Anch’io, come Pierluigi Cervellati, sono molto deluso di ciò che sta avvenendo a Venezia, e in particolare nella città storica. Ma le ragioni della mia delusione sono diverse da quelle di Cervellati. Non rimpiango cioè il cosiddetto Piano Benevolo, ma la distruzione che con tale piano, e con la politica urbanistica di cui è l’espressione, si è fatta del precedente piano per la città storica. Distruzione e politica della quale è stato massimo artefice l’assessore Roberto D’Agostino, con cui hanno collaborato come consulenti Leonardo Benevolo e Pierluigi Cervellati.
Condivido pienamente la denuncia di Cervellati. Anch’io critico che si sia abbandonata “la pianificazione per il marketing”. Anch’io condanno la “proliferazione delle camere a ore, locande Bed&Breakfast, snack bar, paninerie e pizzerie” e quel che segue. E però…
Però, come risulta limpidamente da numerosi scritti di Luigi Scano (oggi ospitati in un’apposita cartella nel sito eddyburg.it, da tutti consultabile) una parte consistente dei danni al patrimonio storico della città, che oggi tutti lamentano, è stato causato proprio dall’operazione compiuta con il cosiddetto Piano Benevolo: cioè, con variante di PRG per la città antica, adottato dal comune nel 1996. La base materiale e formale di quel piano è stata costituita dal lavoro impostato e iniziato nel 1982 dalla giunta di sinistra (sindaco Mario Rigo, assessore Edoardo Salzano), interrotto nel 1985 (sindaci Nereo Laroni e poi Costante Degan), ripreso nel 1987 (sindaco Antonio Casellati, assessore Stefano Boato), concluso e reso pubblico nel 1990, e adottato nel 1992 (sindaco Ugo Bergamo, assessore Vittorio Salvagno).
Ho seguito il piano come diretto responsabile nella prima fase, poi come collaboratore esterno negli anni in cui, assessori Boato prima e Salvagno poi, gli uffici diretti da Edgarda Feletti, con la costante collaborazione di Scano, lo conclusero e portarono all’adozione. Come cittadino veneziano, partecipe delle vicende della sua città e direttore di eddyburg.it ho continuato a seguirne le vicende anche negli anni successivi: quello della sua utilizzazione e demolizione, di cui Scano ha puntualmente documentato e raccontato i passaggi.
La Giunta eletta nel 1993 (sindaco Massimo Cacciari), vittima della ventata di neoliberismo che in quegli anni soffiava impetuoso dalle Alpi al Lilibeo, iniziò subito a criticare (vorrei dire a demonizzare, perché nessuna argomentazione razionale fu proposta) il piano del 1992. Colpa del piano era quella di “imbalsamare la città”: la città “non è un monumento”, bisogna sciogliere i “lacci e laccioli che ostacolano l’attività economica”. Mai si è riusciti a dimostrare in che cosa quel piano ostacolasse le attività economiche coerenti con le caratteristiche strutturali e con la storia della città: dalle attività artigianali e quelle negate alla nautica, dalla ricerca e dalle produzioni immateriali alle attività legate al restauro e alla messa in valore dell’enorme patrimonio storico e culturale. Così, per deregolamentare e lasciare le mani libere a qualunque possibile affare sulla città, a qualunque possibile sfruttamento della sua capacità di richiamo nei confronti di qualsiasi operatore economico, le tavole originali del piano costruito nel decennio precedente furono riciclate sostituendone le bandelle e correggendone le legende, le norme furono emendate.
La direzione lungo la quale ci si mosse per adattare il piano alla nuova ideologia (laissez faire, laissez aller) fu perciò una soltanto: eliminare tutte quelle norme che avrebbero consentito di controllare, con un rigore commisurato alla forza delle pressioni sul mercato immobiliare, le destinazioni d’uso, tutelando in particolare la permanenza della “residenza ordinaria” in tutte le numerosissime unità edilizia la cui tipologia le destinava a questa utilizzazione, e promuovendo le attività economiche coerenti con la città. Ed è utile forse ricordare che tra i primi atti della Giunta che distrusse il piano del 1992 ci fu la revoca della deliberazione con la quale la Giunta precedente aveva recepito la Legge Mammì sui vincoli alle tipologie di attività commerciali e assimilabili nei centri storici. E che da quella medesima Giunta nacque la proposta di una metropolitana sublagunare da Tessera a Murano e all’Arsenale, utile solo ad aumentare l’afflusso del turismo “mordi e fuggi”: una proposta ancora oggi sul tappeto, contro la quale mi piacerebbe che Pierluigi Cervellati si schierasse con determinazione.