Le ricerche archeologiche svolte in questi anni, anzi, hanno rivelato che, con forte probabilità, quest'area era anch'essa parte della stessa enorme proprietà confiscata da Commodo per impadronirsi di uno degli edifici più belli e grandiosi di Roma.
E intorno, per tre quarti del giro d'orizzonte, la campagna romana, intatta, come doveva essere quando i pretoriani dell'imperatore (sì, proprio quello del Gladiatore) la frequentavano per rilassarsi nelle terme ritrovate e restaurate a pochi passi dal casale di Santa Maria Nova.
Già questo sarebbe bastato per una festa in grande stile, ma in più, per celebrare questo momento, la Soprintendenza Archeologica ha organizzato una serie di concerti, accanto ai luoghi restituiti al pubblico godimento. Per ore, fino oltre la mezzanotte, una lunga fiumana di persone ha passeggiato lungo i sentieri che collegano le due tenute - Quintili e Santa Maria Nova, quasi 30 ettari complessivi, ora finalmente riunite - e ballato sulle note delle musiche popolari, visitando, in sovrappiù, il neonato "Giardino dei Patriarchi", con i cloni, messi a dimora all'ombra dei ruderi romani, dei grandi alberi monumentali provenienti da tutte le regioni italiane.
Sono serviti anni e sforzi di ogni tipo per raggiungere questo obiettivo, ma il risultato è commovente nella sua grandiosa bellezza, ancora più preziosa perchè destinata a tutti. E perchè si tratta solo di una tappa di un lungo, tenacissimo percorso che, negli anni, ha portato a conquistare, sulla regina viarum, passo a passo, metro a metro, monumenti e spazi pubblici, da Cecilia Metella a San Nicola a Capo di Bove, a intraprendere e coordinare dozzine di campagne di scavo, ad aprire antiquaria e luoghi di loisir, a restaurare il basolato e centinaia di reperti archeologici: tutto sotto l'etichetta della Soprintendenza Archeologica dello Stato.
Che, en passant, si è anche occupata del problema dei condoni edilizi (una piaga che amareggiò Antonio Cederna per decenni) e, in generale, dei mille problemi di tutela con pochi mezzi e pochissimo personale (bello tosto, però!).
La curiosità è che la Soprintendenza non è l'unico ente pubblico che opera su quest'area: dal 1989 esiste anche un Parco Regionale, per sublime stravaganza non archeologico.
Antonio Cederna che pure avrebbe voluto altro per la sua strada, divenutone primo Presidente, trascorse i suoi ultimi anni di vita nel disperato e vano tentativo, puntualmente illustrato nei suoi struggenti articoli, di trasformare il Parco in uno strumento di qualche efficacia e seppur debole operatività per la tutela dell'Appia. Alla fine, con onestà, ne denunciò, all’allora Ministro Veltroni, l’inadeguatezza.
Dopo di lui, il nulla: sancito anche per legge, quando, con l'avvento del Codice dei Beni Culturali nel 2008, gli strumenti regolatori del Parco, mai emanati, sono stati definitivamente superati dalla pianificazione paesaggistica.
Per una miracolosa congiuntura astrale, mentre il Parco entrava definitivamente in una spirale involutiva, lo stesso anno della scomparsa di Cederna, il 1996, l'Appia veniva affidata a Rita Paris, l'attuale responsabile della regina viarum per quanto riguarda la Soprintendenza Archeologica: a lei si deve, in estrema sintesi, se l'altra sera, a Santa Maria Nova, abbiamo potuto esclamare, con infinita soddisfazione: ecco, questo è lo Stato sull'Appia.
Dall'altro lato, il Parco non è mai riuscito a costruire, in 25 anni, una riconoscibile presenza operativa, e ancor meno una sana collaborazione istituzionale per migliorare il controllo del territorio e la repressione di abusi di ogni tipo. Così, mentre ad esempio il traffico, come sa ogni cittadino romano, è aumentato sempre più con grave danno dei monumenti e della vivibilità, gli obiettivi del Parco si sono concentrati (ed esauriti) nello studio del trifoglio cornuto e in qualche scampagnata assistita o poco più.
Nonostante ciò, l'Appia, da più di 15 anni a questa parte, è diventata un luogo di eccellenza, caratterizzato nel tempo da una faticosissima, ma continua espansione di spazi pubblici della qualità più alta, quella che possiede il nostro patrimonio culturale e paesaggistico.
In totale controtendenza con quanto accade per lo più nel resto del paese.
Merito di passione e competenze, certo, ma anche e soprattutto di una capacità progettuale di primissimo piano, quella della Soprintendenza, ispirata ad una visione di ampio respiro e in grado di pianificazioni complesse, basate su di un uso molto più che intelligente delle pochissime risorse disponibili: insomma, con i fichi secchi, qui sull'Appia sono riusciti a fare il banchetto di Sardanapalo.
Ovviamente, dopo simili successi, gli autori sono stati premiati, portati ad esempio e dotati di maggiori risorse e ...
No, purtroppo questo non è il finale di questa storia, almeno non ancora.
Al contrario, è accaduto che la Società Autostrade, universalmente nota, come ognun sa, per le molteplici attività di tutela e valorizzazione del paesaggio, abbia presentato, negli scorsi mesi, un progetto per la 'valorizzazione' dell'Appia, mirato sostanzialmente alla regolamentazione del traffico su gomma (ma va'?), progetto denominato, con sfoggio di fantasia piuttosto modesto, 'Grand Tour' e che vorrebbe gestire tramite un'apposita cabina di regia e a fronte di non ben precisate e neanche approssimativamente quantificate elargizioni.
Nonostante la vaghezza di una simile proposta, immediata è stata l'adesione del Parco che si è affrettato a sostenere il progetto (?) difendendolo contro le critiche di un nutrito gruppo di Associazioni (dalla Bianchi Bandinelli a Italia Nostra Roma, da Salviamo il Paesaggio alla Rete dei Comitati per la difesa del territorio, dal Comitato della Bellezza ad eddyburg).
Nella foga di questa difesa, il Parco ha perfino rassicurato tutti noi - beata innocenza! - sul fatto che Autostrade garantisce di non costruire nuovi volumi sulla regina viarum: rassicurazione che per un'area ad inedificabilità assoluta fin dal 1965 non appare propriamente come una conquista di straordinario spessore.
Riassumendo: c'è un posto, in questo disgraziato paese, dove le cose funzionano, udite, udite, per merito dello Stato, addirittura del Mibact. Vogliamo, signor Ministro Franceschini, usare questo esempio come modello di gestione pubblica? E allo stesso tempo, interpretando finalmente un ruolo di governo degno di questo nome, indirizzare il privato (che, in questo caso, ha le idee un po' confuse) e guidarlo verso un corretto rapporto di sponsorizzazione? In tutti i paesi civili ciò significa esclusivamente, semplicemente, la disponibilità di un privato - regolata dall'autorità pubblica - ad un'elargizione finalizzata alla tutela o fruizione del patrimonio a fronte di un vantaggio fiscale, cui magari aggiungere l'imperitura riconoscenza dei cittadini di oggi e di domani (targa in marmo pario compresa).Così è successo, a pochi metri di distanza dall'Appia, per il restauro della piramide Cestia, finanziato dal giapponese Yuzo Yagi e, pensate un po', senza neanche il ritorno fiscale.
A proposito, signor Ministro, chi ha gestito questa operazione ce l'ha in casa, è la stessa responsabile dell'Appia antica, pensi che fortuna!
L'articolo è inviato contemporaneamente anche a l'Unità on-line, nel blog "nessundorma"