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Edoardo Salzano
19580316 Gestione domestica e organizzazione del consumo
13 Febbraio 2009
Articoli e saggi
Forse la prima volta che ho affrontato il tema degli spazi pubblici. Un articolo scritto per Il Dibattito politico, anno IV, n. 107, 16 marzo 1958

Abbiamo spesso avuto occasione di accennare specialmente negli ultimi numeri della nostra rivista, ma non solo in quelli - alla questione dell’organizzazione del consumo. La fugacità degli accenni, peraltro, e la novità della questione, ci hanno procurato alcune lettere da parte dei nostri lettori. In esse ci si chiede di precisare, in modo meno indiretto ed allusivo di quanto ci è stato finora concesso dagli argomenti trattati- argomenti che ci portavano a toccare quasi marginalmente, e in apparenza addirittura perincidens, iproblemi del consumo e della sua organizzazione - sia che cosa per quest'ultima si intenda, sia perché una moderna e razionale strutturazione dei modi nei quali il consumo avviene - costituisca una inderogabile necessità per lo sviluppo della nostra economia e dell'intero sistema e. Ed infine ci è stata posta una questione più delicata e complessa: come sia possibile cioè, organizzare, specializzare, inserire in un contesto di economicità, un complesso di funzioni e di atti che interferiscono in modo o ed immediato con la famiglia - e dunque con la cellula più intima e riservata della società - senza impoverire e minacciare la sua esistenza.

Ma un equivoco vogliamo tentare anzitutto di dissipare, prima di provarci a chiarire i dubbi sollevati dai nostri lettori, e a rispondere alle questioni da essi poste. L'equivoco, cioè, nel quale si incorre da parte di taluni, di confondere l'organizzazione del consumo con quella della distribuzione. V'è infatti chi ritiene che l'ammodernamento dei modi nei quali avviene - in Italia – lo scambio; che lo sfoltimento radicale della catena distributiva; che l'intervento massiccio di quelle nuove strutture di mediazione tra produzione e consumo, di cui il self-service e il supermercato sono alcuni efficaci e vistosi esempi; che queste iniziative insomma possano portare ad una radicale trasformazione del consumo; che, anzi, ad esse possa senz'altro ridursi la questione dell'organizzazione del consumo.

In realtà. non abbiamo mai taciuto o sottovalutato l'importanza del momento distributivo, ed i lettori ce ne daranno facilmente atto. Abbiamo altre volte osservato, ad esempio, che un’efficiente ed agile rete distributiva pretende una produzione di un certo tipo: quella consentita da un sistema produttivo moderno, dal quale siano scomparse le forme attualmente prevalenti della piccola e piccolissima azienda, incentrate sul secco predominio del momento proprietario su quello imprenditivo. E tuttavia, ci sembra opportuno aggiungere adesso che è del pari necessario vedere che una moderna distribuzione, una distribuzione organizzata secondo moduli economici e rigorosi, non può assolutamente fare a meno di un'adeguata organizzazione del consumo.

Anche partendo dalla distribuzione, in altri termini, ci si rende facilmente ragione dell'obiettiva, autonoma, distinta esistenza della questione del consumo; ci si rende conto, in una parola, che un consumo organizzato in forme premoderne costituisce un muro invalicabile, un invincibile ostacolo, al pieno manifestarsi e all'espandersi delle più razionali tecniche e strutture distributive. Così, infatti; le iniziative ancora sporadiche di ammodernamento radicale - almeno sul piano tecnologico - vengono costrette a restare delle singolari curiosità, o al massimo delle manifestazioni ulteriori del privilegio della metropoli della consolidata sperequazione cioè tra le varie zone economiche e sociali che compongono il nostro paese.

Il consumo, cenerentola del capitalismo

Come avviene il consumo in Italia? E' facile rendersi conto di quanto esso sia legato strettamente alla vita familiare, e come esso subisca l'ordinamento rigidamente privatistico di questa. Una sola persona, priva di ogni oggettiva qualificazione tecnica, presiede alle innumerevoli incombenze della gestione domestica. La spesa, la scelta delle merci, la formulazione del bilancio e la suddivisione delle sue voci, la preparazione dei cibi, la pulizia della casa, delle stoviglie, la cura degli indumenti e la loro sostituzione, la sorveglianza dei minori anche ben oltre le necessità della partecipazione della donna all'equilibrio della vita familiare: questi sono solo alcuni dei compiti materiali svolti, ogni giorno, dalla casalinga. E però l'attività di quest'ultima, mentre da un lato è assolutamente empirica e non specializzata. dall'altro - e di conseguenza - avviene in forma del tutto gratuita. Essa è quindi, per un duplice ordine di motivi, completamente priva di ogni metro economico, di ogni ordine previsto, di ogni tecnica razionale, di ogni necessaria disciplina: il servaggio delle casalinghe - costrette ad una fatica di cui nessuna remunerazione è possibile - viene così a coprire, a nascondere, a rendere scarsamente avvertibile dall'opinione pubblica la reale e gravissima dispendiosità con il quale il servizio domestico viene gestito. Come meravigliarsi, dunque, se sono l'anarchia e l'individualismo le leggi dei consumo familiare? Eppure. come la produzione e lo scambio -- e di conseguenza la distribuzione - anche il consumo è un aspetto dell'attività economica, e dovrebbe sottostare alle leggi che di questa regolano l’esistenza. Ma il capitalismo - come più volte detto - è incentrato sulla produzione, ha nell’industria il suo cuore e il suo feticcio; è portato organizzare la distribuzione solo in quanto questa è l'aspetto finale del processo produttivo. E il consumo, il momento economico al quale - sul piano del diritto naturale - tutti gli altri sono subordinati, è invece lasciato completamente in balìa di forme compatibili solo «con l'economia chiusa del mondo feudale».

Un processo economico moderno, un processo economico che voglia utilizzare nel modo più completo, che voglia trasformare in valore tutta la potenzialità di lavoro di tutta la parte della popolazione capace di erogare forza-lavoro, che voglia quindi riportare sotto il segno rigoroso della legge dell’economicità, da un capo all’altro, l’intera catena percorsa dalle merci, non può in alcun modo ignorare il consumo, lasciare questo momento decisivo alle forme privatistico-familiari nelle quali esso oggi avviene.

Indubbiamente, in un momento in cui si sta uscendo - in tutto il mondo, nei modi più vari, con formule compromissorie o tendenzialmente rigorose, in modo radicale o con incertezze e remore più o meno, pesanti — dal privatismo e dall’indvidualismo produttivo, l’organizzazione del consumo è possibile solo attraverso la fuoruscita di tutto un settore della vita sociale delle formule privatistico-familiari.

Chi, ad esempio, abbia una qualche dimestichezza con l’urbanistica e l’edilizia può già scorgere decine di possibilità concrete, di strumenti già pronti all’uso, che potrebbero essere utilizzati per una nuova strutturazione dei consumi. Le lavanderie di caseggiato, le cucine comuni, i servizi specializzati di pulizia e manutenzione degli alloggi, i locali e” gli spazi estemi di gioco dei bambini, la razionale ubicazione dei servizi scolastici, dei mercati, degli altri servizi di quartiere, l’organizzazione degli ambienti di soggiorno, di ricreazione, di riunione comune: e ogni lettore potrà per suo conto continuare l’elencazione dei servizi, delle merci, di cui le attuali possibilità delle tecniche permettono un più razionale uso.

Le ragioni della famiglia

E' d'altra parte cosa verissima che la crisi nella quale l'istituto familiare versa, trova un qualche mascheramento appunto nella conduzione privatistico-familiare della gestione domestica. Si può affermare, in altri termini, che molte-famiglie il cui nucleo spirituale è venuto a spegnersi trovano oggi l'unico cemento, l'unico motivo di coesistenza, nella gestione dell'azienda economica «famiglia», nella sua base proprietaria, nel comune affrontare i pesi e le fatiche fisiche della sua esistenza.

Liberare la famiglia dalla gestione domestica condurrebbe dunque, su questo piano, a un duplice ordine di conseguenze. Da un lato, affrancando il nucleo familiare dai motivi più materiali, più fisicamente routiniers della sua vita, riverrebbero a porre in primo piano i motivi più profondi e perenni, le ragioni intime e fondamentali della sua esistenza. Dall'altro lato, tuttavia, una crisi che è ancora dissimulata e contenuta verrebbe in tal modo a esplodere; numerosissime sarebbero le famiglie oggi ancora esteriormente salde - una ripresa delle quali resta quindi pur sempre possibile - che, una volta rotto il guscio superficiale che dava loro una fittizia coerenza, verrebbero a dissolversi.

[…]

È facile intuire l’importanza economico-sociale e le condizioni politiche connesse alla prospettiva di un’efficiente organizzazione del consumo. Organizzare razionalmente il consumo ha certo, come prima, immediata conseguenza, la riduzione del suo costo: e non crediamo occorrano elaborate dimostrazioni per convincerne il lettore. Sono dunque vitalmente interessate alla questione forze sociali decisive, quali ad esempio quelle sindacali. Se infatti il fine precipuo del sindacato è quello di difendere, di affermare, la capacità di consumo del salariato, e se la logica del sistema capitalistico non permette, oltre certi limiti - i limiti pretesi dal profitto e, ancor di più, dalla necessità obiettiva di accumulare quote importanti del capitale - di aumentare la fetta di reddito che spetta al salariato, è chiaro allora che sarebbe una battaglia del tutto connaturale al sindacato quella condotta per una razionale organizzazione del consumo, attraverso la quale, a parità di salario, diviene possibile ottenere una maggiore capacità di consumo.

In secondo luogo, poi, l’affidare la gestione domestica a personale specializzato, che presta la sua opera contro regolari remunerazioni, permette la scomparsa di una categoria avvilita ed insofferente - quella delle casalinghe - la cui esistenza è cagione prima dell’attuale impossibilità di risolvere la questione femminile. La liberazione di milioni di donne dal peso materiale, soffocante, di una gestione domestica che è pesantissima per le forme in cui avviene, oltre a costituire una base necessaria per una piena emancipazione della donna (una emancipazione che non significa certo, riteniamo, indistinzione sul piano naturale dell’uomo e della donna, ma invece parità di condizioni materiali di partenza, uguale rapporto con la realtà economica), rende anche disponibile una massa di forza-lavoro - e dunque di creatori di valore - altrimenti condannati a faticare in modi dispendiosi e a-economici.

Ma può una società come la nostra, fondata su una struttura economica torpida e anarchica, nata per l’iniziativa prematuramente senile di una borghesia impotente, diretta da un personale politico incapace e arruffone permettere simili prospettive, utilizzare siffatti tesori nascosti? C’è, in altri termini, nel nostro sistema sociale, l’esigenza di liberare le grandi riserve esistenti di forza lavoro? Tutto ci risponde certamente di no. Nel quadro degli attuali equilibri politici, l’organizzazione del consumo - ove per avventura, a semplice titolo di ipotesi potesse in qualche misura realizzarsi - coinciderebbe fatalmente con l’estromissione brutale delle braccia superflue da attività nelle quali, bene o male, riescono oggi a sopravvivere. Per risolvere questo come altri decisivi problemi italiani, il privatismo conservatore è insufficiente, i costi da esso pretesi insopportabili.

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