Esce nelle sale il film di Spike Lee sull'eccidio di Sant'Anna di Stazzema. Enrico Pieri, allora bambino e sopravvissuto alla strage, ne parla con noi, con il regista e alcuni storici
Aveva dieci anni Enrico Pieri (più o meno come Angelo, il protagonista del film di Spike Lee), quella mattina del 12 agosto 1944. Era a Sant'Anna di Stazzema, località I Franchi, nel casalone dove abitava con i suoi: due sorelline, la mamma, il babbo, minatore figlio di emigranti in Svizzera (un nonno morto costruendo il tunnel sotto il Giura, nel 1914), ora a cavar ferro a Montarticcio in Lunigiana, e perciò rimandato a casa dal fronte, il minerale era più prezioso di un soldato. Accanto, nella casa del nonno materno e in quella dello zio Alfredo, c'erano gli sfollati della piana versiliese, ammucchiati alla meglio, assieme alle bestie che si erano portati dietro.
«All'alba - racconta mentre pranziamo dopo il mini-convegno con gli storici che presenta il film a Firenze - al casale era venuto il macellaio per aiutare a scorticare la vacca appesa in cucina: ammazzata senza permesso per sfamare tutta quella gente. Ma non se n'era fatto niente, perché aveva consigliato di andar via in fretta, che stavano per arrivare i tedeschi».
«Il babbo aveva paura soprattutto per via della vacca, ma, come gli altri, aveva detto di no, che non sarebbe scappato, restavano tutti lì. Che i tedeschi arrivavano e non arrivavano si diceva da quasi un anno: dall'8 settembre, quando erano suonate le campane per l'annuncio dell'armistizio e tutti si erano riuniti in cucina a festeggiare. Ma il babbo aveva detto, 'va bene oggi, domani chissà'. Da allora i ragazzi di leva, per sfuggire al bando che minacciava la fucilazione a chi non si fosse presentato (quello famoso firmato da Almirante), erano andati in montagna e poi si era formata una banda partigiana, «I cacciatori delle Apuane», diretta da un tenente d'aviazione, Gino Lombardi. Poi di bande se ne erano organizzate altre e i primi scontri non erano stati coi tedeschi ma con quelli della X Mas. La prima vittima, a S. Anna, alla fine del '43, c'era stata proprio per mano di italiani. Ora, con la linea gotica a due passi, gli allarmi erano diventati continui».
«Questa volta, però, i tedeschi arrivarono davvero. Erano le sette del mattino e ci fecero uscire tutti, fra noi e i Pieroni si era una quindicina. I tedeschi non più di quattro o cinque. Ci avviamo, ma dopo nemmeno 50 metri cambiano idea e ci riportano a casa, stipati nella cucina del nonno, già piena di materassi che spazio con gli sfollati non ce n'era. Non eravamo nemmeno entrati tutti che comincia la sparatoria. La Gabriella Pieroni, due anni più di me, mi piglia per il braccio e mi tira dentro un ripostiglio, nel sottoscala. L'inferno dura poco e c'è un grande silenzio. Usciamo dal nascondiglio tenendoci per mano, ma c'è tanto fumo, perché i tedeschi hanno buttato dentro la paglia e il pavimento di legno sta prendendo fuoco. Lentamente, però, perché le fiamme sono rallentate dalle pannocchie ancora attaccate. C 'è sangue dappertutto e non riusciamo a vedere niente, anche perché non abbiamo coraggio di guardare. Si intravedono i corpi dei nostri uno sull'altro, il sangue che ancora cola, immobili. Ci raggiunge una vocina, è la sorellina piccola di Gabriella che si è salvata nascondendosi nei letti sfatti. Sull'aia c'è un gran cumulo di fagioli e ci nascondiamo tutti e tre dentro, impietriti dalla paura».
Sommersi e salvati
«Sotto i fagioli restiamo fino alle cinque del pomeriggio, trattenendo il fiato. Da fuori ci arrivano gli ululati delle bestie, il rumore degli spari, il boato dei crolli, il crepitare degli incendi. Quando andiamo fuori brucia infatti, al di là della strada, la cascina dei Bartolucci e dei Marchetti, poco più in là, le case della Vaccareccia, dove poi furono trovati 70 morti. Un vero incendio, con i corpi dentro, perché lì hanno usato il lancia fiamme. Tremiamo, ma decidiamo di scappare, io conosco un sentiero che scollina senza passare per S. Anna. Stremati arriviamo all'altra valle e i contadini ci danno latte e rifugio in una grotta: siamo in parecchi e ci raccontano che davanti alla chiesa, in paese, ne hanno ammazzati a centinaia, tutti, una montagna di corpi. Al mattino non resisto e da solo riscavalco il monte per tornare a casa. Ma poi non ce la faccio a entrare nella cucina dove so che ci sono i cadaveri dei genitori, delle sorelline, dei nonni, degli zii. Ma l'incendio non è divampato e riesco a spegnere, prendendo l'acqua dall'acquaio, col vaso da notte del nonno, i mozziconi che bruciano. Così ho salvato la casa, che è ancora lì».
E poi, Enrico? «Poi, poi. Mi hanno affidato a una zia a Castello Carducci, quindi in collegio e appena finite le elementari a lavorare nei cantieri di Viareggio. Alla fine sono andato anche io in Svizzera. Ci sono restato 32 anni e sono tornato solo nel '92, con la pensione. Di S. Anna per anni non ho più voluto saper niente, ancora adesso di notte mi sogno che scappo. Però non volevo che mio figlio, in Svizzera, andasse alla scuola tedesca, non potevo sopportare che parlasse quella lingua. Poi mi sono detto, adesso c'è l'Europa, siamo sicuri, che vada pura dai crucchi».
Enrico Pieri, uno dei rari sopravissuti ai 560 massacrati di S. Anna di Stazzema, di quel che è accaduto è tornato a parlare. E' anzi presidente dei «Martiri di S. Anna». E ogni giorno, dice, «salgo su da Pietrasanta dove ora vivo. Ma lì non abita più nessuno, deserto». Parliamo del film, all'inizio un po' diffidente, perché si tratta del . «Tu però prima diffondevi l'Unità come me, che ne ho vendute a milioni, anche quando ero in Svizzera, fra gli emigrati» - mi dice quasi a rimproverarmi l'antico abbandono. Ma poi prevale la complicità dei vecchi comunisti e parliamo a lungo della polemica che ha accompagnato il film di Spike Lee.
Il film «conteso»
Della pellicola è per certi versi un po' deluso. Ma non perché parla male della Resistenza, o, peggio, come ha indecentemente scritto Peppino Caldarola su Il riformista, perché Spike Lee avrebbe vendicato Gian Paolo Pansa. Pieri non condivide il duro attacco mosso al film dall'Anpi locale. Spike in effetti fa vedere che la popolazione non denuncia i partigiani, tace anche a fronte delle minacce dei tedeschi. E poi mostra i partigiani che combattono e cadono a fianco dei soldati americani. Quanto al traditore... traditori si sa che ce ne sono in ogni formazione. Un po' deluso, piuttosto, è perché «Miracolo», sebbene racconti di un bambino che avrebbe potuto essere lui stesso, non è un film sulla Resistenza in senso proprio, e in qualche modo nemmeno sull'eccidio, come si aspettava. E' invece un film sui soldati neri nella guerra dei bianchi, che nella loro epopea incrociano i massacri nazisti e gli abitanti della Toscana. E dell'Italia racconta quello che ne avevano capito i ragazzi della 92ma Divisione Buffalo decimata nell'attraversamento del Serchio. L'Italia è uno sfondo, dipinta con maestria emozionante, ma la straordinaria forza polemica sta nella denuncia - per la prima volta esplicita - della condizione dei militari neri nella guerra mondiale.
Lo hanno detto anche Leonardo Paggi e Paolo Pezzino, i due storici che hanno parlato al mattino, correggendo con garbo gli errori storici di Spike Lee e dello scrittore del libro, McBride, che nel corso del dialogo molto informale, quasi un botta e risposta mediato dal presidente della Cineteca Toscana Di Tullio, hanno finito per capire cose che non sapevano e hanno finalmente interloquito. Ripetendo per ogni buon conto a ogni passo che dei neri americani come loro due non possono che stare dalla parte dei partigiani.
Paggi, che ha scritto in particolare sull'eccidio di Civitella in Chianti, dove lui stesso ha perduto il padre, spiega che in Toscana non c'era il «noi della Resistenza» e i «loro che erano contro», c'era «una comunità partigiana» di cui tutti - salvo una minoranza di fascisti armati - facevano parte. C'erano casomai differenziazioni nel resistere: chi lo faceva con le armi, chi, correndo rischi enormi, fornendo i viveri e l'asilo, chi semplicemente opponendo a fascisti e nazisti una compatta omertà.
McBride ha ancora dubbi, sulle responsabilità dei partigiani che con le loro azioni avrebbero esposto alla vendetta popolazioni inermi. E tira fuori copia di un manifesto affisso nel '44 nei paesi della Lunigiana e ritrovato una decina di anni fa negli archivi della V Armata. «L'ho fornito io stesso all'Archivio del Museo di S.Anna - spiega Pezzino, che è stato l'esperto che ha aiutato il pm di La Spezia nel processo contro i responsabili del massacro che si è concluso solo l'anno scorso con la condanna, ormai solo formale, dei responsabili tedeschi: morti o vecchi, comunque mai estradati dalla Germania. Un processo che ha tardato più di mezzo secolo, perché i documenti furono tenuti nascosti dai Comandi militari italiani nel famoso «armadio della vergogna».
«E' vero - dice Pezzino - che in molte zone manifesti tedeschi che imponevano l'evacuazione dei paesi vennero sostituiti di notte da manifesti partigiani che incitavano le popolazioni a resistere e a ribellarsi, affermando che loro erano accanto al popolo. Ma non si trattava di offerta di garanzie, bensì di messaggi politici. Del resto abbiamo tutte le prove che i massacri non avvenivano per rappresaglia ma perché nei manuali dell'esercito nazista era scritto che sulla linea del fronte bisogna con qualsiasi mezzo liberare il territorio della popolazione, fare terra bruciata attorno ai 'banditi'». E infatti i massacri dopo S. Anna si ripetono in crescendo: Valla e Bardine di S.Terenzo, il 19 agosto; Vinca, dal 24 al 28 agosto ( lì le Ss furono coadiuvate dalle Brigate nere di Pavolini); Fosse del Frigido, vicino a Massa, il 16 settembre; Bergiola Foscalina, vicino a Carrara, nello steso giorno. Poi il «metodo» viene applicato in Emilia, su scala più larga: a Marzabotto gli assassinati furono quasi 800, il più grande eccidio commesso nell'Europa del sud e occidentale occupata dai tedeschi. Che, quelli impegnati sul fronte italiano, si erano comunque allenati, con stermini anche più efferati, sul fronte sovietico.
Massacri infiniti
«Questa storia delle 'colpe' dei partigiani cominciò a venire fuori già alla fine dei '40, con la guerra fredda, alimentata dalla destra - dice Pieri. La Lucchesia, poi, è zona bianca! A S. Anna non c'era più nessuno che potesse contestare: senza strade e senza luce elettrica, e dopo quei morti, era stata abbandonata. S. Anna è stata dimenticata per decenni. E' stato merito di Ciampi ritirare fuori la nostra storia, quando venne qui, nel 2000. E del lavoro fatto dalla regione Toscana sulla memoria». E' qui che Spike ha buon gioco: «Mentre giravo in Italia ho chiesto a tanti cosa sapevano di S. Anna di Stazzema. Sette su dieci non l'avevano mai sentita nominare. Il film, almeno, avrà il merito di far conoscere a tutti la storia». Dicono i due bambini del film, Angelo e Arturo, in realtà già morti: «Queste sono cose succedevano quando eravamo bambini». Purtroppo succedono anche oggi. Giustamente Paggi ha concluso dicendo: alla fine il massacro ha una sua dinamica propria, al di là delle specifiche ideologie. E infatti si ripete. In tutto il mondo. Oggi anche più di ieri.