Successa la tragedia, si corre ai ripari. Con imperdonabile ritardo. Un vizio che ben conosciamo. E che in questo caso riguarda tutti i governi, di centrosinistra e di centrodestra. Le Ntc, esistono dal 2005, ma finora, almeno per gli edifici privati, non c’è l’obbligo di applicarle, perché la loro entrata in vigore è stata di anno in anno puntualmente prorogata. L’ultimo rinvio poco più di un mese fa, manco a dirlo col solito decreto «milleproroghe», lo stesso usato da Prodi nel 2007. Ogni volta i governi di turno hanno ceduto alle pressioni delle lobby dei costruttori e degli ingegneri, che chiedevano più tempo per adeguarsi alle novità e temevano l’aumento dei costi. E così, ancora oggi, tutte le abitazioni private possono essere costruite ignorando le regole più stringenti introdotte in maniera organica nel 2005 e aggiornate nel 2008 per garantire la durata e la resistenza degli edifici ai terremoti e alle altre catastrofi naturali.
Ma ora, dopo il sisma in Abruzzo, la politica si è pentita e l’altro ieri nella commissione Ambiente della Camera è stata approvata col voto di tutti, maggioranza e opposizione, una mozione che impegna il governo ad annullare l’ultima proroga, quella del 27 febbraio scorso, che posticipava l’entrata in vigore delle Ntc dal 30 giugno 2009 al 30 giugno 2010. Impegno che l’esecutivo rispetterà, probabilmente col decreto legge del «piano casa». E pensare che quando si profilava l’ultima proroga non erano mancati gli avvertimenti al governo. L’Atecap, l’associazione delle imprese del calcestruzzo più qualificate (quelle che garantiscono un prodotto certificato secondo le Ntc), aveva scritto al presidente del Consiglio, ai ministri delle Infrastrutture e dello Sviluppo, al capo della Protezione civile, al presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e a tutti i gruppi parlamentari. Il continuo regime di proroga, si legge nella lettera del 23 febbraio, «costituisce un forte disincentivo ad applicare comportamenti e a fare investimenti in grado di garantire maggiore qualità in termini di durabilità e di sicurezza delle opere». Quindi concludeva con una domanda: «Perché rinunciare a livelli di sicurezza maggiori rispetto al passato?».
Una domanda che, a ben vedere, si trascina dal 2001, quando nel testo unico di edilizia si disponeva la successiva emanazione di specifiche tecniche per le costruzioni in zone sismiche. Erano passati 21 anni dal terremoto in Irpinia, 9 dall’alluvione in Valtellina, 3 dalla frana di Sarno. Le specifiche arrivarono solo nel 2003, ma la loro applicazione fu rinviata più volte fino al 2005, quando furono approvate le Norme tecniche per le costruzioni. Una disciplina organica che imponeva l’obbligo della certificazione di qualità per i materiali utilizzati nella costruzione. Priorità dettata dalla tragedia del 31 ottobre 2002, quando, per un terremoto neppure tanto forte, a San Giuliano di Puglia la scuola elementare si sbriciolò uccidendo 27 bambini e una maestra. Ma neppure questa volta le norme furono applicate, a causa di due proroghe. Finché si arriva al testo del 2008 e, almeno in parte, le nuove regole, che si adeguano con grave ritardo agli standard europei, cominciano finalmente a entrare in vigore. In particolare, per gli edifici di «interesse strategico», per esempio scuole, ospedali ed edifici pubblici in genere, c’è l’obbligo di utilizzare il calcestruzzo certificato. Per le costruzioni private, invece, se ne può fare a meno grazie appunto alle proroghe: si risparmia forse, ma le case non sono sicure.