La sempiterna «questione periferie», mai seriamente affrontata con strumenti adeguati, produce reazioni spontanee di alcuni abitanti, che si prestano solo a tristi e inutili strumentalizzazioni. Today, blog Città Conquistatrice, 21 settembre 2015
Sarà la vaga eco della questione rifugiati vaganti per l'Eurasia, sarà l'avvicinarsi della prossima scadenza amministrativa in tante situazioni chiave per gli equilibri nazionali, ma pare si stiano moltiplicando le iniziative locali dei soliti mai placati «cittadini per l'ordine». Anche i più placidi e miti candidati e rappresentanti del popolo, più o meno tirati per la giacchetta da comitati o consulenti elettorali, non mancano di scimmiottare pateticamente qualche accenno di muso duro da Ispettore Callaghan, mettendo la solita «sicurezza percepita» in primo piano negli slogan programmatici e nelle dichiarazioni alla stampa. Forse però, la cosa da percepire prima della sicurezza percepita sarebbe la realtà, dai dati statistici sui reati (la quantità, la qualità, la localizzazione) a ciò che davvero inquieta i cittadini dei quartieri nelle loro esperienze quotidiane di fruizione dello spazio urbano. E distinguere così con chiarezza quanto appartiene propriamente alla sfera poliziesco-giudiziaria, da quanto invece riguarda altri interventi, o informazione, o prevenzione o altro. La politica, la società nel suo insieme, gli organi di informazione, proprio quello dovrebbero fare, e invece si intorbidano le acque, a volte per pura trascuratezza.
Un caso recente, piccolo piccolo ma emblematico, è quello di un incidente stradale avvenuto a Milano alcune sere fa. Un'auto accelera al semaforo giallo, una bambina qualche passo più avanti della mamma che aveva già iniziato ad attraversare viene travolta, carambola sul cofano, la macchina sbanda ma sgommando si allontana nella notte. Per la cronaca siamo in piena sindrome da caccia al pirata, e gli articoli successivi si concentreranno sulla cittadinanza (straniera) di tutti i protagonisti, macchine intestate a prestanome, alloggi occupati abusivamente, analisi della polizia scientifica per inchiodare i responsabili. Il pubblico, così come guidato da questa narrazione, guarda orripilato il dito, sentendosi oppresso da incombente pericolo (tutti travolti da un'auto guidata da criminale venuto dallo spazio esterno), ma non vede la luna. Che in questo caso, tornando dalle vertigini iperboliche dei bassifondi urbani in superficie, sta semplicemente nell'idiozia di quel semaforo in cui è avvenuto il misfatto, che non è il primo, né il più grave, e non sarà neppure l'ultimo se continuiamo a guardare altrove, e ad agire solo altrove. Insomma oltre ai poliziotti agli investigatori e ai magistrati ci vorrebbero degli ottimi geometri per risistemare l'incrocio: poi, solo poi ed eventualmente, ragioniamo anche su immigrati, assegnazione di alloggi popolari, permessi di soggiorno. Perché quelle cose in sé con quell'incidente c'entrano poco.
E la stessa cosa poi si può dire con la gran massa delle cose sventolate da ronde e comitati di «cittadini per l'ordine» di solito messi in piedi da qualche politicante per raccogliere consensi di bassa lega, soffiando sul fuoco di paure ataviche vagamente suscitate dal nuovo, da ciò che non si conosce, dall'inusuale, o dal semplice disordine. Perché indubbiamente di disordine e confusione ce ne sono in abbondanza nelle nostre città: dal punto di vista delle forme di convivenza, dell'uso degli spazi collettivi e dei servizi, degli stili di vita e abitudini che confliggono. Ma resta da chiedersi perché mai ad esempio l'orribile degrado indotto dalla cosiddetta «movida» susciti reazioni del tutto diverse, da cose microscopiche come un paio di disgraziati senza casa che parcheggiano un camper nell'angolo del piazzale del mercato, magari stendendo i panni tra un albero e l'altro. Intendiamoci: in entrambi i casi il degrado, nel senso di sottrazione di spazio e tempo all'uso corrente della città da parte degli abitanti, esiste, è innegabile, ma perché i ragazzotti urlanti, i deejay fracassoni, gli ettolitri di birra e montagne di spazzatura non generano la «emergenza sicurezza» di qualche povero sfigato accampato in un angolo? Bisognerebbe chiederlo a quelli delle ronde a caccia di consensi elettorali, che di sicuro non ci risponderebbero se non urlando anche contro di noi. Perché davvero stavolta, per usare una frase fatta: «il problema è un altro». Sono loro, il problema.
p.s. Il consigliere comunale di Milano ed esperto di sicurezza urbana Gabriele Ghezzi, mi scrive rivendicando il copyright del titolo «Una Ronda non fa Primavera», nel suo programma elettorale di qualche anno fa, copyright che riconosco senza alcun problema, per carità. Sul sito La Città Conquistatrice numerosi articoli trattano criticamente il tema della Sicurezza Urbana