Enrico Franceschini,
Quel piccolo segno ha 500 anni
perché la punteggiatura torna di moda
Da Manuzio a Internet come cambia la scrittura - Un libro inglese sulla interpunzio vende 700 mila copie e diventa un caso. Parla l´autrice - In che modo quei simboli inventati in Italia ci possono aiutare a pensare e a scrivere meglio
Lynne Truss aveva fatto un po´ di tutto nel mondo della carta stampata: correttore di bozze, redattore letterario, giornalista sportivo, critico televisivo, columnist, scrittrice. I suoi tre romanzi avevano venduto, mediamente, 3 mila copie ciascuno. Non si aspettava più di diventare un´autrice di best-seller. Ancora meno avrebbe immaginato di dovere il successo alle virgole. Quelle che, piazzate nei punti sbagliati, danno un senso assurdo al titolo del volume che le ha dato la fama: Eats, shoots & leaves (alla lettera, Mangia, spara e se ne va ? per il significato esatto, con le virgole al posto giusto, continuare a leggere). E più in generale, le virgole che, insieme ai punti e virgola, ai due punti, agli apostrofi, ai punti esclamativi e interrogativi, costituiscono l´argomento della sua opera: un manuale, per l´appunto, di punteggiatura.
Pubblicato da una piccola casa editrice londinese, la Profile Books, il libro della Truss è il caso dell´anno in Inghilterra. Ha venduto 700 mila copie e continuano le ristampe. Sta per uscire in Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti. Ha provocato recensioni entusiastiche, decine di interviste, una scia di dibattiti. Un fenomeno editoriale, forse non solo editoriale: la scoperta che la gente, nell´era di Internet, ha una smodata passione per la punteggiatura, potrebbe significare qualcosa.
Cosa, signora Truss?
«Confesso che all´inizio non trovavo una risposta. Il successo è stato del tutto inaspettato. Avevo tenuto un programma sulla punteggiatura alla radio. Il mio editore mi ha suggerito di trarne una specie di guida. Sulle prime ho risposto di no. Poi l´idea mi ha suggestionato e siamo partiti. Ma certo senza pensare di fare un best-seller».
Aveva qualche esperienza in materia?
«Non ho mai insegnato, ma è una vita che mi occupo di come si scrive. Ho avuto qualche buon maestro e un´ottima scuola nei manuali di stile che il Times distribuiva un tempo ai suoi redattori. Ammetto però che la punteggiatura non è era la mia ossessione».
E allora?
«Pensando al libro, mi è parso che la gente stesse disimparando a scrivere. Scrivere senza le virgole al posto giusto, o trascurando accenti e apostrofi, significa scrivere senza ritmo, senza tono, senza voce. Significa non sapersi esprimere correttamente. Non saper comunicare».
Qualcuno dirà che lei esagera.
«Prendiamo il titolo del libro. E´ ricavato da una storiella. Un panda entra in un bar, ordina da mangiare, spara una pistolettata in aria e torna da dove è venuto. Il barista gli corre dietro per avere spiegazioni e l´animale gli mostra un dizionario dalla punteggiatura sbagliata, dove alla voce ?panda´ si legge: ?Simile all´orso, nativo della Cina. Mangia, spara e se ne va´. Ma basta togliere quella virgola, e la frase assume il significato autentico: ?Mangia germogli e foglie´. E´ solo un esempio. Basta guardarsi intorno per cogliere le innumerevoli distorsioni, gli errori, le storpiature della punteggiatura e della grammatica, causate dalla pubblicità, dalla televisione, dai giornali».
Non è antiquato scrivere con un eccesso di virgole?
«Troppe, non piacciono neanche a me. Ma non va bene nemmeno troppo poche. C´è un anneddoto meraviglioso sulle discussioni tra il direttore del settimanale New Yorker e un suo redattore. Ad esempio, il redattore insiste per scrivere ?i colori della bandiera americana sono rosso bianco e blu´: altrimenti, sostiene, quella bandiera, appesantita dalle virgola dopo ?rosso´, non riuscirebbe a sventolare come si deve. Il direttore, a sua volta, si impunta per scrivere ?dopo cena, gli uomini si trasferirono in salotto´, sostenendo che quella virgola dopo la parola ?cena´ serve a dare loro il tempo di alzarsi in piedi e scostare la sedia, prima di andare nell´altra stanza. In sostanza: una virgola in più o in meno ha un peso considerevole».
Come definirebbe la virgola?
«Il cane da guardia delle parole. Il pastore che ne prende un gruppo, le fa stare insieme, separandole da un altro gruppo».
Il punto e virgola?
«Un´interruzione molto elegante, che sta purtroppo andando in disuso. L´avvertimento che un discorso sta prendendo una nuova direzione».
E i due punti?
«Ormai, almeno qui in Inghilterra, vengono usati quasi esclusivamente nella titolazione. Invece sono un mezzo insostituible per fare una pausa teatrale, drammatica, ed aggiungere qualcosa al discorso».
Cosa pensa delle e-mail e dei messaggi sms trasmessi con i telefonini cellulari, due modi di scrivere praticamente senza punteggiatura?
«Non mi reputo la sacerdotessa delle virgole, anche se qualcuno ora mi fa passare per tale. Capisco benissimo che il linguaggio si evolve, ed è giusto che sia così. E´ paradossale, tuttavia, che la gente smetta di scrivere correttamente proprio nel momento in cui sorgono due mezzi, e-mail ed sms, che incoraggiano di nuovo a usare la parola scritta. Il telefono sembrava avere ucciso la corrispondenza scritta. Ora e-mail e sms l´hanno rilanciata, al punto che molti, per comunicare a un amico, a un collega, al proprio amore, preferiscono scrivere un sms che parlare al telefono. Eppure mi domando se questo modo sgrammaticato di scrivere non avrà un´influenza negativa, a lungo andare, sulla comunicazione umana in senso assai più ampio».
Cosa vuol dire?
«Vede, la punteggiatura nacque praticamente in Italia, all´epoca dell´invenzione dei caratteri a stampa. Era necessario separare tutti quei caratteri, dare un ritmo alle parole. Così si svilupparono la virgola e poi via via tutti gli altri segni di interpunzione. Nel corso dei secoli, quei segni sono diventati la nostra grammatica interiore: indirizzano e stabiliscono il modo in cui parliamo, in cui ragioniamo, in cui pensiamo. Ecco, mi chiedo se riusciremmo lo stesso a pensare, nella stessa maniera di prima, se un po´ alla volta scomparissero le virgole dal nostro discorso scritto».
Da qualche parte sono già scomparse, senza danneggiare il pensiero umano. Non le piace il capitolo finale dell´Ulisse di Joyce, quel "flusso di coscienza" di settanta pagine di seguito senza un punto o una virgola?
«Il monologo di Molly Bloom è un capolavoro. Ma datemi retta: non scrivete così, se non siete James Joyce».
Qualche tempo fa una puntata di Porta a Porta fu annunciata con le seguenti parole: «La tratta delle ragazze dell´Est costrette a prostituirsi nel talk show di Bruno Vespa. In studio don Oreste Benzi, Ramona Badescu, Elisabetta Gardini, Stefano Zecchi...». Trattandosi anche per quella puntata del solito talk show e non di un innovativo peep show quello che andò in onda fu la nota minestra di parole. Proprio per questo non avrebbe certo nuociuto una diversa formulazione dell´annuncio, o perlomeno una piccola virgola a separare il predicato verbale «prostituirsi» dal complemento «nel talk show di Bruno Vespa». Scansare gli equivoci è sempre una buona norma.
Una virgola; cos´è, una virgola? La mano scende sul pavimento della riga e accenna a una minima torsione: il segno che ne esce rappresenta, nella partitura della lingua scritta, quello che nell´esecuzione orale sarebbe un fiato, una pausa. Ma non è questione di riposarsi dalle fatiche del parlato, tutt´altro: la virgola è uno strumento per l´organizzazione di quella macchina da guerra che è il discorso.
Esagerava il Tommaseo: «Buona parte di logica potrebbe ridursi a un trattato delle virgole», e infatti a volte basta abolire la lingua per sospendere il senso del discorso. Esempio massimo, l´antico oracolo «Ibis redibis non morieris in bello». Il suo senso non si può decidere se non ponendo una virgola dopo «redibis» (Andrai e ritornerai, non morirai in guerra»), oppure dopo «non» (Andrai e non ritornerai, morirai in guerra). Chissà il soldato, ma l´oracolo se l´è certamente cavata benissimo.
Un esempio di ambiguità del genere è poi passato in proverbio: «Per un punto Martin perse la cappa». Secondo l´aneddoto, il monaco Martino non divenne priore perché, trascrivendo l´iscrizione posta sulla porta del convento: «Porta patens esto nulli claudatur honesto», che significa «Stia aperta la porta, non si chiuda a nessun uomo onesto», mise un punto dopo la parola «nulli», dando alla frase un significato del tutto differente. L´iscrizione infatti divenne: «La porta non si apra per nessuno e si chiuda per l´uomo onesto».
Ecco allora che questo esercito di formiche inchiostrate, virgole, punti, punti e virgole, trattini, pare animarsi, sciamare ovunque e pretendere che siano riconosciuti i suoi diritti. Il surrealista Max Aub afferma «Punti, virgole, lineette, parentesi, asterischi: quanti crimini si commettono in vostro nome!» e coerentemente considera i segni di interpunzione come oggetti vistosi del trovarobato necessario per la messa in scena del discorso («?Empalarle en un signo de admiración! Impalarlo in un punto esclamativo!»).
Non sono le muffe che crescono negli interstizi del discorso, i piccoli elementi di polistirolo che attutiscono i colpi in un imballaggio, elementi intermedi a distribuzione stocastica («dove vanno vanno, come capperi nella salsa tartara», disse Gadda). Il loro nanismo grafico e la loro (apparente) afasia acustica non sono i sintomi di una funzione accessoria rispetto alla magniloquenza della parola piena. Il discorso non è una catena, è un arco, e la punteggiatura ne regola la tensione. Anche leggendo senza pronunciare, se nient´altro fa sospettare che la frase è interrogativa (saggezza della nobile lingua spagnola, che lo segnala fin da subito) incontrare proprio sul finire un inaspettato punto di domanda ha un che di disfattista e di derisorio: e il più delle volte costringe a rileggere la frase daccapo, per capirla.
Anche i sobbalzi e i rivolgimenti della stilistica sono visibili dalla punteggiatura. Un secolo letterario separa l´incipit di Gabriele d´Annunzio «L´anno moriva, assai dolcemente», da quello, di diversa soavità, di Aldo Nove: «L´amore, ha lo stesso meccanismo del Gratta e vinci», anche se la virgola deviante fra soggetto e predicato verbale ha una sua onorata storia (Carlo Dossi: «Il gallo, canta»).La professoressa Bice Mortara Garavelli, autrice del recente e impeccabile Prontuario di punteggiatura (Laterza), potrebbe forse preparare qualche test per i suoi studenti, e stabilire la riconoscibilità di un autore a partire dalla sua distribuzione: senza arrivare alle oltranze di Giuseppe Garibaldi, che nel suo romanzo Clelia ovvero il Governo dei Preti sostituisce la maggior parte delle virgole e dei punti fermi con trattini che deliziarono Alberto Arbasino («E´ questo poi amore? - E´ questo quel passatempo - che i mortali succhiano come l´arancia - scaraventano poi nel letamajo?»), è evidente il passaggio della prosa letteraria e saggistica dalle fioriture barocche a quella sorta di pointillisme interpuntivo più recente che spezza le frasi in segmenti, una corrente capeggiata dal sociologo Ilvo Diamanti («Venezia dopo Genova. Città di mare. Con una storia lunga. E importante. Di autonomia.», eccetera).
Bisogna però stare attenti a una questione. E´ molto facile, sul piano del costume linguistico, tirare le conclusioni a cui si rifaceva l´eccentrico critico linguistico Leo Pestelli già decenni fa: «Sta bene che i retori posero che il periodo lungo si affà all´animo tranquillo e il breve all´agitato; ma non siamo poi tutti e sempre in convulsioni noi moderni». Andatelo a dire a Proust, cosa si «affà all´animo tranquillo»! Provate a vedere quanto è convulso e ritmato un periodo di Aldo Busi rispetto a una ordinaria raffica di punti fermi post-hemingwayani...
Pensare che la scrittura contemporanea faccia a meno delle virgole per esprimere tensione e ritmo sarebbe come affermare che per rappresentare pittoricamente la malinconia sia necessario usare solo colori scuri. La convulsione postmoderna inclina alla costruzione di labirinti testuali a cui lo scrittore Garibaldi e il suo apparato di trattini potevano ambire solo in via involontaria. La tendenza a semplificare la punteggiatura è indubbia: ma nel prenderla in considerazione non dobbiamo semplificare persino la tendenza medesima.
Prendiamo un testo antico, manoscritto o a stampa. La punteggiatura, se c´è, risponde a criteri in tutto o in parte differenti da quelli che adotteremmo oggi per lo stesso testo: diversa dunque la funzione, e anche la forma tipica dei segni, se si tratta di un manoscritto. Perfino la separazione delle parole può non corrispondere a quella che è in uso oggi. Ne abbiamo esempi dall´antichità classica alla fine del Cinquecento, in Italia. Per darne un solo campione: Michelangelo usava solo due segni, una sbarra obliqua semplice e una doppia, ignorava accenti e apostrofi e separava le parole mescolando criteri morfologici e fonetici. Come si vede in questo verso di uno dei suoi sonetti: «Di nanzi misallunga lachorteccia» (Dinanzi mi s´allunga la corteccia). Ci sono scritture dove le parole non sono mai distaccate l´una dall´altra da spazi bianchi o da altri elementi divisori: in questo caso siamo di fronte alla scriptio continua, largamente praticata nell´antichità, greca e latina, e ancora prevalente, secondo gli antropologi della comunicazione, in molte tradizioni grafiche attuali. Ma rimaniamo nell´ambito delle lingue europee. In principio ci furono «segni critici», alcuni dei quali funzionarono poi come interpunzioni. Segni critici sono, ad esempio, i tratti verticali uniti a puntini che distinguevano unità brevi del discorso in iscrizioni greche anteriori al V secolo a. C., o la lineetta orizzontale detta paragraphé "scritta a lato", che in papiri del sec. IV a. C. indicava l´inizio o la fine di un argomento. I primi segni di punteggiatura furono accorgimenti per la lettura ad alta voce; pochi di numero: i maggiori filologi ellenistici (III-II sec. a. C.) ne usarono solo due, mentre molti erano i segni critici da loro introdotti nelle edizioni di testi classici. A Roma, Cicerone diffidava delle interpunzioni segnate dai copisti: sosteneva, e quest´idea fece scuola, che per modulare nel modo giusto le cadenze del discorso si doveva fare assegnamento non su segnali esterni al testo, ma sulla comprensione della sua struttura, sintattica e ritmica.
Tre erano le «posizioni» classiche (in latino positurae o distinctiones) per le rispettive sezioni del discorso: per la minore (comma), la subdistinctio, indicata da un punto in basso; per la mediana (colon), la media distinctio, con un punto a metà altezza; per la maggiore (periodus), la distinctio, segnata da un punto a varie altezze. Grosso modo, le tre funzioni corrispondevano a quelle che sarebbero poi state attribuite, rispettivamente, alla virgola, al punto e virgola, e al punto. L´analogia è trasparente nella nomenclatura inglese, dove i tre segni conservano il nome delle partizioni antiche: comma (,) colon (:) e semicolon (;) period (.) detto anche full stop. Nei periodi tardo antico e medioevale variarono le denominazioni e soprattutto i segni grafici. Ancora più instabili furono per secoli le pratiche interpuntorie; fra i primi a introdurre una punteggiatura nella Bibbia fu San Gerolamo (tra il IV e il V sec.). Alla fine del sec. XIII l´inventario dei segni si è allungato: ha fatto la sua prima apparizione il punto interrogativo, qualche decennio dopo compare anche il punto ammirativo o esclamativo o enfatico. Ma nella pratica le interpunzioni normalmente usate o sono poche o differiscono l´una dall´altra secondo le abitudini degli scrittori o dei copisti: la difformità è la regola, non l´omogeneità delle forme e delle relative funzioni. Nel manoscritti del Canzoniere di Petrarca le interpunzioni sono ridotte a tre o quattro: il punto, una sbarra obliqua (detta virgula suspensiva) per la virgola, un punto intersecato da una virgula o posto sotto a questa per gli incisi. Oltre a questi, nell´autografo del Decameron troviamo il punto e virgola e i due punti come segno di pausa lunga, il semipunto per indicare interruzione di parola, il punto di domanda e qualche altro accorgimento grafico. L´uniformità nelle convenzioni interpuntive entrerà in gioco solo con l´avvento della stampa. È il grande stampatore veneziano Aldo Manuzio a dare origine a un sistema pressoché moderno nelle edizioni di opere di Pietro Bembo (a cominciare dal 1496): virgola nella stessa forma odierna, punto e virgola per una pausa minore di quella segnata dai due punti, punto fermo in chiusura di periodo e «punto mobile» alla fine di frasi interne al periodo, apostrofo e accento. Nel corso dei secoli il punto e virgola, o puntocoma, ha avuto attribuzioni problematiche: dall´introdurre il discorso diretto all´essere anteposto al pronome relativo, al racchiudere incisi. Con quest´ultimo valore è ancora usato da Leopardi.
Dal Cinquecento in poi fioriscono i trattati sul «modo di puntare» gli scritti; si complica la nomenclatura e si moltiplicano proposte che hanno scarso riscontro nella pratica degli scrittori, anche dei più grandi, come Machiavelli e Guicciardini. Ariosto, pur conoscendo i principali segni, li adopera pochissimo nello scrivere abituale. Nel Seicento di fa strada l´idea di una «punteggiatura per l´occhio», adatta a segnare non solo la durata delle pause nella lettura e le cadenze che danno colore al senso, ma anche a chiarire i nessi tra gli elementi del discorso: ciò che si intende per «punteggiatura logica». Le due funzioni, ritmica e logica, coesistono ancora, e spesso si scontrano, fonte di incoerenze tra gli usi indotti dalla prima e le norme suggerite dalla seconda. Nel Settecento la moda dello stile spezzettato in frasi brevi favorisce l´interpungere ritmico. Più che i contributi della trattatistica dal Sette al Novecento interessano le prese di posizione degli scrittori: Leopardi teorizza e applica una grande parsimonia interpuntiva, Manzoni, ugualmente accurato, abbonda specialmente nell´uso della virgola: la mette anche tra soggetto e verbo, quando dà informazioni del tipo «in quanto a...» («di tante belle parole Renzo, non ne credette una») oppure mette a fuoco il soggetto: «Voi, mi fate del bene...» (= siete voi che...). Nemico delle (troppe) virgole fu D´Annunzio; radicali nel sovvertire ogni tradizione interpuntoria i futuristi. Assenza o ridondanza di punteggiatura caratterizzano i movimenti letterari nel Novecento e oltre.