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Edoardo Salzano
19990900 Il pasticcio urbanistico non è passato
15 Gennaio 2008
Articoli e saggi
Urbanistica Informazioni, editoriali del n.119/120, settembre-dicembre 1991. Gli altri argomenti: "Finalmente una buona sentenza", "Un neonato, un albero, quattro automobili", "Il nuovo antiregionalismo", "In liquidazione il meglio di un secolo"

IL PASTICCIO URBANISTICO NON E' PASSATO



Tristi questi tempi. Bisogna gioire del fatto che una legge, partita con l'ottima intenzione del legislatore di regalare al paese la riforma del regime degli immobili (o almeno del regime dei suoli) che aspettiamo da un quarto di secolo, sia restata impaniata nella precoce fine della legislatura. Ce ne dispiace per tutti quelli che, alla Camera e al Senato, con molta buona volontà e molto impegno, si sono adoperati per discuterla, correggerla, verificarla. Ce ne dispiace meno per quegli urbanisti che, fin quasi alle ultime battute, hanno lavorato perchè in qualche modo venisse approvata. Ma ne siamo lieti per le città e il territorio, e per il loro governo.

Quella legge (non abbiamo mai mancato di dirlo e di dimostrarlo) era un pasticcio. Era sbagliata fin dall'inizio, fin dall'originaria impostazione del sen. Cutrera. Ma era allora, quattro anni fa, un meccanismo correttamente basato su un principio perverso (quello della "spalmatura", dell'attribuzione a ogni proprietà fondiaria di un diritto di edificabilità), sebbene temperato dal riconoscimento della non edificabilità delle aree di oggettivo interesse paesaggistico. Via via era diventata un pasticcio che avrebbe seppellito ogni residua possibilità di governo del territorio mediante la pianificazione.

Nel numero scorso di questa rivista abbiamo pubblicato un ampio e documentatissimo dossier di Maurizio Coppo, i cui argomenti sono stati decisivi per indurre i parlamentari del Pds a "togliere la legislativa" (cioè a ritirare l'autorizzazione alla maggioranza a votare la legge direttamente in Commissione), e per sollecitare i deputati della Sinistra indipendente e della Lista verde a praticare in Aula un robusto filibustering l'ultimo giorno di validità parlamentare. Vogliamo ricordare un paio di dati di fatto illustrati nella ricerca di Coppo, perchè in essi sono le ragioni della nostra odierna soddisfazione per lo scampato pericolo.

I più gravi vizi sostanziali della proposta di legge erano in due aspetti: quello economico e quello urbanistico.

Per quanto riguarda il primo aspetto, è dimostrato innanzitutto che la variazione del rapporto tra valori dell'indennizzo e valori di mercato sarebbe elevatissima (dal 10 al 250 per cento). Ciò contraddirebbe pesantemente il principio di equità, cui la Corte costituzionale è particolarmente legata, e inoltre obbligherebbe i comuni ad esborsi elevatissimi nella situazioni sopravvalutate e a subire contenziosi infiniti in quelle sottovalutate.

In secondo luogo, nella maggior parte dei comuni gli introiti derivanti dai contributi di maggiore edificazione sarebbero stati tali da non compensare nemmeno gli indennizzi per l'acquisizione delle aree occorenti per gli standard urbanistici necessari per i nuovi insediati. Lungi dal risolvere positivamente i problemi della gestione urbanistica dei comuni, la legge li avrebbe addirittura aggravati.

Dall'analisi di Coppo appare evidente che nessuna correzione del sistema previsto dalla legge avrebbe potuto emendarne i vizi che danno luogo a risultati così scoraggianti. Ma ancor più evidente è il vizio di fondo della proposta se se ne esaminano gli aspetti urbanistici: le perverse ricadute sulla pianificazione urbana e territoriale.

"Data la diretta relazione tra indici fondiari, valori degli indennizzi e valori dei contributi per la maggiore utilizzazione fondiaria, le scelte urbanistiche determinerebbero, anche più che nella situazione attuale, pesantissime implicazioni d'ordine economico; tali implicazioni renderebbero da un lato la pianificazione urbanistica oltremodo complessa e dall'altro la sua gestione ancor più conflittuale di quella attuale".

Con buona pace per chi pensa (come noi pensiamo) che obiettivo di una riforma deve essere quello di tendere verso "l'indifferenza dei proprietari alle destinazioni dei piani", per adoperare l'espressione di Aldo Moro all'epoca del primo governo di centro-sinistra.

Alla soddisfazione per lo scampato pericolo vogliamo aggiungere la speranza che il Parlamento che eleggeremo sia più maturodi quello appena sciolto, e meglio capace di affrontare, e finalmente risolvere, il problema sotteso al pasticcio urbanistico della X legislatura.



FINALMENTE

UNA BUONA SENTENZA

La prima sezione della Cassazione civile ha pronunciato una sentenza d'importanza capitale (21 ottobre 1991, n.11133). Ancora più importante oggi, dopo il definitivo arenarsi della legge sul regime dei suoli.

La Cassazione ha infatti decretato che, in caso di esproprio di un'area per la quale uno strumento urbanistico formato a norma di legge prevede un vincolo di inedificabilità, l'indennità espropriativa non deve essere riferita ai valori di mercato conseguenti dalla potenzialità edificatoria, perchè l'edificabilità di quell'area è stata legittimamente cancellata.

Il compenso dovuto dal proprietario può invece tener conto delle utilizzazioni legittime in atto o possibili quali, esemplifica la sentenza, quelle per parcheggio, oppure per l'installazione di chioschi o di altre strutture mobili. (La sentenza è pubblicata e commentata sul Corriere giuridico, n.1/1992, con un acuto commento di Antonio Catalano).

Il fatto più rilevante è che la sentenza non si riferisce ai vincoli cosiddetti "ricognitivi" (quelli cioè derivanti dalla "ricognizione", e dalla puntuale individuazione, di beni appartenenti a categorie vincolate da una legge, come ad esempio i beni culturali o le emergenze naturalistiche). Essa si riferisce,nella fattispecie, a un vincolo cemeteriale, con argomentazioni che sono immediatamente e quasi meccanicamente estensibili a tutti i vincoli derivanti da leggi, e più in generale sono riferibili a qualsiasi vincolo posto dallo strumento urbanistico.

Singolare è infine che il Consiglio di Stato abbia fatto riferimento a un criterio di valutazione dell'indennità (quello basato sul valore derivante dalla utilizzazione legittima in atto) che è esattamente quello previsto dalla proposta di legge di riforma del regime degli immobili Cervati-Scano che l'Inu elaborò tra 1l 1979 e il 1983.

UN NEONATO, UN ALBERO,

QUATTRO AUTOMOBILI

Lo stesso giorno, il 28 gennaio 1992, sono uscite sui giornali due notizie, che la stampa non ha collegato.

Gli onorevoli Rutelli e ... hanno presentato una proposta legislativa che prevede l'obbligo che in ogni comune si metta a dimora, per ogni nuovo nato, un nuovo albero. Una proposta sacrosanta. Nell'ultimo secolo abbiamo così pesantemente impoverito il potenziale biologico del nostro pianeta, ne abbiamo così radicalmente compromesso e indebolito la capacità di rigenerazione, che ogni iniziativa volta ad aumentare, sia pur di poco, sia pur solo quasi simbolicamente, la produzione di ossigeno, è la benvenuta: va sostenuta, difesa, attuata.

L'altra notizia, nei titoli dei giorali, è anch'essa riferita ai neonati. Non si tratta di una promessa, ma di una realtà. Anzi, di una statistica. A Roma, ogni giorno, per un bambino che nasce vengono immatricolate quasi quattro automobili (per la precisione, 3,8).

Un bambino, un albero, quattro automobili. Così non ce la faremo mai. Se la motorizzazione privata prosegue con i ritmi attuali si potrà anche aumentare il numero di alberi da piantare per ogni nuovo nato. Non si troverà più posto per piantarli. Così come già, da molto tempo, nelle città non si trova più posto per passeggiare, poichè le strade i marciapiedi le piazze i viali sono otturati dall'orrida lamiera.

IL NUOVO ANTIREGIONALISMO

Dio sa se siamo teneri con le Regioni. Non abbiamo mancato di criticarne le inerzie, le pigrizie, il burocratismo. Non abbiamo mancato di denunciare il boicottaggio che gran parte di esse hanno esercitato nei confronti di quelle poche leggi di riforma che il Parlamento ha prodotto: dalla "legge Galasso" (in quante regioni vigono piani efficienti ed efficaci formati "con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali"?) alla nuova legge sull'ordinamento degli enti locali (sul fallimento della speranza dell'istituzione delle città metropolitana occorrerebbe pronunciare un'invettiva, non scrivere un articolo). E abbiamo anche sostenuto che il "nuovo regionalismo", di cui tanti parlano e che sembra dover contrassegnare la fase politica che si aprirà dopo le elezioni, ha senso se ha la sua premessa in una seria autocritica del modo (inerte, pigro, burocratico) in cui le regioni hanno fino ad ora funzionato.

Ciò detto, e confermato, noi non siamo perchè si facciano surrettiziamente passi indietro rispetto ai traguardi raggiunti.

Noi non siamo perchè si stravolgano le regole che esistono senza neppure riconoscerlo, surrettiziamente. Noi non siamo perchè alle regioni, quali che siano gli errori in cui sono incorse, si sottraggano clandestinamente i poteri e le competenze che la Costituzione ha affidato loro (bene o male che le esercitino).

Eppure, è proprio questo che è stato fatto non solo dagli onorevoli Botta e Ferrarini, firmatari della legge sull'intervento pubblico nell'edilizia residenziale, ma anche dal Parlamento che, a larga maggioranza, l'ha recentemente approvata.

E' una legge che disciplina cose che al Parlamento nazionale non spettano più, da quando è diventato operativo quell'articolo della Costituzione che attribuisce alle regioni la competenza legislativa in materia di urbanistica: come quando inventa nome, contenuto, finalità e procedure di un un nuovo piano urbanistico "progetto integrato d'intervento"). Con buona pace, tra l'altro, di quanti predicano la semplificazione, delegificazione, snellimento ecc. E' una legge che contraddice perfino una recentissima legge, come dicono gli esperti, di "rango subcostituzionale", quale è la legge 142/1990, poichè sottrae ai comuni la facoltà di approvare la neonata figura pianificatoria.

Si può dire tutto degli onorevoli Botta (DC) e Ferrarini (PSI);non che siano inesperti della disciplina che regola il settore (il primo, del resto è stato fino a ieri presidente della Commissione Ambiente della Camera, e il secondo era sottosegretario ai Llpp), e neppure che siano degli eversori.

Nemmeno si può dire che quello appena dissolto sia stato un Parlamento antiregionalista. Se allora le cose sono andate così, vuol dire davvero che la nebbia che grava sulle istituzioni è fitta come mai non è stata.

IN LIQUIDAZIONE

IL MEGLIO DI UN SECOLO

Fu agli inizi del secolo, dalla tradizione laburista e socialdemocratica della solidarietà operaia, che nacquero in Italia gli Istituti delle case popolari. Fu allora che iniziò, e poi via via si sviluppò, la storia dell'intervento pubblico nell'edilizia volto a consentire l'esercizio del diritto a un tetto per le classi e i soggetti meno abbienti. Nel tempo, si comprese sempre meglio che la finalità dell'edilizia residenziale pubblica non era solo, e neppure prevalentemente, quella di assistere (più o meno temporaneamente) le categorie sociali deboli.

Il ruolo dell'edilizia residenziale pubblica non era solo assistenziale, era anche strategico. Era un ruolo di possibile orientamento del mercato privato: ne avrebbe potuto condizionare (solo che si fosse provveduto a riformare le attuali strutture, portando a conclusione le iniziative legislative da tempo avviate) le tipologie, i sistemi costruttivi, i prezzi. Era un ruolo di possibile guida dello sviluppo urbano e della riorganizzazione della città: ruolo decisivo oggi, che la riqualificazione è divenuta obiettivo centrale e il risanamento urbanistico dei complessi pubblici (spesso a cerniera tra le aree centrali e i quartieri delle nuove periferie) potrebbe diventare davvero determinante. Ed era poi, soprattutto negli ultimi anni, la garanzia almeno oggettiva della presenza di uno stock di alloggi da assegnare in affitto: strumento essenziale dunque, in una società moderna, per una sufficiente mobilità dei soggetti sul territorio.

Tutto questo l'improvvida miopia dei governanti e l'opaca distrazione dei legislatori ha voluto cancellare, con i provvedimenti per la liquidazione del patrimonio pubblico (sia quello residenziale che quello demaniale) approvati mentre nel Palazzo risuonavano, sterili e devastanti, le "picconate". Chissà se c'è qualcuno che si è reso conto che, con quei provvedimenti, si liquidava il meglio di un secolo di Stato sociale.

Venezia, 1 febbraio 1992

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