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Cesco Chinello
Un commento al film di Manuela Pellarin
14 Maggio 2004
Manuela Pellarin, Ultimi fuochi
Lo storico di Porto Marghera (e dirigente del movimento operaio veneziano dagli anni della Resistenza) commenta, con grande sintesi e chiarezza, il film di Pellarin. Il testo è desunto dalla scaletta di un suo intervento del 22 aprile 2004, il cui originale è riportato in calce in formato .pdf

Si è accusato il film di Manuela Pellarin di essere un film “ideologico”.

In effetti oggi si pratica il rovesciamento del significato delle parole:

- si parla di guerra “umanitaria”

- si definisce la resistenza “terrorismo”

- si definiscono “riforme” le controriforme: così a proposito di pensioni (pagare meno, pagare più tardi), di sanità, di mercato del lavoro

A proposito di Porto Marghera, ho letto perfino che «il raddoppio della produzione di cloruro di vinile monomero migliora l’ambiente”

Tutto quello che è contro la cultura dominante è definito “ideologico”

Nel film è vero contrario. Il film racconta la realtà per immagini e per testimonianze, tanto che non c’è nessun commento

Sono testimonianze che dicono di una vita e di una fabbrica:

- il sacco sulla sedia, per individuare i più forti e massacrarli nei lavori più pesanti

- i “monatti” della S. Marco, rivestiti di stracci per ripararsi alla bell’e meglio dall’infernale calore dei forni

- il racconto della sparatoria alla Breda, con i segni nelle carni dell’operaio

- come si entrava alla Breda, su segnalazione del parroco o della scuola privata

- il paternalismo Montevecchio (e i nomi che ritornano: la Montesanto è quella degli OGM di oggi)

- le ferie e le carenza per le malattie (i primi tre giorni non riconosciuti)

- l’indennità di nocività (soldi contro la perdita della salute e l’accorciamento della vita)

- il Cvm e le poesie di Brugnaro

- la lotta per egualitarismo al Petrolchimico (una parte del premio di produzione uguale per tutti)

- gli extracomunitari delle imprese Fincantieri (non hanno diritto non solo alla mensa, ma neppure a un posto dove star seduti a mangiare)

- la demolizione della Sava.

Le immagini. Immagini che documentano una storia operaia:

- i cortei:la manifestazione e il comizio di un giovane Bruno Trentin

- quella manifestazione con le maschere contro i gas, maschere per gli operai invece che per le ciminiere

- la canzone Bertelli come racconto della lotta

e tutte la e altre immagini che abbiamo visto,

Immagini e testimonianze, il tutto tenuto insieme da un filo interpretativo critico. Critico, poichè la memoria non archivia, lavora.

Colpisce la tensione del film:

- la dinamica interna, retta da una narrazione non cronologica

- il ritmo denso e serrato, senza un filo di retorica

- la capacità di presa forte su chi guarda

La mia piccola parte di consulente storico è stata del tutto secondaria rispetto la struttura del film, per cui posso dire, senza che ciò mi riguardi, che si vede che è film pensato e maturato a lungo.

Per tutte queste ragioni è anche film ‘politico’. E’ un film che mostra criticamente un percorso industriale e sociale che ha coinvolto vite di intere generazioni.

Credo di aver visto tutti i film su Porto Marghera, o quasi. Alcuni sono di respiro, ma questo è certamente quello che ha maggiore forza ed essenzialità.

Ha un linguaggio di analisi critica che è radicale, ma perfettamente riscontrabile nei processi reali:

- la consapevolezza della fine di un ciclo Marghera/Volpi

- il disastro ambientale ereditato

- l’ assoluzione politica e giudiziaria dei responsabili, che non sarebbero stati neppure processati se Felice Casson non avesse raccolto le denunce. Quella figlia al processo, con la sua terribile frase “mio padre è morto dal freddo”, è il più grave atto d’accusa contro le classi dirigenti

E c’è consapevolezza di un vuoto, così ben riassunto da un operaio del Petrolchimico: il problema non è la fine della chimica, ma che non sappiamo quale sarà futuro di Porto Marghera.

Io ho vissuto questo secondo mezzo secolo di Porto Margera: il suo punto più alto di sviluppo e la sua crisi iniziata alla Sava. Ho vissuto il ciclo delle lotte con la crescita del potere rivendicativo e politico dei lavoratori e le forme di democrazia diretta: la crescita del potere quando alla sua base c’era un’analisi giusta. E ho visto la crisi di questo potere, quando non si è più capito come andavano cose con la globalizzazione: la trasformazione tecnologica tutta a favore dei gruppi dominanti, e la ri-subordinazione totale del lavoro. Quando si è abbandonata critica e la contestazione di questi processi e si è teorizzata la loro “oggettività”.

Ciò che con le nuove tecnologie doveva diventare più grande progresso sociale dell’umanità si è trasformato nel più grande regresso sociale. Lo riscontriamo tutti i giorni: Porto Margera è questo.

Dobbiamo avere il coraggio di dircelo con verità. Dobbiamo avere il coraggio di dirci anche che qualche responsabilità la dobbiamo pur averla anche noi.

In fondo, è questo il succo e il senso del film.

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