«Il Progetto Rebeldìa ha presentato alcuni emendamenti imprescindibili al Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani di Pisa». perUnaltracittà online, 13 giugno 2017 (c.m.c.)
Dopo il rifiuto da parte della prima commissione consiliare di ascoltare le associazioni del territorio, il Progetto Rebeldìa ha presentato alcuni emendamenti imprescindibili al “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani di Pisa”. Nonostante le nostre proposte siano il frutto di riflessioni ed esperienze accumulate negli ultimi anni insieme ad altre realtà cittadine, non possiamo nascondere che il tempo definito per la proposta di modifiche è stato poco e di facciata.
Il testo approvato in giunta è lacunoso, come fin dalla sua pubblicazione abbiamo provveduto a far notare, cercando invano un’interlocuzione. Abbiamo dunque elaborato alcune proposte di modifica illustrate e accompagnate da una relazione che ne motivi le ragioni. L’intervento massiccio e sostanziale si è reso necessario per l’evidente inadeguatezza di un regolamento che sulla carta dovrebbe ispirare un percorso per la gestione condivisa dei beni comuni, ma che nella sostanza invece è ben accorto a ledere il meno possibile lo status quo, nell’ottica di fornire a chi detiene il potere uno strumento ben ‘temperato’ per tessere e rinforzare nuove e vecchie clientele.
Basti scorrere le lacune per le quali gli emendamenti proposti rappresentano appena un lenitivo per cogliere appieno la sostanza difettevole del Regolamento:
La tutela delle generazioni future, obiettivo fondante di qualsiasi cura dei beni comuni risulta completamente assente e va ricompresa e valorizzata in maniera esplicita; antirazzismo, antisessismo e antifascismo dovrebbero essere alla base delle relazioni di condivisione, ma sono totalmente dimenticati;nessuna attenzione all’autogestione dei Beni comuni, con una evidente svalutazione del meccanismo assembleare e delle forme di consenso democratico che virtuosamente superano i meccanicismi del voto nella gestione di un patrimonio fondamentale come i Beni comuni.
Nessuna valorizzazione sostanziale della soggettività autonoma, individuale e collettiva delle persone, ridotte nel regolamento alla categoria di “cittadini”, da tempo svuotata da una sua valenza attiva e pervasa da un’ambiguità che poco giova a un discorso che voglia essere veramente inclusivo; nessuna valorizzazione dei temi della condivisione e della fiducia reciproca tra individui, a vantaggio di una generica collaborazione di cui i contorni rimangono grigi;
Oltre alle evidenti lacune concettuali, vi sono anche le contorsioni procedurali, come quelle che attribuiscono un potere sbilanciato alla Giunta e non al Comune (inteso come l’insieme degli apparati che lo compongono) nelle gestione dei Beni Comuni. Il Progetto Rebeldia ha avanzato anche emendamenti che ripensino e riformulino l’iter procedurale affinché:
sia evidente la centralità della riflessione politica in consiglio Comunale, prima del vaglio tecnico e delle delibere di giunta;
sia esplicita la certezza dei tempi, che faccia da deterrente alle deviazioni della burocrazia comunale.
Sia ridimensionato il ruolo oggi centrale dei CPT, organi di nomina politica, che per questa loro genesi non inglobano la fondamentale componente studentesca e migrante e non possono avere poteri di censura.
sia istituito un fondo di bilancio apposito per supportare e finanziare le attività di cura e di rigenerazione dei beni comuni.
In ultimo gli emendamenti del Progetto Rebeldìa sono stati attenti a superare un manchevole coraggio amministrativo, innanzitutto con la proposta di introdurre esplicitamente tra i beni che possono essere oggetto di patti di condivisione anche i beni in alienazione. Allo stesso tempo è necessario rompere il tabù della proprietà privata, che pesa come un macigno in un percorso di condizione che sia sostanziale e non di facciata. Se oggi si arriva a trattare il tema dei beni comuni è anche grazie alle molteplici esperienze già esistenti a Pisa nel tessuto sociale. Siamo fortemente preoccupati che un regolamento così ordito non ne tenga esplicitamente di conto, e che sia solo un atto preliminare a un’eliminazione di queste dal panorama cittadino.