«Una critica radicale al produttivismo e al consumismo che va alla radice del problema ambientale, un problema cche non si risolve nell'opposizione tra sopravvivenza della Natura e declino della civiltà». Ciò che ci sembra si stia comprendendo oggi, ieri era già stato scritto.
Leggere Ecologia e libertà (di Andrè Gorz può stupire. Sì, perché è difficile sospettare che un libro scritto da un utopista francese, comunista eterodosso, quarant'anni fa, sia in grado di regalarci delle riflessioni così profonde sul nostro futuro.
Certo, nell'introduzione a firma del curatore – Emanuele Leonardi, ricercatore dell'Università di Coimbra – viene sottolineato come il libro appaia datato su certe “previsioni” e prospettive. Gorz scrisse il libro nel 1977, nell'Europa divisa dalla cortina di ferro, ed il mondo era profondamente diverso da quello in cui viviamo oggi. È scontato che il testo in alcuni passaggi risenta profondamente dell'epoca in cui fu scritto.
Meno scontato è che il libro nei suoi cardini fondamentali sia ancora in grado di affrontare il nostro futuro, di suggerire risposte e avvertirci di rischi che sono d'attualità. Le città dove “l'intasamento dei trasporti [...] fa di 'tutti' quella pura quantità di umanità anonima che si oppone, per la sua stessa densità, all'avanzamento e al comfort di ciascuno” (p. 74), sono le stesse che viviamo oggi, caratterizzate da quell'isolamento rancoroso che porta ai ghetti e alle gated communities.
Del resto l'attualità del ragionamento di Gorz si può misurare anche nella capacità di cogliere la questione ambientale come nucleo centrale di una politica autenticamente di sinistra, come di nuovo suggerisce Leonardi.
L'ecologia, in sé e per sé, non è in grado di dare risposte definitive. La soluzione ai problemi di sostenibilità ambientale non è per forza emancipativa: il rischio è quello di un ecofascismo, di una soluzione autoritaria ai problemi ambientali – centralizzata e in sostanza incapace di superare il problema che si propone di affrontare. L'ecologia politica di Gorz non ha nulla dei tecnicismi apparentemente neutri della green economy e dello sviluppo sostenibile. Al contrario, è un anticapitalismo che contesta il produttivismo alla radice, travolgendo nella critica anche la razionalità industriale real-socialista dei capitalismi di Stato sovietici. Nemmeno il welfare state keyenesiano viene risparmiato, laddove “servizi mercificati [...] svolgono funzioni un tempo appannaggio della zia, dei nonni o dei vicini” (p. 74).
Sono considerazioni importanti, soprattutto dal punto di vista odierno, dove il tempo del lavoro e quello del consumo comprimono le nostre vite fino a reificare anche le relazioni di prossimità, i legami famigliari. E Gorz non è certo un conservatore nostalgico, non fa un peana della civiltà rurale tradizionale, ben conscio che anche questa lode è funzionale al mantenimento dello status quo.
Ecologia e libertà stupisce proprio perché propone una critica radicale al produttivismo e al consumismo e va alla radice del problema ambientale, un problema complesso che non si risolve nell'opposizione tra sopravvivenza della Natura e declino della civiltà. Al contrario, Gorz pone il tema ambientale nella trama dei conflitti sociali, come contraddizione centrale nel nostro mondo. E cerca coraggiosamente la risposta nel domani e non nel passato.
Una boccata d'aria fresca rispetto ad un dibattito politico incentrato sulle sfumature della governance, dove al cittadino si sostituisce un cliente che ha diritto di scegliere l'offerta politica che più gradisce, quasi un tifoso a cui è concesso di gridare il proprio sdegno o la propria gioia, ma che non può in alcun modo discutere le regole.
Gorz è estraneo a questa nuova visione della politica e della società e nel suo libro si pone esplicitamente il problema dell'alternativa al capitalismo consumista. E le risposte non sono i comodi modelli storici del movimento operaio, ma sono strade nuove e a tutt'oggi non battute. Produrre meno cose, di migliore qualità, con materiali rinnovabili e azzerando gli sprechi, in una prospettiva di controllo produttivo decentralizzato per permettere un controllo diretto delle piccole comunità. Insomma elementi di dibattito attuale sulla crisi ecologica che comincia a manifestarsi con coloriture sempre più drammatiche.
Il libro è chiaro, conciso, parla un linguaggio lineare, vuole far arrivare il messaggio non solo agli specialisti della materia, ma anche a quei cittadini che dovranno ben guardarsi dallo spettro del tecnofascismo, ossia la decrescita produttiva e di consumi senza che sia messa in discussione la struttura industriale e gestita da una élite di tecnocrati e burocrati che impongono scelte e decisioni, spesso gravide di conseguenze, ad una popolazione passiva. Un percorso che Gorz vedeva già intrapreso per metà mentre scriveva Ecologia e libertà. Quanta strada abbiamo percorso in questa direzione negli ultimi quarant'anni?
Le soluzioni proposte nel libro hanno un retrogusto ingenuo; forse, ancor più di fronte al cinismo rassegnato che imperversa oggi, fanno quasi sorridere. Eppure fanno riflettere sull'utopia speculare – (neo)liberale – che il libro contrasta fieramente, l'idea cioè di poter continuare a produrre, crescere, e “svilupparsi” all'infinito, senza porsi alcun problema e considerando normale e inevitabile la distruzione della vita in nome del profitto. Anzi, arrivando a considerare la natura, la vita, come un ostacolo.
E allora il monito di Gorz perde l'aura naive e diventa una chiamata alle armi: Convivialità o Tecnofascismo.