrendo al decisivo supporto della cosiddetta “zona grigia”.
Società intestate a prestanome che, tramite la corruzione di esponenti politici e di tecnici, si aggiudicano appalti per la realizzazione di opere pubbliche oppure ottengono i permessi per la realizzazione di operazioni immobiliari, anche in difformità con gli strumenti urbanistici vigenti, rappresentano quello che la magistratura definisce un “sistema consolidato e capillare”, nel quale non sempre è di immediata definizione il confine che separa una realtà mafiosa da pratiche speculative e di corruzione prive però di fini criminali.
Un caso di speculazione e corruzione: le inchieste Parco Sud e Parco Sud II
Le inchieste della Magistratura, Parco Sud e Parco Sud II, che hanno interessato il comune di Trezzano sul Naviglio, consentono di comprendere molto bene i meccanismi che portano l’alterazione dei processi decisionali, e quindi delle scelte amministrative, a tutto vantaggio degli interessi criminali nei territori dell’hinterland milanese. Trezzano è un paese di circa 20.000 abitanti, localizzato nella periferia sud occidentale di Milano; circa un anno fa è balzato agli onori della cronaca in seguito all’arresto di numerosi esponenti del clan ‘ndranghetista dei Barbaro-Papalia e a quello dell’ex sindaco, oltre al coinvolgimento di alcuni consiglieri e del responsabile dell’ufficio tecnico comunale.
Qui è stato proposto, e approvato, un piano di Lottizzazione che interessa un’area a margine del tessuto urbanizzato, localizzata in prossimità del limite del Parco Agricolo Sud Milano, nonostante alcuni vincoli urbanistici - dettati dalla presenza di due pozzi idrici e di un corso d’acqua con relative fasce di rispetto - imponessero importanti limitazioni edificatorie.
Nell’istruttoria della pratica questi vincoli sono semplicemente omessi dalla cartografia e dagli estratti di Piano Regolatore; non viene redatta la relazione idrogeologica che avrebbe dovuto attestare la compatibilità tra il progetto e la vulnerabilità delle risorse idriche sotterranee; non vengono rispettate le distanze dai pozzi di captazione né dal corso d’acqua.
Confrontando l’assetto planimetrico del progetto con i vincoli esistenti è evidente come la situazione progettuale del Piano di Lottizzazione sia molto diversa da quella legale e si può facilmente comprendere che il rispetto della normativa vigente avrebbe comportato uno sfruttamento edificatorio ridotto e quindi minori introiti economici da parte dell’operatore immobiliare vicino al clan ‘ndranghetista.
Ri-regolazione e trasparenza per costruire vantaggio sociale
Ai fini della tutela della legalità, se da un lato appare sempre più anacronistico insistere esclusivamente sul potenziamento delle forze dell’ordine e sull’azione repressiva, dall’altro la ricerca di nuovi strumenti che, anche nel campo urbanistico, siano in grado di ostacolare gli interessi della criminalità organizzata, rischia di diventare un mero esercizio tecnico che, in assenza di un serio intervento sulla trasparenza dei processi decisionali e sul coinvolgimento di tutte le componenti sociali, appesantirebbe ulteriormente l’apparato normativo senza apportare reali contributi e benefici.
L’attivazione di processi di pianificazione maggiormente integrati e partecipati può essere efficace solo se accompagnata da un ripensamento circa le funzioni e il ruolo dell’amministrazione pubblica. Per poter diventare strumenti efficienti per la tutela degli interessi collettivi nei processi di governo del territorio le diverse proposte - politiche attive, standard più esigenti, valutazioni ambientali strategiche - hanno bisogno di un attore pubblico che sia in grado di rappresentare la propria visione strategica e il proprio progetto di territorio inserito in una prospettiva di lungo periodo, all’interno della quale collocare le singole scelte decisionali, che solo in questo modo non sarebbero più dipendenti da proposte e offerte immobiliari estemporanee.
Inoltre il soggetto pubblico deve saper costruire, attorno alle proprie scelte politiche, il maggior livello possibile di consenso sociale. Consenso sociale che non deve essere perseguito tramite il soddisfacimento degli interessi più forti, siano essi di natura più o meno lecita, quanto tramite l’elaborazione di uno scenario di sviluppo locale il più largamente condiviso.
Infatti qualsiasi seria strategia di contrasto non può che agire nella direzione della trasparenza per tutelare gli interessi della collettività e per rompere quegli intrecci che le organizzazioni criminali stringono con il mondo politico e istituzionale e che consentono una gestione del territorio troppo spesso asservita a interessi di dubbia legalità