Legambiente, Limitare il consumo di suolo & costruire ambiente, promuovere un governo sostenibile del territorio, Convegno, Politecnico di Milano, 7 novembre 2007
Il suolo è una risorsa naturale non rinnovabile e ogni suo degrado (erosione, cementificazione, inquinamento, ecc.) comporta una perdita: dalle funzioni produttive, agricole e forestali, a quelle paesaggistiche ed ecologiche, a quelle connesse alla regolazione dei bilanci idrici superficiali e sotterranei e del ciclo del carbonio (di cui il suolo è il principale sink terrestre).
L’urbanizzazione del territorio comporta alterazioni o addirittura perdita, irreversibile, di suoli.
Il problema del .consumo di suolo. viene ulteriormente aggravato in quanto, nonostante le dinamiche demografiche siano stazionarie, vi è una continua richiesta di suoli da edificare, assecondata da scelte dettate da esigenze di autonomia finanziaria a cui gli enti locali fanno fronte con gli introiti di imposte e oneri da edificazione. In tal modo le città crescono a dismisura, quasi sempre senza una organica pianificazione ecologica, e con uno sguardo che non va oltre i confini amministrativi, provocando frammentazione e dispersione insediativa che, oltre a consumare suolo, tende a provocare danni all’agricoltura, sprechi energetici, riduzione della qualità del paesaggio e degli ambienti naturali, incremento della mobilità su gomma e, in ultima istanza, perdita di vivibilità nelle città, nelle aree metropolitane e nelle località turistiche.
Il suolo rimane una risorsa difficile da comunicare. Sempre dominata dalla dimensione privatistica della rendita. Ma il valore e le funzioni del suolo sono invece molte altre e hanno una valenza collettiva. Esse sono di chiara evidenza per il mondo scientifico, sebbene meno presenti alla politica e al sentire comune, più sensibili ai tradizionali (e sempre gravi) fenomeni di inquinamento in altri comparti ambientali. Inoltre mancano dati omogenei sulle dimensioni del suo spreco; risulta non sempre immediato rendersene conto. È difficile (ma oggi doveroso) “alzare lo sguardo” oltre il proprio lotto e percepire che si è di fronte ad un problema di dimensioni ormai notevoli e generalizzato.
È pertanto necessario avviare un dibattito sul tema della tutela dei suoli, sull.esigenza di trovare soluzioni diverse per sostenere i bilanci degli enti locali emancipandoli dalla dissipazione di risorse territoriali, sull.introduzione di principi di fiscalità ambientale, di efficaci forme di compensazione ecologica, di un sistema di regole finalizzato a ridurre lo spreco di suolo libero. Insomma, pare scontato ma non lo è, occorre un governo del territorio concretamente responsabile e sostenibile, che ribalti le priorità tradizionali e si dia, velocemente, principi e regole chiare per un futuro nel quale garantire spazio per tutti. Natura compresa.
Damiano Di Simine, presidente Legambiente Lombardia
PER UNA COSTITUENTE DEI SUOLI
non è solo terra
In Lombardia il suolo libero è risorsa scarsa, preziosa, ma questa constatazione di chiara evidenza non è stata finora sufficiente a generare politiche di tutela degne di questo nome. Non si tratta di un problema solo lombardo: è il nostro ordinamento ad essere privo di uno 'Statuto' dei suoli, che elevi questa risorsa al ruolo che le compete e che è implicito alla definizione che ne danno gli studiosi delle scienze del suolo: ' il prodotto della trasformazione di sostanze minerali e organiche, operata da fattori ambientali attivi per un lungo periodo di tempo sulla superficie della Terra ... capace di provvedere allo sviluppo delle piante superiori e, pertanto, di assicurare la vita all'uomo e agli animali'. Dunque, i suoli sono frutto di una evoluzione lenta nella storia biologica del pianeta: anche in Pianura Padana, area geologicamente giovane, gran parte dei suoli attuali si sono evoluti nell'arco di decine o anche di centinaia di migliaia di anni. Per di più si tratta di una risorsa limitata e circoscritta alla superficie terrestre – il suolo fertile è solo un sottilissimo strato di poche decine di centimetri – oltre che non rinnovabile, se non in tempi che trascendono la nostra esistenza. Esso inoltre è il substrato indispensabile della vita vegetale e di tutti gli organismi che dai vegetali dipendono, quindi anche di quelli appartenenti alla specie umana. Non male, per della banale terra. Ciò che è di chiara evidenza per scienziati ed agricoltori, non sembra esserlo per il legislatore lombardo nè per quello nazionale, che invece ha previsto tutele parziali e condizionate, riferite a specifici attributi e funzioni.
La legge nazionale sulla tutela dei suoli, la ormai storica 183/89, si occupa in realtà di bacini idrografici e di prevenzione del dissesto, ovvero di una funzione connessa ai suoli e alla loro funzione di regolazione idrica che deve essere salvaguardata. Una funzione indubbiamente fondamentale, tanto che siamo sicuramente tra coloro che hanno più apprezzato l'innovazione normativa portata dalla 183, e a maggior ragione siamo preoccupati per la sua abrogazione a seguito del DLgs 152/2006 attualmente oggetto di revisione parlamentare. Ma il suolo è anche altro. Il suolo è innanzitutto substrato essenziale per l'espressione della biodiversità terrestre e base produttiva per l'agricoltura; nella sua estensione e nella diversificazione degli ambienti esso esprime il paesaggio, come irrinunciabile spazio 'sociale' e identitario di una comunità, secondo la nuova definizione della Convenzione Europea sul Paesaggio. Il suolo riempie un comparto della biosfera (la 'pedosfera') di importanza fondamentale per la chiusura dei cicli biogeochimici (tra questi, il ciclo del carbonio di cui il suolo è il principale 'sink' terrestre) oltre per il ciclo dell'acqua. Solo in ultima istanza, il suolo è anche spazio disponibile per insediamenti e infrastrutture la cui realizzazione – se applichiamo le basilari definizioni di sviluppo sostenibile - non può pregiudicare i diritti e le possibilità delle future generazioni.
Non ci sembra affatto normale che le sorti del suolo vengano stabilite per via esclusivamente amministrativa da atti che si richiamano ad una disciplina – l'urbanistica – che già nell'etimologia esprime la negazione dei suoli, la trasformazione delle superfici in qualcos'altro. Ed in effetti all'estero ciò non è: altri Paesi, che come l'Italia hanno conosciuto i problemi connessi con il consumo dei suoli e con la conseguente trasformazione del paesaggio, hanno sviluppato norme di salvaguardia che attribuiscono al suolo valore di bene comune e come tale indisponibile. Ogni trasformazione, ogni rivendicazione di diritti, incluso quello edificatorio, è subordinata alla prevalenza dell'interesse pubblico alla conservazione del complesso delle funzioni e dell'organizzazione dei suoli.
Da noi invece la produzione normativa recente ha istituzionalizzato la contrattazione di aree e destinazioni su base sostanzialmente privatistica, indebolendo le possibilità di agire per salvaguardare la preminenza dell'interesse collettivo sulle aspettative di imprese e privati.
L'Unione Europea si è allertata, per mettere in guardia i Paesi membri circa i rischi della crescita inflattiva e disordinata del consumo di suolo. La Valutazione Ambientale Strategica finalmente entrata nel nostro ordinamento è strumento per verificare la sostenibilità delle scelte di pianificazione territoriale. Ma anche questo strumento risulta depotenziato nella misura in cui al suolo non viene riconosciuto lo status che gli compete: la perdita o la compromissione di suolo non è, di fatto, contabilizzata come un danno ambientale connesso alle trasformazioni, se non per via indiretta.
In Lombardia, la legge urbanistica regionale ha lasciato intravedere spazi per procedure di pianificazione locale più partecipata, ma il PGT, il nuovo strumento urbanistico comunale, non ha finora prodotto alcun argine alla crescita degli spazi urbanizzati a scapito del tessuto rurale. Le stesse province lombarde, che pure si sono finalmente dotate di strumenti di pianificazione d'area vasta (i Piani Territoriali di Coordinamento) - in diversi casi anche di ottima qualità - hanno assistito ad una progressiva erosione delle possibilità di intervenire e guidare i processi di trasformazione territoriale, pur restando almeno per ora titolari dell'importante responsabilità di disciplinare gli ambiti agricoli.
Nel frattempo procedono proposte normative, legate al settore infrastrutturale, che prevedono che il finanziamento delle future autostrade lombarde contempli anche il vantaggio del costruttore nella localizzazione di insediamenti a complemento dell'autostrada stessa: si può immaginare quale alluvione di cemento speculativo una simile norma comporterebbe per i suoli lombardi più pregiati, che vedrebbero prosperare ancora più di adesso il fenomeno degli outlet, dei centri commerciali e logistici, dei cinema multisala.
Ci sembra che l'esigenza di definire una norma, uno statuto per i suoli come risorsa naturale e bene comune, sia più che matura, in particolare per fronteggiare una situazione di dissipazione territoriale che nella nostra Regione è di giorno in giorno più preoccupante. Vogliamo cominciare, con il convegno di oggi, una discussione aperta su questi temi: una discussione che dovrà coinvolgere diversi ambiti di competenza ed affrontare diverse problematiche, non ultima quella della sostenibilità ambientale della fiscalità locale che – nella situazione attuale di riforma fiscale incompiuta – viene ritenuta a torto o a ragione il principale fattore di promozione del consumo di suolo, laddove per i comuni sempre a corto di risorse la scelta più immediata o più facile è quella della svendita del proprio più importante patrimonio, il territorio.
Forse è già tardi per discutere di come frenare il consumo di suolo, molte trasformazioni sono già avvenute in modo irreversibile. Di certo non si può perdere altro tempo, per questo vogliamo elaborare e presentare strumenti, come quello che verrà illustrato oggi della compensazione ecologica preventiva, che possano servire da subito come elementi per invertire la tendenza anche attraverso meccanismi di salvaguardia attiva che, oltre a disincentivare il consumo di suolo e di spazio, generino risorse per la gestione sostenibile del territorio e per l'espressione delle funzioni del suolo.
Paolo Pileri, Arturo Lanzani, Dipartimento di Architettura e Pianificazione, Politecnico di Milano
APPUNTI PER UNA PROPOSTA DI LEGGE
Limitare il consumo di suolo, riqualificare i suoli non edificati, dare primato alla formazione di natura e paesaggio, compensazione ecologica preventiva, promuovere un’urbanizzazione sostenibile e responsabile.
Premessa
L’attività edilizia per lungo tempo, in un passato ormai un po' distante, è stata strettamente associata ad una contestuale attività di costruzione di spazi urbani di convivenza e di socialità e ad una attività agricola e forestale di cura del suolo. Da molto tempo questa contestualità si è incrinata: gli edifici spesso si appoggiano come oggetti isolati alle infrastrutture, senza costruire spazi urbani, l’attività edificatoria è ormai totalmente scissa (anche nel mondo rurale) dall’attività di cura del suolo. Le stesse infrastrutture si appoggiano alla terra senza sempre domandarsi quali rapporti mutano e quali effetti producono.
Inutile nascondere che la de-responsabilizzazione culturale verso gli spazi aperti dell’agricoltura non ha favorito il diffondersi di concetti alternativi, e altrettanto potenti, all’idea di agricoltura produttiva o di aree agricole libere e pronte per essere trasformate in aree edificate. La pratica del progetto urbano in Europa e la stessa legislazione italiana e lombarda a favore dei programmi integrati si è configurata come precondizione per riportare al centro una contestualità nella realizzazione di spazi urbani e collettivi di edilizia privata.
Oggi è ancor più urgente attivare un analogo circuito virtuoso tra trasformazione dei suoli, attività edilizia e costruzione della natura, non solo per urgenti e meritorie ragioni ecologiche, ma anche perché spazi aperti con forte contenuto naturalistico sono oggi più che mai elementi decisivi per definire l’abitabilità, la vivibilità di un territorio.
L’obiettivo di questa proposta è pertanto duplice:
- da un lato limitare l’uso edificatorio del suolo evitando che esso diventi un deposito (confuso) di manufatti spesso sottoutilizzati e abbandonati e che i livelli di urbanizzazione in alcune porzioni del territorio raggiungano livelli insostenibili,
- dall’altro legare ogni attività edificatoria ad una contestuale attività di costruzione dell’ambiente e della natura negli spazi aperti.
Il ragionamento è il seguente: la trasformazione di suolo da un uso naturale o seminaturale ad un uso artificiale, ovvero la sua asportazione o copertura permanente, si responsabilizza nei confronti dell’ambiente. Pertanto ogni trasformazione si deve accompagnare ad un serio processo di valutazione della necessità e della sostenibilità dell’intervento che la richiama. Questo processo non fa altro che sollecitare il progetto a mettere in atto dapprima tutte le azioni possibili per ridurre gli effetti ambientali che esso inevitabilmente comporta. Questo stesso processo, riferito invece al momento del piano, si traduce in una attenta valutazione riguardante la reale necessità di trasformare irreversibilmente un determinato suolo.
In entrambi i casi, la trasformazione porta con sé una pur minima sottrazione di spazi e di risorse naturali che gravano sulla bilancia ambientale locale. Ecco che allora si può immaginare di introdurre una serie di contropartite, a carico del trasformatore (pubblico o privato che sia), capaci di fornire in altri lotti, ma in un intorno territoriale definito (tendenzialmente nello stesso comune) un credito ecologico.
Questo credito non fa altro che ‘ compensare’ quella sottrazione ambientale inevitabilmente tolta al territorio e al paesaggio che, pur con tutte le eco-soluzioni poste in essere in fase progettuale, rimane da ‘riparare’.
Sull'atto del 'riparare' e del 'compensare' non è inutile dirsi chiaramente che cosa è possibile fare con riferimento al comparto ambientale del suolo, in quanto è evidente che la perdita di 'spazio' e di organizzazione del territorio non è in se' compensabile. La pertinenza del concetto di compensazione ecologica diventa però tale se si definisce uno 'statuto dei suoli' facendo ricorso alle categorie 'funzionali', proprie della definizione della scienza del suolo [1] (il suolo come 'risorsa naturale limitata e insieme di funzioni connaturate alla vita terrestre'), e non più solo geometriche ('spazio territoriale'). Tale cambiamento di prospettiva, che impone una visione transdisciplinare, permette di chiarire che le 'funzioni' del suolo sono nella maggior parte dei casi effettivamente ripristinabili, entro ragionevoli limiti, con azioni compensative.
La presente proposta tiene conto di entrambe le connotazioni – spaziale e funzionale – del suolo e ne persegue la salvaguardia attiva attraverso una strategia 'win win' per disincentivare il consumo di suolo e di spazio, trasferendo risorse al potenziamento e al consolidamento delle funzioni dei suoli liberi.
Occorre pensare che questo processo ‘compensativo’ appena descritto è assimilabile, da un lato, a quella che fu l’introduzione degli oneri di urbanizzazione per la realizzazione di strade, servizi urbani, etc, dall’altro alla più recente pratica dei programmi integrati e del progetto urbano. Insomma se nel passato vi è stata necessità di iscrivere la richiesta di costruire ad una condizione di fornitura di capitali sociali in quanto infrastrutture e servizi erano (e sono) necessari per l’abitare, oggi (ma avrebbe dovuto esserlo anche ieri), periodo di evidente deficit ambientale ed ecologico e periodo di scarsa disponibilità di risorse territoriali come gli spazi aperti, è immaginabile di attribuire ad ogni trasformazione, quando ineludibile, una responsabilità ecologica che si traduca ad esempio in una sorta di onere ecologico attraverso il quale si possa generare nuova natura altrove rispetto alla trasformazione, concorrendo a generare una dotazione ecologica e ambientale necessaria per la qualità della vita insediata.
Si tratta di chiudere circuiti logici rimasti aperti. Si tratta di dare strada concreta ad una volontà, positiva e pertinente con le competenze dei soggetti della pianificazione, che è quella di costruire ambiente, di fare natura chiedendo al settore edilizio di farsene carico in quanto consumatore di suolo, ovvero la risorsa basilare per impostare un progetto ambientale territoriale.
Oggi molte delle iniziative di ‘greening’, di innalzamento della biodiversità, ma anche di miglioramento paesistico rimangono soffocate ad uno stadio di progetto se non di idea in quanto non hanno finanziamenti e luoghi dove concretizzarsi.
Ancor più occasionale nell’agenda è la considerazione del tema della trasformazione dei suoli senza limitazione o con obiettivi di limitazione relativi e quindi, di fatto inefficaci.
L’espansione pare un fatto non limitabile. Oggi, ancor più di ieri, l’espansione avviene a spese di aree che in non poche porzioni della regione lombarda e del territorio italiano sono le ultime aree disponibili, le ultime aree che potrebbero essere in grado di innalzare una naturalità minacciata o non considerata con sufficiente responsabilità. Da qui la necessità di immaginare un meccanismo capace di fornire aree per la natura nel momento in cui emerge una domanda di aree per trasformazione urbanistica. Condizionando l’essenza stessa del secondo alla possibilità del primo.
La proposta attuale è quindi quella di aprire una nuova strada che non vuole essere negativa verso ‘il trasformare’ invocando blocchi, divieti e vincoli. Vuole essere positiva, ovvero 1) indirizzare le trasformazioni a utilizzare aree già compromesse e 2) consentire di trasformare responsabilmente le aree (eventualmente anche quelle libere) accompagnandosi a un processo di pre-valutazione della reale necessità e della virtuosità ambientale della trasformazione e condizionando comunque questa a rilasciare un’area, altrove, da equipaggiare ecologicamente.
Ecco allora qui proposti una nuova serie di principi per tutelare il delicato equilibrio tra ciò che una trasformazione toglie alla natura e al paesaggio e ciò che una trasformazione può dare alla natura e al paesaggio, tenendo conto che, responsabilmente, un freno ai consumi di suolo occorre darselo per non compromettere le risorse residue a ancora a disposizione.
Ecco allora una proposta per spingere l’urbanizzazione verso l’uso di aree già compromesse e verso l’adozione di standard ecologici ed edilizi elevati e scoraggiare l’urbanizzazione delle aree libere.
Come risulta da quanto detto, la proposta non entra nel merito delle scelte di piano e neppure nel progetto (si chiede comunque una qualità elevata non solo di disegno, ma anche di prestazione ambientale), ma il suo contributo sta nell’ invocare un approccio positivo alla pianificazione. Non si vuole togliere la potestà decisionale al governo locale, ma la si vuole nobilitare con un approccio che punta alla reale sostenibilità e, quindi, alla generazione di risorse ecologiche ed ambientali.
In altri termini, presa in totale autonomia, la pratica della compensazione ecologica preventiva non garantisce da sola il buon governo del territorio. Sarebbe una pretesa e una ingenuità. E non è questo l’obiettivo (peraltro sarebbe il caso di dire che neppure la perequazione assicura un buon governo, sebbene su questa pratica…..).
La compensazione ecologica preventiva semplicemente crea ‘responsabilità’ innanzitutto attraverso un ribaltamento delle poste in gioco (prima la natura e l’ambiente e poi le trasformazioni), quindi utilizza qualche disincentivo (o incentivo a seconda dei punti di vista) e fornisce un utile strumento operativo, regolativo e di indirizzo valorizzabile senza particolari problemi e sofferenze da buoni piani, politiche e progetti che comunque rimangono i soli riferimenti concettuali e operativi che possono garantire un buon governo del territorio.
Un approccio capace di avvicinare, e magari chiudere, i circuiti aperti che ancora ci sono: urbanizzazione vs. rinaturazione, ad. esempio.
Evidentemente, però, il richiamo alla responsabilità deve essere rotondo e senza incertezze. Ecco allora farsi strada l’esigenza di anteporre all’inizio ciò che per decine di anni è stato in fondo al processo: la formazione di natura e la costruzione di ambiente devono essere fatti prima di avviare l’intervento trasformativo. Prima deve essere fornita l’area e resa disponibile al soggetto pubblico e poi si può iniziare l’opera. Prima si iniziano i lavori ecologici e poi quelli urbanizzativi. La rotondità della proposta, nonché la sua credibilità, hanno qui uno snodo fondamentale. Qui invertire l’ordine degli addendi produce un cambiamento di risultato. Sul tavolo rimangono ancora parecchie questioni tecniche, procedurali, di disegno e sostantive ancora da affrontare e, probabilmente, da declinare localmente e tematicamente. Ma ora occorre mettere il cuore della questione al centro del dibattito ed iniziare, responsabilmente, a studiare vie di impegno sociale e ambientale concrete e trasferibili alla nostra dimensione decisionale e politica. Un processo di questo tipo ha già convinto alcuni paesi europei (Germania in testa) che hanno, appunto, scelto di avviarsi verso una soluzione di simile positività per la pianificazione.
STATUTO DEI SUOLI
Principi fondativi
Art. 1 – il suolo è una risorsa strategica che va preservata
Il suolo libero costituisce una risorsa non rinnovabile per l’uomo, la società, la natura e l’ambiente: come pausa spazio di rallentamento e silenzio, come natura fruibile e abitabile, come spazio di complessità ecologica, come presupposto della produzione agricola e al relativo servizio ecologico. Il suolo va preservato e occupato con usi non reversibili solo se e quando necessario. Occorre ridurre i consumi della risorsa suolo. La necessità di ogni uso trasformativo del suolo (nuova occupazione o sostituzione di occupazione già esistente) deve essere oggetto di un iter di valutazione al fine di evitare la facile e non sostenibile sottrazione di spazio e funzioni alla natura e alle risorse ecologiche ed ambientali in generale e la perdita di risorse biologiche esistenti o che potenzialmente si insedierebbero.
Il consumo del suolo, in qualunque forma e copertura esso si presenti, o la sua alterazione da parte di un’attività antropica rappresenta dunque una forma di danno all’ambiente e all’ecosistema in quanto modifica l’assetto e le condizioni originarie dell’ambiente. L’entità del danno dipende da diversi fattori (che saranno oggetto di successiva specificazione e metodologia di valutazione) tra cui lo stato delle coperture attuali, la qualità dei suoli, la strategicità rispetto al disegno ecologico territoriale, etc. Tale danno ambientale non è mai totalmente eliminabile e va evitato, ridotto, mitigato e, in ogni caso, controbilanciato con un’opportuna compensazione ecologica (art. 4) al fine di riprodurre altrove le condizioni e le funzioni ecologiche perse o non sviluppate.
Art. 2 – Affermazione dei principi ‘no unless’ (nulla a meno che), ‘no net loss’ (nessuna perdita secca). La formazione della natura
Il suolo libero costituisce un bene comune e irrinunciabile per la comunità, pertanto l'interesse generale alla sua salvaguardia accompagna ed anticipa ogni motivazione particolare volta ad operarne la trasformazione.
I principi internazionali ‘no unless’ (nulla a meno che) e ‘no net loss’ (nessuna perdita secca, che potrebbe anche specializzarsi in ‘no net loss of ecological values’) integrano i principi di sostenibilità ai quali oggi si ispirano le diverse legislazioni in materia di governo del territorio e dell’ambiente. Inoltre non è pensabile un governo del territorio che si impegna solo a conservare la natura e le risorse naturali, ma occorre un impegno, concreto e fattibile, a formare nuova natura e nuove risorse.
Art. 3 – Il bilancio ecologico locale non va peggiorato
Ogni livello amministrativo (comune, provincia, comunità montana, parco, regione, etc.) che gestisce un territorio attraverso gli strumenti di governo previsti deve provvedere a stilare un proprio bilancio ecologico da cui emerge il grado di naturalità e lo stato delle risorse naturali caratterizzanti il territorio. Tale bilancio, locale, non può essere peggiorato neppure provvisoriamente. Ogni forma di trasformazione e uso del suolo non può generare alterazioni negative del bilancio ecologico locale. È a carico del soggetto pubblico titolare dello strumento di governo del territorio definire le modalità di regolazione e di gestione di tale bilancio ecologico.
Art. 4 – compensazione ecologica preventiva
Poiché ogni uso del suolo produce un, pur minimo, impatto ecologico ed ambientale mai completamente eliminabile, occorre che il titolare, pubblico o privato, di ogni trasformazione compensi gli impatti residuali generando nuovo valore ecologico e ambientale, ovvero, formi nuova natura [2]. La progettazione e la realizzazione degli interventi di compensazione ecologica devono essere concordati con il titolare degli strumenti di governo del territorio e asseverati da un garante terzo, esterno, competente in materia. La compensazione ecologica deve essere realizzata all’esterno delle aree trasformate, ma all’interno del comune. La compensazione ecologica comprende due contributi:
1. la cessione di aree (anche scollegate da quelle oggetto di intervento) e
2. il loro equipaggiamento naturale/ecologico.
L’ottenimento del titolo costruttivo (permesso di costruire o similari) è condizionato alla corresponsione di entrambi i contributi che non possono essere oggetto di monetizzazione. Le aree cedute a titolo compensativo vengono acquisite alla pubblica proprietà e sono vincolate alla non edificabilità.
Al fine di garantire di i) non peggiorare il bilancio ecologico locale e ii) realizzare effettivamente i contributi ecologici richiesti, le aree per la compensazione ecologica devono essere fornite e cedute al soggetto pubblico prima del rilascio del permesso di costruire e le opere di compensazione ecologica devono essere avviate prima delle opere di trasformazione e uso del suolo. In tal senso si parla di compensazione ecologica preventiva.
Cessione di aree e equipaggiamento ecologico a carico del titolare della trasformazione si configurano come onere ecologico all’urbanizzazione.
Art. 5 – Verifica preventiva della disponibilità di aree urbane già edificate e urbanizzate
Le nuove esigenze di edificazione dovranno dirigersi prioritariamente verso il riuso delle aree urbane (non agricole e non libere) non più utilizzate o sottoutilizzate. Prima di trasformare un’area libera (pubblica o privata; per usi pubblici o privati e/o per interesse pubblico) occorre verificare, a livello locale, che non vi siano aree urbanizzate abbandonate o non più utilizzate e che potrebbero essere trasformate al limite senza produrre un danno ambientale a differenza di quello producibile con la trasformazione di un’area libera. Pertanto nel caso in cui l’attività edilizia coinvolga aree già edificate ed urbanizzate e si realizzi secondo i criteri dell'art. 7, la compensazione ecologica preventiva non è dovuta.
Art. 6 – Depositi verdi
Al fine di garantire possibilità e condizioni eque al diritto di trasformare il territorio, i comuni e le altre amministrazioni competenti per territorio possono individuare delle aree pubbliche, a basso valore ecologico, che possono essere oggetto di miglioramento ambientale ed ecologico. Tali aree sono individuate dal soggetto pubblico in base ad un disegno ecologico [3] e alle esigenze di miglioramento paesistico-ambientale ed ecologico del territorio e vanno a costituire il cosiddetto ‘deposito verde locale’. Nel caso in cui il richiedente titolo costruttivo si trovi nella condizione (da accertare) di non avere aree da cedere, potrà allora figurativamente acquistare un’area del deposito verde versando il corrispettivo all’amministrazione pubblica locale e farsi carico delle opere di equipaggiamento/miglioramento ecologico in accordo con il soggetto pubblico locale. Il soggetto pubblico può, in mancanza di aree, stipulare con gli agricoltori degli accordi d’uso delle aree agricole al fine di aumentarne la dotazione ecologica permanente. Gli agricoltori riceveranno i contributi della compensazione ecologica preventiva che, in ogni caso, devono prevedere i corrispettivi per le voci 1) e 2) dell'art. 4.
Art. 7 - Insediamenti ed edilizia ecocompatibili
Quando ineludibili e dopo aver passato le fasi di valutazione opportune, le nuove urbanizzazioni e la nuova edilizia dovranno comunque rispondere a criteri di ecocompatibilità, di basso impatto ambientale e di uso parsimonioso delle risorse energetiche e idriche. La prestazione ambientale dei nuovi insediamenti e delle nuove attività edilizie potranno essere assimilate a forme di mitigazione ambientale generando così una diminuzione del danno ambientale da riparare con la compensazione. Non escludendosi comunque anche in tale attività edilizia una trasformazione di suolo libero, una quota di compensazione ecologica rimarrà sempre non eliminabile.
Art. 8 – Registro dei suoli
È istituito il registro dei suoli presso ogni comune. Il registro dei suoli fornisce informazioni costantemente aggiornate sull’uso del suolo e sulle superfici urbanizzate, utilizzando una procedura valutativa da definire, trasferisce le informazioni agli altri livelli amministrativi.
Nota: di seguito scaricabili i pdf dei due interventi riportati, e il volantino del convegno con tutto l'elenco degli interventi (f.b.)
[1] Occorre rilevare che nel nostro ordinamento non esiste uno 'statuto' dei suoli, i suoli non sono considerati risorsa naturale limitata e come tale sottoposti ad una disciplina che ne preveda la conservazione. Esistono normative settoriali (tutela dei suoli per la prevenzione del dissesto, ovvero in quanto connaturati alla definizione di paesaggio o di aree protette, ecc.), non una disciplina che valorizzi il suolo in quanto suolo. Opportuno è a questo punto introdurre una definizione di suolo, sapendo che ne esistono diverse declinazioni disciplinari. La scienza del suolo ne parla come: “il prodotto della trasformazione di sostanze minerali e organiche, operata da fattori ambientali attivi per un lungo periodo di tempo sulla superficie della Terra, caratterizzato da specifica organizzazione e morfologia, capace di provvedere allo sviluppo delle piante superiori e, pertanto, di assicurare la vita all'uomo e agli animali”
[2] In ciò la compensazione ecologica preventiva si ispira anche al principio di riparazione compensativa già citato nella DIR 2004/35/CE
[3] Tale disegno dovrebbe essere a sua volta di un progetto ecologico locale o di un piano ecologico-paesistico comunale che a sua volta tiene conto delle indicazioni ecologiche e paesistiche previste nel livello di pianificazione provinciale.