Relazione di Stefano Boato all’incontro "La presa di Venezia. Discussione sulla svendita del patrimonio immobiliare pubblico e sui modi per contrastarla". Venezia 12 maggio 2015
La vendita e la concessione d’uso ai privati dei beni pubblici in Italia e in Comune di Venezia è molto aumentata dal 2.000 ad oggi e sta avendo un’ulteriore accelerazione dalle recenti leggi sulle sdemanializzazioni e dagli atti amministrativi già avviati a realizzazione come si può rilevare dalla cartografia e dagli elenchi, pur ancora parziali e non completi, che presentiamo. Le problematiche e le polemiche che all’inizio sembravano riguardare solo casi sporadici e che ancor oggi restano confinate ad un ristretto ambito di “addetti ai lavori”, hanno quindi un urgente bisogno di allargare la consapevolezza, l’informazione, la discussione alla comunità. Solo una vera partecipazione dell’intera popolazione può mettere sotto controllo questo processo sempre più accentuato e grave, e i singoli atti non possono più essere affrontati solo con affrettate polemiche specifiche, difficilmente documentate all’ultimo momento. Innanzitutto, eliminata ogni vendita ai privati di beni pubblici, anche ogni ipotesi di concessione va subordinata alla verifica di non bisogno del bene per usi sociali di qualsiasi tipo.
Le stime del valore degli immobili degli ultimi anni sono sempre più inadeguate e totalmente sbilanciate a favore degli interessi privati; dalle stime dell’inizio anni 2.000 del parco pubblico di via Pio X° in pieno centro storico a Mestre ceduto ai privati e raso al suolo per far costruire un condominio, alle recenti stime relative al valore del Fondaco dei Tedeschi a Rialto o delle Procuratie Vecchie in piazza S.Marco a Venezia. Le stime non possono più essere delegate alle sole strutture interne del Comune o alla consulenza di studi professionali privati, occorre imporre sempre la verifica con stime di altre strutture pubbliche terze esterne, e nel margine di incertezza si devono imporre i maggiori valori nell’interesse pubblico.
Le aree e gli edifici dei servizi pubblici vigenti, faticosamente conquistati negli anni, devono essere mantenuti e non rimossi addirittura anche con l’avvallo degli uffici urbanistica che li giudicano superflui o superiori alle necessità (Fondaco dei Tedeschi, Giardino delle Vergini, Villa Heriot, Procuratie Vecchie a Venezia; aree centrali di Mestre e Marghera cedute o riallocate ai margini esterni della città).
Le norme edilizie ed urbanistiche vigenti devono essere rispettate, e non evase con deroghe avvallate dalle strutture tecniche comunali e con formali delibere politico-amministrative che dichiarano inesistenti e fantasiosi interessi pubblici non specificati e valutati in base a principi espliciti. Queste deroghe comunque non debbono più essere deliberate con Accordi di Programma tra il Sindaco o un suo delegato e altri rappresentanti pubblici e privati, obbligando così il Consiglio Comunale ad un avvallo a posteriori di fatto obbligato.
Le disinvolte delibere di cambio d’uso, passando di solito da funzioni residenziali o di servizio a funzioni terziarie o turistiche (sino ad oggi anche rimuovendo vigenti vincoli a standard di servizio pubblico) non vanno nell’interesse della vivibilità della città ma dei profitti e delle rendite dei privati e creano un valore aggiunto dell’immobile che almeno deve essere stimato e valutato in modo controllato e corrisposto in misura prevalente all’Amministrazione Pubblica (Beneficio Pubblico tendenzialmente pari al 66 %, mai comunque inferiore al 51%).
Le nuove funzioni private autorizzate non devono occupare i pochi spazi centrali a servizi rimasti disponibili in centro città (sia a Venezia che in terraferma). In ogni caso comunque gli standard di servizio vanno attuati integralmente rispettando le norme e cedendo integralmente le aree o gli spazi dovuti. A Venezia in particolare l’obbligo di legge deve comunque essere rispettato recuperando le aree o i volumi di servizio (vedi evasione dell’obbligo di legge per il Fondaco dei Tedeschi).
Le aree a verde pubblico vanno comunque mantenute, rispettate o attuate (e non devastate per l’obbligo privato di drenaggio delle acque nelle nuove edificazioni (obbligo per la cosiddetta “invarianza idraulica”). Si può invece cominciare a sperimentare la sostituzione degli standard a parcheggi con la realizzazione (a parità di valore) di infrastrutture per la mobilità pedonale (Plan Pieton) , piste ciclabili, trasporti pubblici.
Nel caso in cui si intenda dare in concessione per un certo numero di anni un bene, non già vincolato a servizio pubblico, la concessione deve avvenire sulla base di un bando e/o gara pubblica in coerenza ai piani, progetti e programmi vigenti o preliminarmente deliberati, precisando le condizioni d‘uso in modo rigoroso e controllabile; se non rispettata la concessione dev’essere automaticamente revocata; vedi le concessioni a di parti dell’Arsenale al Consorzio Venezia Nuova e alla Biennale anche recenti (prevenendo ed esautorando gli organi democratici di imminente elezione) di spazi ulteriori ai già moltissimi concessi (Sale d’Armi nord e sud) o vincolati a verde pubblico (Giardino delle Vergini).
Gli oneri di urbanizzazione, cioè le risorse per la realizzazione della qualità degli insediamenti urbani (prescritte fin dal 1977 dalla legge Bucalossi –Testo Unico per l’Edilizia n.10) non devono essere più dirottati per le spese ordinarie dei bilanci comunali (incentivando così anche le edificazionie le cementificazioni inutili); cominciò a consentirlo il governo Amato nel 2001 e ora i Commissari prefettizi di Venezia Zappalorto e Tatò propongono l’integrale deroga dalla destinazione di legge per la qualità urbana e il loro uso per spese ordinarie correnti.
Le strutture dell’amministrazione devono essere adeguate ai compiti per una efficace tutela e attuazione degli interessi pubblici e i piani e i progetti devono essere sottoposti ai pareri della Commissione di Salvaguardia in attuazione alle Leggi Speciali vigenti (il Comune di Venezia è l’unico dei nove comuni di gronda che non invia le documentazioni per i pareri di legge).
Per la vivibilità e la socialità della città, occorre che la comunità urbana si riappropri delle decisioni e del controllo sull’uso dei beni e degli spazi pubblici.