l'Avvenire, 9 giugno 2017
.Grazie a un parere dell’avvocato generale della Corte Ue inizia finalmente a vacillare il "sistema Dublino", cardine della Fortezza Europa. E, a conti fatti, uno dei maggiori impedimenti a una più equa gestione sul territorio Ue del problema dei migranti. Il principio impone ai profughi di presentare domanda di asilo nel primo Stato Ue in cui hanno posto piede. Altrimenti vi ci vengono rispediti. "Dublinanti" è diventato così il brutto sinonimo, quasi dispregiativo, usato dalla burocrazia per indicare chi è stato respinto nel Paese di primo arrivo. Da ieri si riconosce che in caso di crisi potrebbe non valere più.
In questa lunga crisi migratoria, a conti fatti, la norma è stata un peso per la Ue. Oltre agli enormi costi umani, ha infatti ulteriormente appesantito la situazione degli Stati in prima linea come il nostro Paese, la Grecia e la Spagna. L’Italia in particolare si è trovata a pattugliare, dopo il 3 ottobre 2013, un tratto di Mediterraneo smisurato con la propria Guardia Costiera per salvare vite umane stipate da bande di trafficanti senza scrupoli su barche sempre più fragili e contemporaneamente, grazie al "Dublino" a mettere in piedi un sistema di accoglienza complesso e oneroso perché obbligata ad assistere coloro che aveva salvato. Anche la xenofobia ricomparsa sul web e nelle strade deve molto al caos creato dalle norme dei regolamenti Dublino. Caos cui si è sommata l’indifferenza dei membri transalpini della Ue verso il flusso in arrivo prima dal Medio oriente e poi dall’Africa che ha portato Roma – come anche la Grecia – a rinunciare a prendere le impronte alle persone salvate che si sono dirette verso nord per ricongiungersi ai familiari laddove welfare e mercato del lavoro offrivano maggiori possibilità di integrazione.
Dopo un lungo braccio di ferro l’Ue ha raggiunto nel 2015 un fragile e discutibile compromesso, lasciando alla Turchia il compito di bloccare la rotta balcanica per tre miliardi di euro mentre il sistema di ricollocamento interno per quote di profughi eritrei e siriani avrebbe dovuto alleggerire la pressione sugli Stati mediterranei. Ma l’accordo è congelato per l’avversione dell’Europa orientale.
Ieri l’Avvocato generale della Corte Ue ha dato ragione alla Ue mediterranea. Non si può applicare la normativa di Dublino in casi di emergenza, ha stabilito. Cosa cambia? Il diritto di rispedire i migranti nei Paesi di primo ingresso potrebbe essere di fatto sospeso. In concreto, guardando ai nostri confini, potrebbe ad esempio finire il blocco dei gendarmi francesi a Ventimiglia e cessare il rimpatrio dei minori africani da parte delle guardie di frontiera austriache. Per l’Avvocato generale il fatto che in un momento di forte pressione migratoria uno Stato membro organizzi o faciliti il transito dei migranti verso altri Paesi europei non è contestato. Vedremo a breve se a questo parere su casi concreti di richiedenti asilo farà seguito una sentenza della Corte di Giustizia del Lussemburgo. In genere il parere viene accolto.
Comunque il banco potrebbe saltare. È la prima volta che alla voce critica delle Ong e delle organizzazioni umanitarie contro le norme "dublinanti" si affianca un parere legale che sostituisce il buon senso alla rigidità di un regolamento insostenibile. Ora è il turno di una soluzione politica che sancisca il definitivo superamento del "muro di Dublino". Abbia il coraggio di riformarlo con un meccanismo di suddivisione responsabile e solidale dei rifugiati e dei richiedenti asilo in base alla popolazione, senza eccezione, includendo tutti e 27 i membri. Non è certo a colpi di sentenze che la Ue può uscire dalla profondità di questa crisi migratoria che contribuisce a metterne a repentaglio l’unità.
Nonostante le difficoltà, non ci sono alternative a una politica europea unitaria, ricca di lungimiranza e di umanità, per provare ad affrontare questi scenari complessi. E non ci si illuda che bastino pareri e future sentenze come grimaldello per scardinare l’ideologia neonazionalista della Fortezza Europa, trasformandola in una casa dalla cui porta entra chi ha diritto. Solo un’Unione più coesa nell’accoglienza responsabile può trovare lo slancio unitario per vincere la sfida e riuscire a governare con una logica nuova – quella della cooperazione con l’Africa – flussi che altrimenti rischiano di non fermarsi.