Il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2015
Vorreiconcentrarmi su due temi generalmente poco trattati (e poco trattati per motivimolto precisi): il peso della geopolitica e delle guerre nella cosiddetta questionemigranti, e l'uso distorto che viene fatto delle parole, quando parliamo delleodierne fughe di massa. Guerre e semantica del rifugiato sono in stretto rapportofra loro.
Ladistorsione della realtà comincia con la stessa parola “migranti”, quindi conil sintagma “questione migranti”. Non c'è praticamente governo né forzapolitica che usi il vocabolo appropriato – “rifugiati” o “persone in fuga”, checorrisponde alla stragrande maggioranza degli arrivi – se si esclude AngelaMerkel. Forse perché conosce bene la storia tedesca del secolo scorso, laCancelliera impiega il termine corretto: Flüchtlinge, rifugiati. Si continua aparlare di migranti, perché così facendo si finge di non dover cambiare nulla esi evita di dire da cosa le persone scappano.
L’ondata diarrivi continua a essere ascritta a una propensione migratoria classica e ilsuo straordinario incremento è visto come un'eccezione, un'emergenza: si trattadi fermare l'onda innalzando dighe e spostando i flussi dei fuggitivi verso ipaesi d'origine, quali essi siano (meglio parlare di flussi che di singolepersone, come quando in economia si parla di fasce o strati della popolazione:dietro flussi e fasce i singoli individui cessano di essere più visibili).Anche onda o invasione sono parole da piazzisti di menzogne: l'arrivo di tantiprofughi e migranti cambierà il volto dell'Europa, ma secondo fonti citate dalGuardian il numero di migranti e profughi arrivati in Europa nei primi mesi del2015 costituisce appena lo 0,027% della popolazione totale dell'Unione. Lamaggior parte dei profughi – l'86% – è accolta da paesi in via di sviluppo, secondol'Unhcr.
Dai diritti garantiti ai diritti in prestito
Nella miaattività di parlamentare europea, constato come nelle varie decisioni dellaCommissione e del Consiglio europeo – specie sui rimpatri – stiano svanendotutti gli accenni al rispetto delle Convenzioni internazionali sui rifugiati,al diritto del mare che prescrive la ricerca e il soccorso dei naufraghi, alnecessario rispetto dei diritti iscritti nella Convenzione europea dei dirittiumani e nella Carta europea dei diritti fondamentali. Si giunge perfino aqualcosa di assolutamente inedito nel diritto interna
zionale:diritti incondizionati, che spettano alla persona umana quale che sia ilcontesto in cui essa vive – diritti inviolabili che la nostra Costituzione adesempio non concede ma “riconosce e garantisce” come preesistenti la stessaCarta – vengono d'un tratto concessi, e solo a determinate condizioni, comefossero dati in prestito.
È quanto hafatto capire Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea: “Noregistration, no rights” – senza registrazione, niente diritti. In altreparole, esistono diritti (a non subire violenze nelle registrazioni e nelprelievo delle impronte digitali, al non refoulement, al rispetto stesso dellavita) che vengono accordati sub condicione anziché riconosciuti e garantitisenza riserve. Tutto deve restare com'era ai tempi in cui le migrazioni eranoessenzialmente economiche, e la figura del profugo non era ancora preminente oera ben inserita negli schemi della guerra fredda. Le menti si paralizzano, ilperché del fenomeno non viene cercato deliberatamente, perché appena lo cerchie lo trovi è inevitabile che le nostre responsabilità vengano alla luce.
Troppo comodo chiamare tutti trafficanti
La stessaConvenzione Onu di Ginevra sullo statuto dei rifugiati impiega un linguaggioche andrebbe riformulato, ma ampliarlo significherebbe ammettere due cose: chesiamo davanti a una nuova realtà rispetto al 1951, quando fu siglata, e che leparole del trattato non sono più sufficienti. La Convenzione fu scritta aitempi della guerra fredda, in ricordo dell'occupazione nazista d'Europa, quandoi fuggitivi da regimi dittatoriali venivano molto facilmente accolti dal mondoche vedeva se stesso come obbligatoriamente libero (basti evocare i boat peoplein fuga dalle guerre del Vietnam e del Laos negli anni '70 e '80). È più chemai urgente rivedere la Convenzione, perché essa garantisce rifugio quandoesiste “il ben fondato timore di persecuzione a causa della propria razza,religione, nazionalità, partecipazione a determinati gruppi sociali o opinionipolitiche”. È ancora del tutto esclusa la fuga necessitata in misura crescentedal caos creato dalle guerre, dai disastrosi piani di riaggiustamento impostidal Fondo monetario ai Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, e inprospettiva dalle catastrofi climatiche che incombono.
Lestorpiature ricorrenti di altre parole sono diretta conseguenza di quest'originariadistorsione sulla figura del migrante-profugo. Si parla dalla scorsa primaveradi lotta allo smuggler, ovvero trafficante, perché ancora una volta ladistorsione semantica ha come scopo quello di occultare l'origine vera dellafuga verso l'Europa e l'occidente, e di giustificare la strategia di respingimentoalle frontiere, rinominata politica di rimpatrio perché il respingimento èproibito dalla legge internazionale e dalla Carta europea dei dirittifondamentali. Non è un caso se nella lingua francese la parola refoulement,respingimento, ha un significato anche in psicanalisi: significa rimozione.
Lo smugglerè parola acchiappatutto (in Miti d’oggi, Barthes usa l'espressione“parola-mana”) dietro cui si celano figure di vario tipo. Può essere ilprofittatore che estorce denaro con la forza e la frode: è il trafficante. Mapuò anche essere il facilitatore della fuga, che si fa pagare e agiscenell'illegalità, ma con il consenso del fuggiasco. Il trafficante non sta ingenere nei barconi, accumula guadagni ben lontano dalle rotte di fuga. Quel chelo caratterizza, secondo le definizioni dell'Onu, è la violenza esercitatasulla persona, che contro la sua volontà diventa oggetto di traffico o ditratta. Anche lo smuggler-aiutante agisce illegalmente ma il suo ruolo è spessoquello di organizzatore delle fughe. La distinzione era chiara durante ilnazi-fascismo o nei paesi comunisti (soprattutto in Germania Est). NellaGermania nazista e poi in quella comunista i facilitatori venivano chiamati,dai paesi che si predisponevano all'accoglienza dei profughi , “ aiutanti nellafuga”, Fluchthelfer (in francese: passeur). Era il regime comunista tedesco adefinirli “trafficanti”, accusandoli di commettere reato.
Le domande giuste e la responsabilità
La maledizionedi oggi è che tutti vengono criminalizzati allo stesso modo perché il mondo cuisi tende è una sorta di globale amministrazione unica, che ideologicamenteesclude “fuoriuscite” e di conseguenza spazi di accoglienza. La guerra allosmuggler è presentata come
soluzioneprincipale per fermare gli esodi verso l'Europa e l'Occidente, fingendo diignorare che la figura del trafficante appare e si impone quando c'è un vuotodi legalità nelle possibilità di fuga. Non sono gli smuggler che incitano conla forza le persone a mettersi in cammino e scappare. Solo col loro aiuto èpossibile per il fuggiasco arrivare in Europa e chiedervi asilo – imboccandostrade impervie e spesso con documenti necessariamente falsi. Se non trova losmuggler, non resta lì dov'è. Trova il modo di procurarsi il primo mezzo dilocomozione disponibile: meno costoso, e ancora più insicuro dei già infidimezzi precedenti. Chi si rifiuta di aprire vie legali di fuga da guerre,dittature o disastri climatici, concentrandosi invece sulla guerraindiscriminata allo smuggler, contribuisce alla morte di persone umane e neporta la colpa.
Solo con leparole giuste possiamo capire il significato della presente fuga in massa dipopoli. Fuga da che? Da chi? Solo rispondendo a queste domande siamo in gradodi individuare quello che conta: le responsabilità primarie dell'esodo cuistiamo assistendo. Quelle responsabilità sono essenzialmente europee estatunitensi: alludo in particolare alla politica euro-americana inAfghanistan, Iraq, Libia, Siria, e prima ancora in ex Jugoslavia. Ponendo laquestione essenziale – fuga da che? entriamo nella seconda parte del miodiscorso: la parte geopolitica. La geopolitica delle guerre e delle dittature, eanche la geopolitica interna all'Unione europea.