Quattro cose mi hanno colpito. Le racconto nell’ordine degli articoli.
La prima, articolo 3. La pianificazione del territorio avviene “sentiti i soggetti interessati” (comma 2). Si precisa che “le funzioni amministrative” (la pianificazione) “sono svolte in maniera semplificata, prioritariamente mediante l’adozione di atti paritetici in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento tra i soggetti istituzionali e tra questi e i soggetti interessati ai quali va comunque riconosciuto comunque il diritto alla partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti” (comma 3). Fino ad oggi il piano urbanistico esprimeva la volontà dell’amministrazione elettiva, e solo dopo veniva sottoposta al parere dei privati. Adesso il procedimento è invertito: il piano è redatto sulla base delle espressioni di volontà dei “soggetti interessati”. Siamo in Italia, non in Olanda. Qualcuno può pensare che, quando si parla di “soggetti interessati” ci si riferisca alla cittadina e al cittadino? Qui tutti sanno che si tratta della proprietà immobiliare.
La seconda, articolo 4. “Le regioni individuano gli ambiti territoriali da pianificare e l’ente competente alla pianificazione […]”. Fino a oggi l’ambito e l’ente competente erano quelli dei comuni, della cui competenza a pianificare nessuno aveva mai dubitato. In nome dell’efficienza ci si propone di affidare alle regioni (ma è costituzionale?) la facoltà di annullare una delle fondamentali storiche competenze dei comuni. È giusto?
La terza, articolo 7. L’attuazione del piano urbanistico (è il titolo dell’articolo) non può essere illustrata in poche righe. Basti annotare che si sollecita l’impiego di “strumenti e modalità di perequazione e di compensazione” (comma 2), e che per la prima volta si introduce nell’ordinamento giuridico italiano il concetto di “diritti edificatori” i quali vengono attribuiti dal piano urbanistico nei modi che dovranno essere regolamentati dalla regione. Ciò palesemente significa ribadire e rafforzare i poteri della proprietà immobiliare. (Significa anche che, fino a oggi, le premesse su cui si basava il di sovradimensionamento del PRG di Roma erano infondate, c.v.d.).
La quarta, ancora articolo 7. Il proprietario di un’area destinata a servizi pubblici (un parco, una scuola, un ospedale) può chiedere al comune “la realizzazione diretta degli interventi d’interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l’amministrazione per la gestione dei servizi” (comma 5). Prosegue la marcia verso la privatizzazione di tutto ciò che, dopo la rivoluzione borghese del 18° secolo, si era mano a mano affidato al pubblico nel corso dei successivi due secoli, per correggere le storture di un sistema imperfetto.
L’analisi della legge merita di essere approfondito. Nel farlo, occorrerà verificare quante delle innovazioni (come si vede pesanti) che si propongono nascano dagli ambienti culturali e politici del centrosinistra degli ultimi anni. A mio parere molte. Aspettavano una maggioranza di destra (e quale destra!) per essere tradotte in legge dello Stato.