L'obiettivo è dichiarato: «Le energie liberate dal referendum debbano essere la base su cui costruire in Italia quel terzo spazio che in altri Paesi sta già nascendo: dal popolo di Sanders negli Stati Uniti, a Podemos e i movimenti municipalisti in Spagna fino alle donne che riprendono le piazze in Polonia». Tradotto: gettare le basi per un movimento di protesta (e insieme di sinistra, a livello di contenuti) anche in Italia. Che però ambisca a "fare egemonia", cioè puntare ad un ruolo di governo ma non a traino del centrosinistra. Ma c'è uno spazio politico, nel nostro Paese, già diviso in tre grandi aree (centrodestra, Pd e Cinque Stelle)? Secondo i promotori sì: «L'affluenza molto alta del 4 dicembre ha infatti portato alle urne – e a votare No - una fetta di cittadinanza che non si identifica in nessuna proposta politica esistente. Radicalmente arrabbiata con le politiche sociali ed economiche, con il Jobs Act, con i voucher, con l'assenza di reddito e di prospettive per gli under 35, per gli intermittenti, per le piccole partite Iva. Eppure tendenzialmente astensionista».
Recuperare quindi gli astensionisti e i delusi dalla politica con una proposta radicale. Di sinistra nei fatti, ma senza nominarla. Nell'appello ("Il tempo del coraggio") infatti la parola non viene mai nominata. Nella convinzione che sia ormai un campo inflazionato e presidiato dal Pd. La stessa strategia degli spagnoli di Podemos, il braccio politico erede degli Indignados che hanno sempre rifiutato l'etichetta classica di movimento di sinistra, nonostante la successiva alleanza con i comunisti di Izquierda Unida. Il referente italiano, Lorenzo Marsili, spiega che «bisogna avere il coraggio delle proprie idee e tornare a pronunciare parole nette. Che se i LePen dicono muri noi dobbiamo dire giù le frontiere. Che se i Trump dicono Goldman Sachs noi dobbiamo dire redistribuzione della ricchezza. Che rincorrere la destra fa solo inciampare».
Chi potrebbero essere i compagni di strada del gruppo Diem25? I rapporti sono buoni con pezzi di Sinistra Italiana (la ormai ex Sel che proprio oggi si scioglie), la quale però è divisa tra due aree: una che guarda al Pd e un'altra che invece, come spiegato nell'appello di Varoufakis e co., ritiene l'esperienza di centrosinistra conclusa. Come Nichi Vendola che, non a caso, davanti ai suoi riuniti a Roma, ha sottolineato che «se il compito della sinistra è quello di fare l'ammorbidente nella lavatrice del liberismo, oggi si vede bene che la parola sinistra non ha più ragion d'essere«. Il futuro quindi è "rimettere al centro la parola 'alternativa', come forza che si pone il compito di governare il Paese».
Il punto è che la parola "sinistra" oggi non va più bene, perché rinvia alla situazione di secoli ormai tramontati. Allora, nell'era delle vecchie forme del capitalismo, lo sfruttamento era interno al mondo della produzione: sfruttati erano gli operai in fabbrica e i contadini nei campi. Oggi, nella nuova forma del capitalismo, l'area dello sfruttamento è enormemente estesa, e opera in tutte le dimensioni della vita delle persone e su tutte le sfere della loro attività, e lo stesso significato della "lotta di classe" è mutato. Infine, la minaccia non è solo rivolta agli sfruttati, ma anche la materialità del pianeta che abitano è a rischio. Se la missione di una "nuova sinistra" è ancora la difesa degli sfruttati, l'avversario è lo stesso - il sistema capitalistico - la base sociale di riferimento è radicalmente diversa, e così le formule organizzative, le strategie e le tattiche. (e.s.)