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Vezio De Lucia
Caro Marino, ma quale questione morale. Siete sudditi di Caltagirone…
17 Luglio 2009
Articoli del 2009
Dura e argomentata accusa alle vere colpe del Democrat Party romano. L’altro, 17 luglio 2009

Ignazio Marino, candidato numero tre alla segreteria nazionale del Pd, ha perso un’occasione d’oro. L’altro giorno, quando fu arrestato il giovane accusato di aver stuprato alcune giovani donne romane e si è saputo che era coordinatore di una sezione periferica del Pd, lo sprovveduto candidato ha chiassosamente dichiarato che nel partito si era aperta una grave questione morale. L’occasione persa è che non era quella la questione morale da denunciare, ma la sudditanza del suo partito agli interessi della proprietà fondiaria, com’è apparso evidente a tutti nella vicenda del vincolo di tutela proposto dalla soprintendente Federica Galloni su circa 2.700 ettari dell’agro romano fra la via Ardeatina e la Laurentina, su terreni di proprietà dei fratelli Caltagirone e altri. Qui non interessano i retroscena che alludono a uno sgarbo del ministro Sandro Bondi al sindaco Gianni Alemanno, un piccolo segnale in vista delle elezioni regionali del 2010, e sono scontate le reazioni negative dell’amministrazione capitolina e dei più autorevoli esponenti del Pdl.

Scandalizzano invece le scomposte reazioni del Pd, del presidente della provincia Nicola Zingaretti, del vice presidente della regione Esterino Montino, del capogruppo capitolino Umberto Marroni, che hanno raccolto “il grido di dolore dei costruttori romani” e hanno sollecitato la maggioranza a stabilire una linea comune contro l’invasione di campo della soprintendenza. Come osa una funzionaria mettere in discussione gli affari e le intese stipulate all’ombra del piano regolatore firmato Walter Veltroni? Silenzio assordante dal resto della sinistra, come ha scritto Anna Pacilli su eddyburg.

L’episodio dimostra con indiscutibile chiarezza che la sonora sconfitta del centro sinistra e della sinistra alle elezioni amministrative dell’anno scorso non è servita a nulla. La protesta e la contestazione di centinaia di comitati, di associazioni, di circoli, le denunce di urbanisti, intellettuali, scrittori, le inchieste di report, i libri di Paolo Berdini e Walter Tocci: tutto ciò non è servito a nulla. Mi limito qui a ricordare che il piano regolatore del centro sinistra ha sepolto l’agro romano sotto 15 mila ettari di nuova espansione e sotto 70 milioni di metri cubi di nuova edificazione (che la nuova amministrazione sta incrementando). Nella città storica e nella prima e seconda periferia ci sono sempre meno abitanti sostituiti da uffici, commercio, alberghi, altre attività. Le nuove famiglie, quelle che possono, trovano casa sempre più lontano, in remote, irraggiungibili periferie e nei comuni della cintura, senza servizi adeguati, condannate a ore di pendolarismo, di stress, d’inquinamento.

Quando, finalmente, una benemerita iniziativa della soprintendenza sembra mettere in discussione il permanente scempio urbanistico di Roma, ci aspettavamo che il centro sinistra e la sinistra cogliessero l’occasione per avviare una riflessione seria e autocritica su uno sviluppo comandato solo dal mattone, e sull’implicita questione morale. Invece no. Ieri si sono trovati tutti insieme Pd e Pdl, ministero, comune, provincia e regione per raccogliere il grido di dolore dei costruttori e trovare una via d’uscita che ripristini le vecchie regole del gioco. Auguri

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