Ancora in ballo un disegno di legge più dannoso che utile per la riduzione del consumo di suolo e devastante per le aree gia edificate in attesa di "rigenerazione". Eppure soluzioni efficaci sono a portata di mano, se ci fossero lucidità culturale e volontà politica.
Nel maggio scorso la Camera dei deputati ha approvato e trasmesso al Senato il famigerato disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato ben noto ai lettori di eddyburg [vedi i riferimenti in calce]. La prima considerazione riguarda i dubbi circa la sua definitiva approvazione. L’avvicinarsi delle elezioni politiche (che devono svolgersi entro il 2018) e l’inevitabile impasse che sarà comunque determinata dall’esito del referendum sulla sopravvivenza del Senato (in ogni caso fino alle prossime elezioni le leggi saranno approvate in regime bicamerale), inducono a sperare che il disegno di legge finisca su un binario morto. E perciò, secondo me, dovremmo da subito mettere in campo altre ipotesi.
In sostanza, lo Stato propone ma a decidere sono Regioni e Comuni, e quindi la legge non sarà mai attuata proprio dove più necessaria e urgente. È vero che la norma transitoria blocca il consumo del suolo per tre anni dall’approvazione della legge, ma sono fatti salvi opere, interventi, procedimenti e varianti che coprono abbondantemente la moratoria. Né si dica dei poteri sostitutivi, pratiche che nelle materie di cui stiamo trattando non hanno mai funzionato.
Due articolo per devastare di più
Un’assoluta novità sono infine i compendi agricoli neorurali che consentono la trasformazione dell’edilizia rurale in attività amministrative, servizi ludico-ricreativi, turistico-ricettivi, medici, di cura, eccetera. Non male per una legge nata per “promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente”.
Mi permetto un’ultima osservazione sulla scrittura della proposta, pleonastica, fitta di definizioni accattivanti ma inutili, di precetti al tempo stesso ridondanti e inefficaci (le Regioni che “orientano” l’iniziativa dei comuni), di compiaciute complicazioni procedurali (art. 3).
Le alternative possibili
a un testo inemendabile
La strategia dello stop al consumo di suolo perseguita con legge può essere affiancata da un’intelligente azione di governo tramite il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio. A partire dall’art. 145 del Codice che affida al ministero per i Beni culturali il compito di individuare “le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio”. Linee che devono essere rispettate dallo Stato e dalle Regioni nella formazioni dei piani paesaggistici. Ma di queste linee non c’è traccia e l’approvazione dei piani paesaggistici è sempre ferma a Toscana e Puglia e alla parte costiera della Sardegna. Per il resto un vuoto desolante, mentre ministero e Regioni fanno a gara di disimpegno.
Ci fosse la volontà, non sarebbe difficile formulare indirizzi di tutela che obbligano i piani paesaggistici (e quindi i Comuni) a concentrare – anche in questo caso – le trasformazioni all’interno di un’insormontabile linea rossa che racchiude lo spazio edificato, distinto e separato da quello rurale e aperto. Se si affrontasse questo compito, con determinazione – insieme a un coraggioso impegno verso le Regioni –, per il ministero per i Beni culturali, squassato dalle cosiddette riforme, sarebbe, tra l’altro, una straordinaria occasione per recuperare credibilità e prestigio. Ma serve un’altra stagione politica.
Riferimenti
Per una valutazione complessiva della vicenda si vedano l'eddytoriale 148. e l'articolo Eddyburg e le norme sul cosumo di suolo. Analisi critiche puntuali del ddl sono contenute nell'articolo di De Lucia Il progetto di legge del governo non ferma il consumo del suolo, rilancia la speculazione e quelli di Cristina Gibelli,5 (Neologismi in libertà: «compendi neorurali periurbani) e di Ilaria Agostini del maggio 2015 (Due leggi per il suolo).