Il problema principale del Ministero consiste infatti proprio nella sempre più accentuata mancanza di risorse economiche, di personale, e soprattutto di elaborazione culturale: improbabile che qualsiasi provvedimento teso a ridurne, in qualche modo, i bilanci, possa generare effetti positivi, né tanto meno quel rilancio che lo stesso Ministro Franceschini aveva auspicato al suo esordio e che questo provvedimento è destinato a eludere in radice.
In compenso, in queste ultime settimane, lo stesso Mibact è stato investito - "a sua insaputa"? - da una vera e propria controriforma che ne stravolge sostanzialmente la stessa ragion d'essere e che rischia di innescare la dissoluzione del nostro sistema di tutela.
Il ddl Lupi e il cosiddetto 'sblocca-Italia' rappresentano infatti un attacco scomposto - anche per la rozzezza del dettato legislativo, specie per lo 'sblocca-Italia' - ma convergente, all'integrità del nostro territorio e quindi del nostro paesaggio e dei centri storici nel loro insieme.
Innumerevoli e palesi gli elementi di incostituzionalità che riguardano gli ambiti delle competenze istituzionali, del diritto alla casa e all'abitare, di tutela ambientale e della salute e, ripetutamente, della tutela del paesaggio e del patrimonio culturale, a partire dai centri storici.
Devoti al mantra della "semplificazione" e della lotta alla "burocrazia", le parole d'ordine che hanno accompagnato le peggiori deregulation dell'ultimo decennio, i due provvedimenti sono dunque permeati dalla medesima logica che si può sintetizzare nell'abolizione / riduzione generalizzata dei meccanismi di controllo, nel parossismo verticistico attraverso cui, con il pretesto della rapidità, ogni decisione converge su un decisore unico, si annullano le verifiche democratiche e i processi partecipativi, ci si fa beffe delle procedure di trasparenza amministrativa e contabile e, più in generale, si eliminano le pratiche di pianificazione di ogni tipo, a partire da quella territoriale, accantonata come un vecchio arnese troppo rigido e troppo lento.
Ispirate ad una ottusa necessità del 'fare', le opere di cui si vorrebbe favorire la realizzazione, immobili o infrastrutture che siano, mancano, ab origine, di un'adeguata progettualità che ne individui, prima di tutto, le caratteristiche di necessità e urgenza dal punto di vista economico, territoriale, ambientale, sociale e di quell'indispensabile valutazione costi-benefici senza la quale si rimane confinati nell'ambito dei progetti velleitari, inutili e, quasi sempre, economicamente disastrosi per le finanze pubbliche.
Per quanto riguarda poi l'ambito della tutela paesaggistica e dei centri storici nel caso del ddl Lupi, che ripropone con ben poche modifiche, il precedente provvedimento sul governo del territorio del 2005, duramente contrastato da eddyburg, si tratta sostanzialmente di una variante di quel "ciascuno padrone in casa propria" con il quale, in anni recenti si pretese di rilanciare il comparto dell'edilizia, con l'unico effetto di una serie di sfregi, più o meno gravi, ma diffusissimi, sul paesaggio, già provato da 3 condoni ravvicinati di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.
E in effetti, l' "urbanistica" nel testo governativo si appiattisce sull'edilizia, ignorando beatamente ogni finalità di qualità paesaggistica, urbana ed ambientale, con un arretramento di circa mezzo secolo che ci condanna ai margini della cultura urbanistica europea.
Con un rovesciamento di 180 gradi rispetto ai principi costituzionali, la stella polare del disegno di legge diviene la tutela della proprietà privata, a danno di tutto ciò che è spazio pubblico e patrimonio collettivo (a partire da quello culturale).
Più che un attacco alla politica di tutela dei centri storici, infine, il ddl ne rappresenta la completa negazione, a tal punto che nel testo, questi ultimi non compaiono neppure.
Quanto allo "sblocca-Italia", paragonabile, nella farraginosità, ai peggiori decreti omnibus di tremontiana memoria, in esso l'unico elemento di coerenza è rappresentato dalla costante rimozione di ogni verifica e controllo e, in particolare, di quelli esercitati, secondo Costituzione, dal Mibact: si giunge così ad introdurre, in modo generalizzato, il silenzio-assenso, ad annullare - de facto - l'archeologia preventiva (mai veramente decollata secondo i principi della Convenzione di Malta per incapacità dello stesso Mibact), a ridurre la funzione del Ministero a quella di osservatore, il più possibile silenzioso o comunque accomodante per dettato legislativo: nessun ostacolo deve essere posto a strutture quali inceneritori, impianti eolici, impianti di stoccaggio, metropolitane e in genere infrastrutture di ogni livello ed importanza.
Se così è, quindi, se cioè tale è l'ideologia che guida in particolare questi recenti provvedimenti legislativi, il primo e più acerrimo nemico dovrebbe esserne lo stesso Ministro Franceschini, il cui Dicastero viene ridotto, ex professo, alla totale subalternità rispetto ad esigenze economiche, per risolvere le quali si rispolverano le stesse arcaiche e disastrose ricette colpevoli della situazione di sfascio territoriale in cui ci troviamo.
Il sospetto è dunque che la cosiddetta riforma del Mibact, se letta in sinergia con questi provvedimenti devastanti, altro non sia che l'attestazione di una radicale trasformazione del ruolo del Ministero, d'ora in poi confinato ad occuparsi, con risorse peraltro declinanti e insufficienti, solo di musei e dei monumenti feticcio, dal Colosseo a Pompei, con esclusive finalità ludico-turistiche.
Dunque, mentre il Mibact viene lasciato a baloccarsi con gli estemporanei esperimenti di valorizzazione di qualche museo e monumento, paesaggio e centri storici sono sostanzialmente sottratti alla sua orbita di azione: operazione sancita, in perfetta complementarietà, proprio da 'sblocca-Italia' e ddl Lupi.
Per la verità si tratta di un processo iniziato ormai un lustro fa, quando, ad esempio, contemporaneamente a quello che doveva essere l'avvio della più radicale operazione di tutela del territorio, vale a dire la pianificazione paesaggistica ai sensi del Codice, il Ministero allora guidato da Bondi, decise, con formidabile tempismo, di abolire la Direzione Generale per il Paesaggio. Fu uno dei primi sintomi di quel progressivo allontanamento dalle attività di controllo del territorio che, fra tagli di risorse e slittamento inesorabile verso una realpolitik da parte della dirigenza ministeriale, si è via via accentuato fino ad appiattirsi su rinunciatari obiettivi di mitigazione del danno e su di un sostanziale cedimento a ragioni, o meglio interessi, "altri".
Nel frattempo, provvedimenti apparentemente di altro ambito (magistrali, in tal senso, i "mille proroghe"), hanno mano a mano ridotto le prerogative, gli spazi d'azione, le risorse degli organismi di tutela, provocando, de facto, un ribaltamento delle gerarchie costituzionali stabilite dall'articolo 9. Indimenticabile fu, in tal senso, l'affermazione, del ministro dei beni culturali - sempre Bondi - che, di fronte alle Commissioni parlamentari, per giustificare uno dei primi provvedimenti di semplificazione dell'autorizzazione paesaggistica, sostenne che le tutele allora in vigore sul territorio per merito della Galasso fossero "eccessive".
A rendere ancora più amaro questo passaggio è la consapevolezza che gli obiettivi cui mirano sblocca-Italia e ddl Lupi, oltre a scardinare il sistema di tutela, non sortiranno alcun effetto positivo di lungo termine in campo economico, sia perché improntati alla più preoccupante improvvisazione amministrativa e progettuale, sia perché procedono entrambi, come i ciechi di Bruegel, esattamente in direzione contraria a quello che dovrebbe essere l'unica indifferibile grande opera: la tutela integrale del paesaggio e la diffusa, continuativa manutenzione territoriale e riqualificazione dei nostri centri urbani, opera il cui ritardo è causa ormai quotidiana di danni economici e sociali, oltre che ambientali e culturali, gravissimi.
Per tacere di quei "danni collaterali" che sono le vite umane di cui ci raccontano le cronache, con desolante ripetitività: ieri dal Veneto, oggi dalla Puglia, domani, chissà.