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Eddytoriale 160
6 Marzo 2014
Eddytoriali 2013-
Ho aderito alla proposta di Andrea Camilleri, Luciano Gallino, Paolo Flores d’Arcais, Marco Revelli,Barbara Spinelli, Guido Viale di promuovere una lista italiana per il Parlamento europeo, collegata allacandidatura di Alexis Tsipras a presidente dell’Unione europea. Ho ancheaccettato di entrare nella lista. Vorrei spiegarne ai lettori di eddyburg leragioni, e la speranza che le sorregge. Articolerò il mio discorso in tre punti: l’Europa,la politica, il programma.
Ho aderito alla proposta di Andrea Camilleri, Luciano Gallino, Paolo Flores d’Arcais, Marco Revelli,Barbara Spinelli, Guido Viale di promuovere una lista italiana per il Parlamento europeo, collegata allacandidatura di Alexis Tsipras a presidente dell’Unione europea. Ho ancheaccettato di entrare nella lista. Vorrei spiegarne ai lettori di eddyburg leragioni, e la speranza che le sorregge. Articolerò il mio discorso in tre punti: l’Europa,la politica, il programma.

La politica

Vengo dal PCI, dove ho militato per molte stagioni della miavita come intellettuale, come amministratore pubblico e come dirigentepolitico. E’ da molti anni che non faccio più politica nei partiti e nelleistituzioni. Precisamente da quando vide la luce quel partito che oggi hascelto di essere comandato da Matteo Renzi.
Non disprezzo ipartiti. Ritengo che possano costituire e abbiano costituito necessarie cerniere tra la società e leistituzioni che governano la polis. Ecredo che per molti anni, prima e dopo la Resistenza, i partiti siano statiutili ed efficaci. Ma penso che da molto tempo non lo siano più; soprattutto questi partiti, in questa Italia.
E non disprezzo lapolitica, né la ho abbandonata. Hocontinuato a praticare la politica così come la definiva Lorenzo Milani: quellache consiste nel lavorare insieme per affrontare un problema che sentiamo comunea quanti ci sono vicini per le loro condizioni e per le loro idee.Perciò hocontinuato a fare politica aiutando quanti pativano per gli effetti provocatial territorio e alla società da quel mostro devastante che è diventato ilsistema capitalistico mondiale nella sua fase attuale.
Lottavamo e lottiamo per difendere ciò che volta a volta ci minaccia più da vicino, ma comprendiamo che la minaccia checolpisce la nostra salute, i diritti all’abitazione e alla scuola, alladignità del lavoro e alla parità, all’equità nell’accesso alle risorsee all’uso parsimonioso dei beni comuni, colpisce ugualmente i nostri vicini e imolti lontani nelle civiltà e nelle culture.
E abbiamo compreso via via che non basta protestare e opporsi,che occorre anche proporre e costruire.Che è necessario proporre e costruire un altro Veneto, un’altra Italia, un’altraEuropa - per cominciare così a costruireun altro Pianeta Terra.
Sto parlando di quella miriade di movimenti innescati ealimentati, in ogni parte d’Italia, dalle associazioni e dai comitati, daicircoli e dai gruppi di cittadinanza attiva che hanno lavoratovolontariamente per resistere, difendere e riconquistare beni comuni, materialie immateriali, che erano minacciati o saccheggiati, e che spesso hanno saputo costruire più ampie reti e poi ritrovarsiuniti in vastissime – e spesso vincenti – manifestazioni di massa: come quelleper l’acqua, per le energie alternative, per la pace, per il lavoro, per idiritti delle donne e per quelli dei migranti, per la dignità dei lavoratori eper quella degli inoccupati.
Sto parlando di quella variegata e multiforme realtà socialee culturale che non si adatta a marcire nell’esistente né a cedere alladisperazione, ma crede nella possibilità di un’alternativa: che al pessimismodella ragione sa aggiungere l’ottimismo della volontà. Quella realtà socialeframmentata ma vitale, largamente rappresentata nelle liste elettorali di "L'altra Europa con Tsipras", cosìradicalmente diverse da quelle concorrenti.
L’Europa

Le elezioni per il Parlamento europeo del 25 maggio ci dannouna grande occasione, per più d’una ragione.
La prima ragione sta nel fatto che l’attuale Unione Europeaè responsabile della strada che gran parte degli stati europei ha dovuto percorrere per tentare, invano, di uscire dalla grande crisi finanziaria del capitalismo globalizzato. Solo pochi paesi virtuosi hanno saputo scegliere politiche diverse da quella dell’austerity praticata dalla Troika del finanzcapitalismo, e hanno saputo contrattare con le banche creditrici anziché dissanguare i cittadini.
La seconda ragione è che con queste elezioni si può tentar di correggere un pesante squilibrio politico della costruzione europea. Oggi il potere istituzionale all’interno dell’UE è distribuito in modo ingiusto tra i suoi due poli: la Commissione europea, diretta espressione dei governi nazionali e il Parlamento europeo, eletto dai popoli.

Nel primo polo dominano l’ideologia e la prassi del neoliberismo tatcheriano e reaganiano, che ha pervaso grandissima parte della partitocrazia europea. Esso costituisce il puntello istituzionale di quei “poteri forti” che hanno provocato la crisi finanziaria e pretendono di uscirne estendendo il saccheggio dei beni comuni – dal lavoro all’ambiente, dalla cultura ai diritti personali.

Nel secondo polo, il Parlamento eletto direttamente dai cittadini europei, possono esprimersi posizioni ideali e pratiche diverse: possono ottenere visibilità e guadagnare consensi le voci nelle quali si manifesta il disagio per le condizioni materiali e morali che il neoliberismo ha provocato. Oggi i poteri del Parlamento europeo sono fortemente limitati. Rimuovere questi limiti significa anche dare peso alla dimensione politica dell’Europa che soffre e che vuol cambiare.

La terza ragione è che l’Unione europea ha poteri in molte materie che condizionano direttamente le condizioni d vita delle popolazioni di tutti i popoli dell’Europa – nonché quelli di molti popoli che verso l’Europa si affacciano, a partire dal Mediterraneo. Pensiamo a temi e materie come l’agricoltura e l’ambiente, le grandi reti infrastrutturali e l’energia, la difesa (lo stesso scandalo dei micidiali e costosissimi F35 è un programma targato Europa) e le politiche migratorie (oggi dominate dai due mostri della repressione e dello sfruttamento).

E pensiamo al tema, secondo me rilevantissimo, della formazione e della ricerca, campi nei quali l’orientamento delle politiche e dei finanziamenti europei ha un fortissimo peso. E’ perciò a cominciare dall’Europa che dobbiamo porci un interrogativo essenziale per il nostro futuro: vogliamo che formazione e ricerca siano orientati a facilitare, consolidare, propagandare, radicare ulteriormente l’ideologia e i meccanismi utili al finanzcapitalismo, oppure vogliamo che siano dirette a studiare, proporre e sperimentare i modi per costruire un mondo più buono e più giusto, più amichevole e più durevole?

Infine, le elezioni del 25 maggio ci danno una grande occasione per tentare di costruire, in un’Italia, meno chiusa tra i suoi confini nazionali, una nuova forza politica, nettamente alternativa a quelle che da trent’anni (diciamo da Craxi a Renzi) dominano incontrastate nel nostro Paese: una sinistra “radicale” perché vuole correggere i mali, le inequità, le distorsioni andando alle loro radici.

Il programma

Non ho intenzione di riassumere in poche righe il programma politico della lista “l’altra Europa con Tsipras”. Mi limito a commentarne alcuni punti

«Porre fine all’austerità e alla crisi» è la prima delle priorità politiche della lista Tsipras». Impossibile non essere d’accordo. Infatti nell’accezione neoliberista, fatta propria dai governi europei e da Bruxelles, “austerità” altro non significa che accrescere ed estendere il potere e la ricchezza dei poteri forti del finanzcapitalismo, proseguendo nel processo di privatizzazione, mercificazione, dissipazione dei beni comuni essenziali alla civiltà – e alla stessa sopravvivenza dell’umanità: dall’acqua alla cultura, dall’arte al lavoro, dalla salute alla sicurezza. Questa è l’austerity contro cui vogliamo combattere.

Ma nella cultura della sinistra radicale italiana c’è un’altra idea di austerità: quella proposta da Enrico Berlinguer. Un concetto di austerità che – per sintetizzarlo al massimo – significa sfuggire alla spirale infinita e mortifera dello sviluppo opulento, nel quale la produzione di plusvalore (di sfruttamento del lavoro) viene alimentato dall’induzione di bisogni sempre più lontani dalle reali esigenze delle persone, per poter in tal modo contribuire a sollevare dalla miseria i popoli dei “terzi mondi”.

La seconda priorità politica della lista Tsipras è «mettere in moto la trasformazione ecologica della produzione». Lavoro e ambiente sono i due beni comuni più direttamente minacciati dallo sviluppo capitalistico, e quindi la conversione della produzione (cioè dell’impiego del lavoro) per renderla compatibile con i limiti posti dalle risorse del pianeta Terra è un passo essenziale. Ma analoga conversione è necessaria sull’altro corno dell’economia: il consumo. E’ insomma l’economia nel suo complesso che deve essere resa compatibile con quei limiti.

La terza priorità politica della lista Tsipras è costituita dalla «riforma della struttura dell’immigrazione in Europa». Si apre qui una questione che mi sembra di grande rilievo per almeno due aspetti: il primo è quello dei diritti dei migranti, il secondo è quello dei confini dell’Europa.

Questo secondo aspetto ha a che fare con l’identità dell’Europa: sono infatti confini di un oggetto ciò che in primo luogo ne definiscono l’identità. Ora, che cosa vogliamo che i confini dell’Europa siano: muraglie che racchiudono una fortezza, oppure cerniere con i mondi vicini? La risposta mi sembra evidente. E mi viene in mente la poesia di Giorgio Caproni: «Confine diceva il cartello / cercai la dogana, non c'era / non vidi dietro il cancello /ombra di terra straniera». L’idea d’Europa che leggo nei documenti della lista Tsipras è proprio questa: il Mediterraneo, come l’Atlantico, come i paesi dell'Est non sono segmenti di un recinto che ci chiude, ma finestre che si aprono su altri mondi.

Un ultimo punto vorrei toccare e riguarda la proposta programmatica di un «new deal europeo». Ciò di cui abbiamo bisogno è di qualcosa di analogo a quel Piano del lavoro che la CGIL, allora guidata da Giuseppe Di Vittorio propose nel 1948 . Se il lavoro, come credo, non è una merce ma un bene, se il lavoro è, come ha scritto Claudio Napoleoni, «lo strumento, peculiarmente umano, col quale l’uomo consegue i suoi fini», se è lo strumento mediante il quale l’uomo puà comprendere e trasformare il mondo in tutte le sue dimensioni, allora dobbiamo decidere oggi quali sono i fini che riteniamo oggi socialmente essenziali.

Dobbiamo proporre, in Europa e in Italia, un programma che consenta di impiegare tutta la forza lavoro disponibile per le opere necessarie per assicurare al nostro territorio, alla porzione dell’"habitat dell’uomo” che ricade sotto il nostro governo, la tutela e lo sviluppo delle qualità naturali, storiche, sociali già presenti. Autorevoli promotori della lista Tsipras, come Guido Viale e Luciano Gallino hanno reiteratamente argomentato e proposto i contenuti d’un nuovo Piano del lavoro, finalizzato al raccordo tra due grandi patrimoni: su un versante, la disponibilità di forza lavoro qualificata, a tutti i livelli e con tutte le articolazioni necessarie, sull’altro versante, la gigantesca fame di attività necessarie per affrontare i problemi impellenti della stabilità idrogeologica, della messa in valore dei nostri patrimoni naturali e culturali, dell’apprestamento delle opere e dei servizi necessari per la formazione, la salute, l’assistenza, il risanamento e l’utilizzazione equa del patrimonio immobiliare pubblico e privato.

Quali risorse utilizzare per realizzare un simile programma? Anche su questo argomento non mancano le proposte. Innanzitutto la drastica riduzione delle spese militari nel rispetto dell’art. 11 della Costituzione, a cominciare dall’arresto del programma degli F35, e delle nuove fregate multimissione. Poi la riconversione dei finanziamenti destinati alle grandi opere inutili e dannose. Last but not least, la realizzazione di una fiscalità conforme alla Costituzione, quindi realmente progressiva, estesa, che colpisca gli evasori piccoli e grandi, che tosi i patrimoni ottenuti con la speculazione immobiliare e finanziaria e ne impedisca l’ulteriore accrescimento.

Concludo con le parole di Alexis Tsipras:

Per rendere possibile il cambiamento che vogliamo «dobbiamo alterare l’equilibrio del potere politico. Il neo-liberismo non è un fenomeno naturale ne qualcosa di invincibile. È solo il prodotto di scelte politiche in un particolare equilibrio storico di forze. E’ questo equilibrio di forze che dobbiamo concorrere a mutare».

E’ il compito – voglio aggiungere - nel quale una nuova sinistra deve essere un protagonista. Non l’unico, ma quello che apre la strada.

qui è scaricabile il testo in formato .pdf

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