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Tutti coloro che vogliono comprendere le motivazioni della inarrestabile cancellazione delle regole urbanistiche nel nostro paese dovranno leggere l’ultimo volume scritto da Edoardo Salzano, Memorie di un urbanista, l’Italia che ho vissuto, edito dal piccolo e prezioso editore La Corte del Fontego di Venezia (20 euro). Eddy Salzano, come noto, è uno dei grandi urbanisti italiani e una buona parte del libro narra proprio la stagione delle speranze degli anni ’70, quando all’interno del Ministero dei Lavori pubblici sotto la direzione di Michele Martuscelli furono insieme a lui coinvolti i migliori urbanisti e intellettuali dell’epoca, da Giovanni Astengo a Luigi Piccinato, da Antonio Cederna a Fabrizio Giovenale, da Marcello Vittorini a Vezio De Lucia.

Erano i primi anni del centro sinistra e fu l’epoca in cui furono portate in approvazione le principali leggi che formano ancora validi strumenti per il governo del territorio. La legge “ponte” del 1967 che scongiurò la manomissione dei centri storici. Il decreto sugli standard urbanistici del 1968 che sanciva il diritto di ciascun cittadino ad avere spazi per il verde e i servizi pubblici. Baluardi di una stagione riformista che si credeva definitiva. E furono anni davvero straordinari, perché il clima culturale favorito dall’azione statale aveva creato una feconda stagione di attenzioni verso il governo delle città, dai progetti di salvaguardia ai tanti piani regolatori che venivano redatti in quegli stessi anni. Lo stesso Salzano sarà in quegli anni chiamato a svolgere il ruolo di assessore all’urbanistica a Venezia. E lì inizia il lungo sodalizio con il giurista Gigi Scano con cui redige tra l’altro il piano regolatore della città storica.

Da questo apice, e cioè dalla metà degli anni ’80 inizia la fase della restaurazione. Il primo atto che inaugura l’involuzione culturale che ha imposto nel paese il rifiuto delle regole urbane è il condono edilizio del 1985. L’offensiva dei chierici si concentrò nella dimostrazione di un teorema tanto assurdo quanto vergognoso: l’abusivismo era figlio della “rigidità” delle regole urbanistiche che non permetteva la soluzione di problemi importanti come quello della casa. Invece di prendere a modello l’Europa civile dove, come noto, non esiste la cultura della trasgressione delle regole pubbliche, si strizzò l’occhio ai più primordiali istinti, come quello di poter disporre a piacere del proprio terreno, di essere, come avverrà con la nascita di Forza Italia, padroni a casa propria.

Il libro di Salzano racconta nel capitolo Verso il buio, tangentopoli e mani pulite di come si affermò questa involuzione culturale che in origine collocata esclusivamente all’interno dello schieramento politico e intellettuale conservatore, iniziò a far proseliti anche nel mondo progressista. Di quella stagione Eddy era un osservatore privilegiato, in quanto presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica. Di fronte alla sistematica demolizione delle prerogative della pubblica amministrazione, Salzano propose come tema per lo svolgimento del XIX congresso dell’istituto, alcune “tesi” su cui doveva rinnovarsi il ruolo di governo delle città e del territorio. Un lavoro ambizioso che aveva coinvolto centinaia di urbanisti ma che fu gettato alle ortiche dai pasdaran della restaurazione raccolti intorno a Giuseppe Campos Venuti.

E qui avvenne uno dei fatti cruciali della vita di Salzano e dell’urbanistica italiana. Non contenti di aver cancellato l’intero gruppo che ruotava intorno a lui, i fondamentalisti dell’urbanistica contrattata lo esautorarono anche dalla direzione del periodico dell’istituto, Urbanistica informazioni da lui fondata nel 1972 e che in tanti anni aveva saputo tenere insieme la denuncia civile dei misfatti perpetrati conto le città e il paesaggio e la riflessione sul rinnovamento della disciplina urbanistica. Era questo ruolo che evidentemente dava fastidio e così da un giorno all’altro Eddy fu costretto a lasciare la rivista. E’ ampiamente noto che i fondatori di uno strumento culturale anche in presenza di fisiologici cambi di direzione di testata vengono lasciati liberi di esprimersi ancora proprio in virtù dell’autorevolezza conseguita. In questo caso no. I nemici dell’urbanistica pubblica volevano soltanto impedire l’espressione di una voce libera.

Ma siccome spesso la tracotanza si accompagna alla miopia, fu questo gesto ad aver generato l’inaspettata diffusione della cultura urbanistica alternativa in tante pieghe della società: se infatti Urbanistica informazioni era limitata al mondo degli specialisti, la nuova avventura salzaniana avrebbe permeato pezzi importanti della società italiana.

Dopo la defenestrazione, Eddy ideò e costruì nella splendida solitudine veneziana Eddyburg, un sito che inizialmente (2003) conteneva –oltre alla prima sintetica documentazione in materia urbanistica- anche le foto delle età della sua vita, le ricette culinarie preferite e tante altre stupende cose. Impostazione questa che alle prime cavie costrette a frequentare il sito appariva al più come un geniale passatempo. Come si poteva coniugare infatti l’urbanistica con la ricetta della marmellata di arance?

Sbagliavano di grosso quelle prime incolpevoli vittime del sito: da lì a qualche anno Eddyburg sarebbe diventato il sito più visitato e autorevole dell’urbanistica italiana. Oggi non c’è amministratore, tecnico delle amministrazioni pubbliche, giornalista o uomo di cultura che non tragga da quel prezioso giacimento ispirazione per le proprie azioni quotidiane o per la maturazione di una autonoma posizione culturale in materia. E in questo periodo caratterizzato dal crollo della rappresentanza politica, Eddyburg è diventato anche uno dei principali punti di riferimento della rete del vasto mondo dei comitati che nascono in ogni luogo d’Italia contro il saccheggio del territorio e delle associazioni che portano avanti rivendicazioni di grande importanza.

Mi riferisco ad esempio a Stop al consumo di suolo, l’associazione guidata dal sindaco di Cassinetta di Lugagnano, Domenico Finiguerra, che associa i comuni che hanno deciso di dire basta alla fase dell’espansione urbana, alla Rete toscana per la difesa del territorio guidata da Alberto Asor Rosa, all’Arcipelago Napoli e tante altre meritorie associazioni che sarebbe lungo elencare. Insomma, in una fase ancora segnata dalla cultura neoliberista –in questi giorni il governo Berlusconi sta varando il quarto condono edilizio che rende sanabili anche gli abusi compiuti in aree sottoposte a vincolo paesistico e ambientale- Eddyburg è una grande officina di formazione di una nuova cultura di governo del territorio che non tarderà ad affermarsi nel nostro paese. Una cultura che individua nella città uno straordinario bene comune il cui destino deve essere affidato nelle mani della società civile e non della speculazione.

E, dopo i tanti meriti acquisiti nel corso degli anni - puntualmente elencati nel bel libro-, sarà questo il più importante successo di Edoardo Salzano.

«La figura dell´urbanista è simile a quella del diplomatico, nel senso che per nessuno dei due è pensabile un lavoro al servizio del privato». È questa la convinzione di Edoardo Salzano, ottant´anni appena compiuti, professore a Venezia, dove è stato anche assessore, artefice del piano paesaggistico della Sardegna consule Renato Soru e, ora che è in pensione, promotore di eddyburg.it diventato il più importante e consultato sito per chi si occupa di urbanistica e territorio. 
Salzano ha appena mandato in libreria Memorie di un urbanista. L´Italia che ho vissuto

. È un libro di politica e di storia intellettuale. Salzano, napoletano (nel lungo prologo compare il ricordo sorridente del nonno, Armando Diaz), appartiene alla stessa generazione di Italo Insolera, di poco più giovane di Leonardo Benevolo. D´accordo con loro, ma anche in dissenso, ha condiviso le aspettative dell´urbanistica italiana dopo la frana di Agrigento (1966), quando si scoprì - loro, però, lo sapevano - che il dissesto del paese non era frutto del caso o di una natura matrigna, ma del modo in cui si era costruito dopo la guerra e del modo d´essere del paese.

L´aver messo al centro dello sviluppo il mattone e l´edilizia era un´anomalia italiana e il prodotto di un´arretratezza imprenditoriale che si faceva forte più della rendita che non del profitto d´impresa. 
Salzano si è fatto promotore di riforme che al tempo si chiamavano "di struttura", perché incidevano nel corpo vivo dei rapporti economici e sociali. Si è impegnato nel Pci (la sua formazione avvenne con Franco Rodano e Claudio Napoleoni), nel consiglio comunale di Roma e poi, da assessore a Venezia, ha elaborato un piano per il centro storico della città lagunare attento a evitare che la città diventasse un suk per turisti. 


Ora Eddyburg raccoglie il lievito di queste esperienze e soprattutto le elaborazioni culturali che lì sono maturate. Ma continuamente le aggiorna, le confronta con le più avanzate realtà internazionali e ne fa la linfa per una scuola aperta a giovani pianificatori. Eddyburg si mette anche all´ascolto dei tanti comitati che sorgono in ogni parte del paese e che esprimono sofferenza per le vessazioni di un territorio, avanzando proposte che quasi mai trovano sbocco nella rappresentanza politica.

Il fulcro delle riflessioni, nel sito come nel libro, è l´idea che la città e il territorio sono un bene comune, a disposizione di interessi collettivi, e non sono merce, non si contrattano. Di questo è garante - dovrebbe essere garante - proprio l´urbanista. Non siamo "tecnici", dice congedandosi dai lettori, ma intellettuali, portatori di un sapere specialistico, che intreccia altri saperi, si proietta su uno sfondo ampio e sia capace di incidere e trasformare. 
In gioco c´è un territorio come quello italiano che versa in condizioni preoccupanti, molto più di altri territori europei, a causa, scrive Salzano, della fragilità morfologica e idrogeologica, della densità di testimonianze della storia, presenti nel paesaggio urbano e in quello inedificato, e a causa, ancora, della sregolata disseminazione di costruzioni cresciuta prepotentemente nell´incuria di governi nazionali e locali.

Edoardo Salzano, Memorie di un urbanista. L’Italia che ho vissuto, Corte del fòntego editore, Venezia 2010, 240+XLVII pagine, 20,00 €

Può essere acquistato in libreria oppure direttamente dall’editore, al seguente indirizzo: cortedelfontego@virgilio.it

In calce potete scaricare l’indice del libro e la scheda editoriale.

Più che il titolo, Memorie di un urbanista è il sottotitolo, L'Italia che ho vissuto, a descrivere meglio il nuovo libro di Edoardo Salzano, perché è nel suo modo di esercitare la professione di urbanista, come uno strumento «politico» nel senso più ampio della parola, e nella sua capacità di dare al proprio lavoro la pienezza di una scelta di vita, che la vicenda personale trova il respiro di un lungo tratto di storia, italiana e non solo. Mentre d'altronde la Storia, quella fatta e vissuta da tutti, non perde mai il tocco e il colore di un racconto saldamente agganciato agli accadimenti e agli umori dell'autore. Umori che, del resto, Salzano non solo non nasconde, ma sottolinea, dedicando non a caso ai suoi primi vent'anni un prologo, in cui racconta un affaccio all'esistenza di grande privilegio.

Poi, inevitabilmente, la guerra, le bombe, lo sfollamento, fughe e macerie, racconti della resistenza, manifestazioni operaie, una cultura in grande fermento, il cinema. E, finalmente, il confronto ravvicinato con «una storia che si era svolta accanto alla mia vita». Comincia qui la partecipazione diretta e appassionata alla politica e appunto alla «storia», che però matura lentamente.

Negli anni Salzano va attrezzandosi per «affrontare l'analisi della città, nel tentativo di individuare le ragioni della sua crisi e le possibili vie di un suo rinnovamento»: non, come troppo sovente accade, isolando il problema, bensì partendo dalla conoscenza della società nel suo complesso, e dunque da quella solida consapevolezza politica che è imprescindibile premessa alla difesa del territorio, già aggredito da una speculazione che nell'arco di alcuni decenni avrebbe comportato incontrollate e gigantesche dilatazione dei complessi urbani, con un vero e proprio stravolgimento delle città.

Individuato l'oggetto centrale del suo impegno politico, Salzano lo traduce in una appassionata militanza, che passerà per una lunga serie di incarichi capaci di sfiorare tutti i principali accadimenti della storia italiana, senza mai abbandonare la propria battaglia contro il degrado urbano, via via alimentato dal crescente consumismo fine a se stesso, da un turismo privo di ogni controllo, dal pauroso aggravarsi della crisi ecologica, fenomeni sistematicamente ignorati dalle sinistre. Una battaglia che Salzano ha portato avanti anche attraverso incarichi di responsabilità e di prestigio, soprattutto a Venezia, in questa eccezionale e fragile città afflitta da problemi legati all'unicità del suo stesso ecosistema e aggravati da insensate pretese di «soluzione», da sconsiderate politiche del turismo, dal sempre più aggressivo assalto del cemento, dal pauroso squilibrio ambientale.

Ma il maggior fascino del libro sta nel rapporto dell'autore con la vita in sé, che gli ha consentito di affrontare il lavoro, la politica, gli impegni culturali, gli affetti, con una positività che non coincide con l'ottimismo di maniera bensì con la certezza della propria battaglia per «la città come bene comune», e «contro un'urbanistica omogenea e funzionale al neoliberismo». Il folto gruppo di collaboratori di grande livello che da sempre gli sono accanto ne è la migliore dimostrazione. Sempre nel segno di questa instancabile voglia di utilizzare al meglio la propria vita si colloca la nascita di «eddyburg.it», il sito web che Salzano ha fondato nel 2003 e che redige personalmente. Vi firma pregevoli scritti sulla propria materia, e vi pubblica contributi relativi alle più diverse problematiche della situazione sociale e politica mondiale: sempre nella consapevolezza che città, territorio, la loro pianificazione e il loro governo, non possano prescindere dalle logiche più generali e da proiezioni nel futuro. E in questa prospettiva è nata una Scuola di Eddyburg, che organizza seminari e incontri, allenando al meglio giovani cervelli e coscienze.

La recensione pubblicata sul manifesto è stata molto ridotta per esigenze editoriali. Grazie all’Autrice ne riportiamo qui il testo integrale.

Il titolo è: “Memorie di un urbanista”. Ma è il sottotitolo, “L’Italia che ho vissuto”, quello che descrive meglio il nuovo libro di Edoardo Salzano (Ed. Corte del Fontego”). Perché è nel modo di essere urbanista dell’autore, nella sua capacità di dare al proprio lavoro la pienezza di una scelta di vita, e di esercitare la professione come uno strumento “politico” nel senso più ampio della parola, che la vicenda personale trova il respiro di un lungo tratto di storia, italiana e non solo. Mentre d’altronde la Storia, quella con la maiuscola, quella fatta e vissuta da tutti - che del libro è parte integrante - non perde mai il tocco e il colore di un racconto saldamente agganciato agli accadimenti e agli umori dell’autore; perfino conservando un filo di elegantissimo snobismo che tradisce la sua origine di napoletano alto-borghese.

Cosa che d’altronde Salzano non solo non nasconde, ma sottolinea, non a caso proprio ai suoi primi vent’anni dedicando un prologo di una quarantina di pagine, intitolato “La lunga infanzia”: in cui ampiamente racconta un affaccio all’esistenza di grande privilegio, tra preziose dimore avite, cuochi di classe e governanti straniere, scuola dai Gesuiti, vacanze tra Capri e Cortina, feste con alta nobiltà (perfino con partecipazione di personaggi Savoia) ma anche di celebri intellettuali (basti ricordare Croce); il tutto dominato dalla figura del nonno, il Generale Armando Diaz, “Duca della Vittoria”, che il bambino Salzano amava molto, e ama ancora. Poi, inevitabilmente, la guerra, le bombe, lo sfollamento, fughe e macerie, e tra una vicenda e l’altra la perdita del patrimonio famigliare; e via via l’incontro con realtà fin’allora ignorate, racconti della resistenza, manifestazioni operaie, una cultura in grande fermento, il cinema italiano che parlando di tutto questo dava il meglio di sé: finalmente il confronto ravvicinato con “una storia che si era svolta accanto alla mia vita”.

E qua incomincia la partecipazione diretta e appassionata alla politica e appunto alla “storia”. Che però matura lentamente. Eddy si iscrive a Ingegneria (a Roma, dove frattanto si era trasferito), ma incomincia anche a frequentare ambienti di sinistra, incontrandone personaggi di massimo rilievo (Franco Rodano, Mario Melloni, Giuseppe Chiarante, Lucio Magri, Claudio Napoleoni, ecc.), collabora a numerose riviste (“Dibattito politico”, “Nord e sud”, “Il Contemporaneo”, “La Rivista Trimestrale”, ecc.); attivamente partecipa a vari lavori di gruppo. E’ così che via via, forse senza nemmeno avvertirlo, va attrezzandosi per “affrontare l’analisi della città, nel tentativo di individuare le ragioni della sua crisi e le possibili vie di un suo rinnovamento”. Non, come troppo sovente accade, isolando il problema ed eleggendolo a proprio unico oggetto di interesse e riflessione, bensì individuandone i modi e le cause, proprio a partire dalla conoscenza del sociale nel suo complesso, e dunque da una solida consapevolezza politica come imprescindibile premessa alla difesa del territorio, già aggredito da una speculazione che nell’arco di alcuni decenni avrebbe comportato una incontrollata gigantesca dilatazione dei complessi urbani: non solo con la moltiplicazione abusiva di lontane desolate periferie, ma con un vero e proprio stravolgimento di città tutte dotate di una loro fisionomia e un loro senso, testimoni di una storia, portatrici di valori e culture che andrebbero rispettati.

A questo punto Salzano, individuato l’oggetto centrale del suo impegno politico, ne fa una appassionata militanza che passerà attraverso una lunga serie di incarichi che è qui impossibile anche solamente citare, ma che in qualche misura attraversano o sfiorano tutti i principali eventi della storia italiana: dal Sessantotto, alla costante crescita del Pci a cui Eddy a un dato momento si iscrive, con entusiasmo sostenendo l’austerità berlingueriana; fino al craxismo e a Tangentopoli, e all’inarrestabile involuzione delle sinistre… Senza mai abbandonare la propria battaglia contro il degrado urbano, via via alimentato da un crescente consumismo fine a se stesso, da un turismo privo di ogni controllo, dal pauroso aggravarsi della crisi ecologica planetaria: tutti fenomeni dalle sinistre ahimé praticamente ignorati.

E’ una battaglia che Salzano ha portato avanti anche attraverso incarichi di responsabilità e prestigio: al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e alla Direzione Generale dell’Urbanistica; al Consiglio Comunale di Roma; nella Giunta Comunale e insieme all’Istituto di Architettura dell’Università di Venezia, dove si è trasferito sui primi anni Settanta, e dove tuttora risiede. Ed è qui (in questa eccezionale e fragile città, afflitta da problemi enormi legati all’unicità del suo stesso ecosistema, ma via via aggravati da insensate pretese “soluzioni”, da una sconsiderata politica del turismo di massa, dal sempre più vicino e aggressivo assalto del cemento, oltre che dal via via più pauroso squilibrio ambientale) che Eddy ha combattuto, e più volte vinto, le sue battaglie più impegnative e appassionanti. Mentre dalla cattedra di “Pianificazione del territorio” andava seducendo e allevando una convinta e combattiva schiera di allievi.

Una storia affascinante, come anche questa breve e incompleta notizia che ne ho dato credo lasci immaginare. Forse soprattutto però il fascino di questo libro è nel rapporto dell’autore con la vita in sé. Che gli ha consentito di attraversare positivamente anche periodi tutt’altro che facili; che, prima di aver individuato quello che sarebbe stato l’impegno centrale del suo futuro, lo ha indotto ad accettare una serie innumerevole di lavori non importa quali per tirare avanti, sempre però riuscendo a capovolgerne il senso e l’utilità, ricavandone momenti di soddisfazione e lezioni di vita; che da ogni situazione, incontro, confronto, lo portava a ricavare il meglio, in arricchimento mentale e affettivo; che anche nelle inevitabili sconfitte politiche (bocciature di sue proposte, prevalere di progetti da lui giudicati negativamente) prontamente gli suggeriva il modo di aggirare la situazione e riproporre le proprie idee. Di fatto senza mai arrendersi, vivendo lavoro, politica, cultura, affetti, con una positività che non è l’ottimismo di maniera del “bicchiere mezzo pieno”, ma la certezza della propria battaglia per “la città come bene comune”, e “contro un’urbanistica omogenea e funzionale al neoliberismo”. Il folto gruppo di collaboratori di grande livello che da sempre gli sono accanto (basti ricordare Vezio De Lucia, Paolo Berdini, Lodo Meneghetti) ne è la migliore dimostrazione.

Sempre nel segno di questa instancabile voglia di utilizzare al meglio la propria vita si colloca la nascita di Eddyburg, il sito web che Salzano ha fondato nel 2003, al momento della pensione. Lo dirige personalmente, e non solo regolarmente vi firma pregevoli editoriali sulla propria materia, ma (e questo è il più insolito e a mio parere più qualificante carattere dell’iniziativa) pubblica contributi, sovente con firme di prestigio, relativi alle più diverse problematiche della situazione sociale e politica mondiale: sempre nella consapevolezza che città, territorio, la loro pianificazione e il loro governo, non possono prescindere dalle logiche che presiedono al mondo e al suo futuro. E in questa stessa linea che ha segnato tutta la vita e l’opera di Salzano, da diversi anni è nata anche una Scuola di Eddyburg, che organizza seminari, incontri, vacanze di studio, allenando al meglio giovani cervelli e coscienze.

Una vita da invidiare. Un libro da leggere.

Pubblichiamo di seguito il testo originale inviatoci dall'autore della recensione. E' stato pubblicato su la Nuova Sardegna con qualche taglio per ragioni di spazio (il testo pubblicato sul giornale è In calce). La recensione è stata pubblicata anche sul sito Sardegna democratica , dove ha avuto alcunicommenti alla recensione, al libro e adeddyburg.it

.Edoardo Salzano ha appena pubblicato Memorie di un urbanista, Corte del Fontego, Venezia, pp.240. Il volume esce in occasione dei suoi ottant'anni compiuti il mese scorso, festa a Ca' Tron, sede prestigiosa dello Iuav dove ha insegnato fino a pochi anni fa. Discorsi augurali di Paolo Cacciari e Amerigo Restucci, tantissimi gli amici arrivati da ogni parte d' Italia.

L'autobiografia è un genere letterario retrospettivo, la storia di una vita che rilegge le passate vicende personali in relazione al resto. E però in questo libro lo sguardo all'indietro è recalcitrante, esce dalle introspezioni e si sbilancia molto, anzi moltissimo in avanti. C'è il passato dell'urbanistica nel racconto di Salzano, ma molte vecchie questioni travalicano il loro tempo per agganciare il presente (spesso perché rimaste senza soluzione).

Si rivela lo stile di vita di Salzano, i modi del suo coinvolgimento, i tanti ruoli svolti: intellettuale-militante, docente, amministratore pubblico, progettista, soprattutto divulgatore appassionato. Impossibile, credo, un'ottica più privilegiata, difficile raccontare bene l'urbanistica italiana dell'ultimo mezzo secolo senza la conoscenza di ogni rotella del suo meccanismo. Senza il trasporto emotivo, senza quel sentimento tra rammarico e delusione, che ti tocca se non stai alla finestra – per ciò che non è stato e ciò che poteva essere – il libro perderebbe molto del suo fascino. Così le memorie di Salzano assumono una carica eloquente, “...con la vecchiaia i ricordi ritornano. E diventano importanti: non più aneddoti che racconti per fare sorridere gli amici ma ragioni di vita, possibili chiavi per comprendere te stesso”.

Ho conosciuto Salzano in occasione di una sua sconfitta: il congresso Inu di Milano del 1990, ( era all'epoca presidente dell'Istituto); una sconfitta bruciante, mai raccontata con iattanza, come poteva essere nel senno di poi. Era stato il principale bersaglio dei “modernizzatori” che alimentavano quel clima gelatinoso – come si dice oggi. Aveva offerto agli avversari il terreno del confronto, o dello scontro, su argomenti nodali, per fare chiarezza: l’efficacia del sistema di pianificazione e il rapporto pubblico -privato, l' “urbanistica contrattata”, insomma l'intrico di questioni che un paio di anni dopo risultarono centrali nell’inchiesta giudiziaria che svelò Tangentopoli. La maggioranza dell’Inu preferì sorvolare e la rottura con Salzano fu inevitabile.

Una fase importante della sua esperienza; illuminante per spiegare il gran daffare di certa politica per allentare le regole. La politica, con rare eccezioni, non ha mai posto adeguata attenzione ai temi del governo del territorio, e pure la sinistra (non mancarono avvisaglie nel Pci ) negli ultimi anni si è concessa troppe licenze trasversali. Così della debolezza dell'urbanistica – gli insuccessi che la legano a quelli della sinistra – si parla in varie parti del libro. Nello sfondo l'idea della “politica come attivazione morale”, probabilmente suscitata dalle frequentazioni con Franco Rodano, che si trasferisce nel progetto di buon governo della città.

I ricordi vanno dagli anni della infanzia a Napoli, con i richiami al lignaggio (è nipote del generalissimo Armando Diaz, duca della Vittoria), a quelli degli studi a Roma, all'impegno politico nella capitale, al trasferimento a Venezia, alle successive avventure tutte dense di implicazioni descritte con precisione nei quindici capitoli del libro; fino alla constatazione, ampiamente prevista, dei successi dell'urbanistica neoliberista, delle deleterie conseguenze sui beni comuni specialmente sul paesaggio del Belpaese.

Per contribuire ad arginare questo processo nel 2003 nasce eddyburg.it, un sito di successo che dirige e che prende grande buona parte del tempo di Salzano. Eddyburg “si occupa di urbanistica, società, politica (urbs, civitas, polis) e di argomenti che rendono bella, interessante e piacevole la vita”; conta su un gruppo affiatato di collaboratori e su alcune migliaia di accessi al giorno che crescono continuamente, segnale di attenzione pure tra i non addetti ai lavori. E' il tratto più innovativo e dinamico dell'opera di Salzano che intuisce tempestivamente la sovranità di internet, in grado di fare interagire reti di comitati per la difesa del territorio in tempi tali da impensierire l'urbanistica mainstream.

Uno degli ultimi impegni di Salzano è stato dedicato alla Sardegna, al Piano paesaggistico voluto dal governo di Renato Soru che lo ha chiamato a fare parte del comitato scientifico incaricato di fornire indirizzi per la redazione dello strumento portato ad esempio in Europa. Al paesaggio sardo si è appassionato fino al punto di tornare in Sardegna, anche dopo l'impegno per il Ppr, per capire i rischi per l'isola, visti i programmi sempre più espliciti di rendere marginali gli effetti della pianificazione. Una ragione in più per fargli gli auguri da queste pagine.

Segue il testo da la Nuova Sardegna del 25 marzo 2010

Edoardo Salzano ha appena compiuto ottant’anni. E’ stato tra i protagonisti della storia dell’urbanistica in Italia. Storia che, nei suoi tratti essenziali, ritroviamo ora in un libro, « Memorie di un urbanista», appena pubblicato dalla veneziana Corte del Fontego.

C’è il passato dell’urbanistica nel racconto di Salzano, ma molte questioni di anni lontani travalicano il loro tempo per agganciare il presente. Si rivela lo stile di vita di Salzano, i modi del suo coinvolgimento, i tanti ruoli svolti: intellettuale-militante, docente, amministratore pubblico, progettista, soprattutto divulgatore appassionato. Impossibile, credo, un’ottica più privilegiata, difficile raccontare bene l’urbanistica italiana dell’ultimo mezzo secolo senza la conoscenza di ogni rotella del suo meccanismo. Senza il trasporto emotivo - senza quel sentimento tra rammarico e delusione per ciò che non è stato e ciò che poteva essere - il libro perderebbe molto del suo fascino.

Ho conosciuto Salzano in occasione di una sua sconfitta: il congresso Inu (Istituto nazionale di urbanistica) di Milano del 1990 (era all’epoca presidente dell’Istituto). Una sconfitta bruciante, mai raccontata con iattanza, come poteva essere nel senno di poi. Era stato il principale bersaglio dei «modernizzatori», che alimentavano quel clima gelatinoso, come si dice oggi. Aveva offerto agli avversari il terreno del confronto, o dello scontro, su argomenti nodali, per fare chiarezza: l’efficacia del sistema di pianificazione e il rapporto pubblico-privato, l’ «urbanistica contrattata», insomma l’intrico di questioni che un paio di anni dopo risultarono centrali nell’inchiesta giudiziaria che svelò Tangentopoli. La maggioranza dell’Inu preferì sorvolare e la rottura con Salzano fu inevitabile.

Una fase importante della sua esperienza; illuminante per spiegare il gran daffare di certa politica per allentare le regole. La politica, con rare eccezioni, non ha mai posto adeguata attenzione ai temi del governo del territorio, e pure la sinistra (non mancarono avvisaglie nel Pci) negli ultimi anni si è concessa troppe licenze trasversali. Così della debolezza dell’urbanistica - gli insuccessi che la legano a quelli della sinistra - si parla in varie parti del libro. Nello sfondo l’idea della «politica come attivazione morale», probabilmente suscitata dalle frequentazioni con Franco Rodano.

I ricordi vanno dagli anni della infanzia a Napoli - con i richiami al lignaggio (è nipote del generalissimo Armando Diaz, duca della Vittoria) a quelli degli studi a Roma, all’impegno politico nella capitale, al trasferimento a Venezia, alle successive avventure tutte dense di implicazioni descritte con precisione nei quindici capitoli del libro. Fino alla constatazione, ampiamente prevista, dei successi dell’urbanistica neoliberista, delle deleterie conseguenze sui beni comuni specialmente sul paesaggio del Belpaese.

Per contribuire ad arginare questo processo nel 2003 nasce «eddyburg.it», un sito web di successo che dirige e che grande parte del tempo di Salzano. Eddyburg «si occupa di urbanistica, società, politica (urbs, civitas, polis) e di argomenti che rendono bella, interessante e piacevole la vita»; conta su un gruppo affiatato di collaboratori e su alcune migliaia di accessi al giorno che crescono continuamente, segnale incoraggiante di attenzione pure tra i non addetti ai lavori.

Uno degli ultimi impegni di Salzano è stato dedicato alla Sardegna, al Piano paesaggistico voluto dal governo di Renato Soru che lo ha chiamato a fare parte del comitato scientifico incaricato di fornire indirizzi per la redazione dello strumento portato ad esempio in Europa. Al paesaggio sardo si è appassionato fino al punto di tornare in Sardegna, anche dopo l’impegno per il Ppr, per capire i rischi per l’isola visti i programmi sempre più espliciti di rendere marginale e di attenuare gli effetti della pianificazione. Una ragione in più per fargli gli auguri.

L’Italia delle città e dei territori nella vita di Edoardo Salzano. I sogni e le lotte di un ribelle pragmatico

Qualche tempo fa Edoardo Salzano confidava che essere anziano é ricordare molte cose. Queste molte cose le racconta, ora, che ha raggiunto ottanta anni, in un volume. Sono così anche nostre. Il significato più vero di ogni autobiografia non sta, infatti, nel mettere in fila, un dopo l’altro, gli avvenimenti per rendercene partecipi? Lui li organizza e seleziona per continuare a porre domande che, da instancabile didatta, ha scoperto - ora sappiamo fin da giovanissimo - essere l’unico modo possibile di fornire qualche risposta.

“Memorie di un urbanista. L’Italia che ho vissuto”si rivela subito per quello che è: una fila ininterrotta di questioni legate al nostro abitare; quindi alla nostra vita. Nel libro, la parola utopia che tanto ha affascinato e sedotto i suoi coetanei urbanisti compare solo nell’ultima pagina ricordando l’ammonizione di Claudio Napoleoni “Posti a un livello minore i problemi non hanno risposta”. Salzano ha definito da subito, questo livello: quello che coincide con l’esistente. La maggior forma di utopia è rappresentata dall’usare ciò che abbiamo in modo diverso. Credo sia questo il suo metodo, non solo disciplinare.

A Salzano è capitato, in aggiunta, il doversi confrontare con un esistente continuamente attaccato e contraddetto da chi, sempre ovviamente in nome delle magnifiche forme del progresso e dello sviluppo [struggenti sono le pagine in cui si scopre la deriva della sinistra in materia di incomprensione dei fenomeni urbani], vedeva nel territorio il luogo materiale e immateriale per organizzare le proprie scorribande immobiliari. Eddy, come lo chiamano gli amici, è tra i pochi che, nel raccontare l’Italia che ho vissuto, possa permettersi di chiedere al lettore non di condividere il suo pensiero, quanto piuttosto di chiedere subito come, allora a chi c’era, ha vissuto gli avvenimenti della sua narrazione e - questo vale per i più giovani - come, avendone l’età, si sarebbero comportati di fronte quei medesimi avvenimenti.

Il volume racconta l’Italia che ha incontrato e i numerosi territori attraversati come amministratore, come docente, come urbanista. Molteplici i mezzi usati per interrogarli, studiarli e, solo dopo, raccontarli. Prima ancora del progetto; non certo al posto del progetto. È chiaro leggendo queste pagine, che Eddy ha scelto di essere urbanista per prendere parola. Per confrontare il proprio pensiero, per ascoltare, per raccogliere le parole vere tra le tante che ci circondano, per valutarle tutte prima di escluderle e raggiungere l’indignazione per quello che i più, giorno dopo giorno, hanno reputato [reputano] se non proprio normale sicuramente inevitabile o come, usando il massimo dell’ipocrisia possibile, il male minore. Indignandosi Eddy è riuscito a tirarsi fuori da quella sindrome che spesso ci prende; che ci porta nell’ordine: prima a dire che dobbiamo reagire, quindi a bloccarci a lungo sul come fare per, poi, non combinare nulla e decidere così di lasciare gli altri andare avanti come se niente fosse.

Lui non ha mai mollato. Ma Eddy non è, ne è mai stato, un intransigente del no, perché ha sempre tentato con la parola, fino all’ultimo momento possibile, di rendere evidente quello che sarebbe potuto accadere. A far saltare fuori il punto esatto in cui veniva sferrato l’attacco al territorio, al corpo stesso della città, dalle campiture dei piani regolatori, dalle tavole degli architetti, dai disegni dei potenti di turno, dalle proposte della cosiddetta valorizzazione, dalla melina avvolgente dei media compiacenti, da ogni forma di ricatto, a partire da quello “occupazionale”, dalle imboscate delle e all’interno delle formazioni politiche. Sapendo bene che, se non estirpato in tempo, il bubbone - come è avvenuto - si sarebbe presto propagato. Il libro mette in fila tutti i devastanti bubboni esplosi a partire dal finire degli anni sessanta; ne misura le intensità; ne registra i motivi della nascita, il lavoro di chi ha voluto trasformare questi motivi in astratte ragioni, ne determina spietatamente le conseguenze.

Nel descrivere i reali, dirompenti esiti, l’ingegner Salzano, da allievo e collaboratore di Franco Rodano, non dimentica l’importanza di introdurre un nuovo punto di vista per controbattere l’avanzata della “società del superfluo”. Lo trova progettando la città come bene comune. È la leva su cui poggiare per una diversa narrazione del mondo che vorremmo abitare dove, come nella storia che racconta, la “sua” storia, debbono finalmente trovare posto le forme della produzione umana anche immateriali quali la creatività, i saperi, gli affetti, le relazioni sociali.

Eddy insiste sulla necessità di saper scegliere le parole. Sulla necessità del glossario. Per trovare le “parole per dirlo”. Per costruire città dove non ci sia esclusione né recinti, esaltando singole differenze e identità, alla ricerca continua della prossimità con gli atti della vita quotidiana. Al contrario,quando si vuole cancellare la vita di chi abita la città, si offrono sul mercato, privatizzandoli, proprio tutti quegli elementi di socialità che in precedenza erano stati tenacemente soppressi. Salzano mostra che nel tempo disastri epocali [non solo fisici, ma per questo non meno devastanti] si sono intrecciati con territori resistenti, e ci pone una domanda precisa: tu da che parte stai? Così ti ritrovi nel bel mezzo del golpe contro la riforma del regime dei suoli, alla frana di Agrigento, alla battaglia per il decreto sugli standard. O ancora ad affrontare la piaga dell’abusivismo, nei grandi scioperi che hanno posto la questione urbana del 1969. O a riproporre lo studio di una nuova forma urbis a Venezia e all’aver impedito la scomparsa della stessa città affossando l’Expò 2000. A combattere l’urbanistica liberista a sognare di fronte alle forme di resistenza dei movimenti.

Salzano, ricordandosi di essere maestro, ci indica una possibile sopravvivenza: scoprire nuovi interlocutori e il protagonismo sociale, che emerge dai territori. Per“farci riconoscere chi e cosa in mezzo all’inferno non è inferno” [Calvino]. È per questo, mi piace pensare, che nel suo glossario non compaia quale alternativa a “consumo di suolo” la parola - oggi must - “densificazione” o quella, ancor più pericolosa, “interventi su aree extra standard”. Salzano ci dice che la scommessa della sopravvivenza della stessa città risiede nel saper ancora legare gli spazi alle persone.

Buon compleanno Eddy.

Di solito il regalo lo si fa a chi compie gli anni, ma questa volta il dono è venuto dal festeggiato. In occasione dei suoi ottant’anni Edoardo Salzano ha pubblicato Memorie di un urbanista, Corte del Fontego, Venezia, pp.240. Un regalo a figli e nipoti, amici e discepoli, cultori della materia e storici ma anche a quanti volessero controllare la posizione del proprio “sestante ideologico”, strumento di navigazione inventato dall’autore per indicare la rotta politica tracciata dai propri pensieri.

Ho letto da qualche parte che l’autobiografia è un modo di andare verso sé stessi. Il racconto della propria vita (ed Eddy lo fa a partire dalla prima infanzia napoletana) è anche “ri-significazione della propria esperienza in una trama di relazioni e di genealogie” (Maria Annunziata Tentoni, L’ospitalità della scrittura, Teuth, Rimini, 2009) che, nel caso di Salzano, sono molte, calde e sapienti. Con la sua famosa ascendenza, Eddy, un po’ ci gioca, un po’ ci tiene. Un po’ dissacra i salotti domestici frequentati da principi, baroni, marchesi, cardinali e, soprattutto, generali (essendo il suo nonno materno nientepopodimeno che Armando Diaz, il Maresciallo d’Italia, il Duca della Vittoria che riscattò Cadorna, sebbene al prezzo di una spietata repressione dei disertori e dei soldati allo stremo), un po’ si compiace del suo carattere apparentemente distaccato e aristocratico. Ma chi scrive per raccontarsi - dicono sempre gli psicoanalisti – ripensa il proprio passato in chiave evolutiva.

In effetti, il “nuovo racconto” di Edoardo Salzano non è affatto né nostalgico, né celebrativo, ma è un ausilio a prendere le giuste distanze dal passato per ricominciare con nuovo slancio l’impegno della vita. Vale a dire che questo navigato cattedratico, affermato professionista, saggista di successo… continua in realtà ad essere fresco di testa come un ragazzino e a scoprire (venuto a meno ormai da tempo il suo antico amore – il Partito Comunista Italiano) l’antagonismo dei movimenti altermodialisti, i conflitti territoriali, i Social forum, la stretta collaborazione con Carta. (Nel corredo fotografico del libro c’è una foto che lo ritrae a Vicenza insieme ad Alberto Magnaghi a reggere uno striscione con su scritto: “Urbanisti contro la base Usa”. Va anche ricordato che nei giorni scorsi Salzano è stato eletto presidente della Rete dei comitati e delle associazioni per la difesa del territorio e dell’ambiente del Veneto).

La vita come l’ha vissuta Salzano è un processo di apprendimento continuo, un accumulo inesauribile di acquisizioni scientifiche e di esperienze. In questo senso, un modo di vivere e un saper vivere che ne fa un vero “docente”, accumunando studio e impegno civile. La sua vocazione pedagogica, una vera e propria passione per la divulgazione, è testimoniata da gran parte delle sue pubblicazioni (Ma dove vivi? La città raccontata, sempre per i titoli della Corte del Fontego, 2007), dei suoi “glossari”, del sito “eddyburg”, delle scuole estive di urbanistica. Le Memorie, quindi, non sono affatto un crogiolarsi nei ricordi, ma una nuova chiamata al confronto. I destinatari sono nominati, ricordati puntualmente lungo una fitta “carriera” scientifica e politica: il sodalizio riformatore al ministero ai Lavori pubblici (dove incontra l’inseparabile Vezio De Lucia), le grandi vertenze per le riforme, la stagione delle giunte di sinistra, l’Istituto nazionale di urbanistica con il suo Notiziario, i dipartimenti di urbanistica nelle università di architettura, la sperimentazione dei Piani regolatori e paesaggistici (l’ultimo con Soru in Sardegna), le battaglie sulle proposte di legge di riforma. Salzano non dimentica niente; propone e pretende bilanci. Cerca interlocutori tra i vecchi protagonisti, sfida i nuovi. Ne esce una storia vivissima dell’urbanistica italiana; un attraversamento guidato nell’Italia da prima delle “mani sulla città” allo “svillettamento” padano; dalla legge Sullo alla urbanistica contrattata; dall’idea di piano agli immobiliaristi.

Salzano è un intellettuale riformista intransigente (ammette di non essersi fatto coinvolgere troppo dal ’68), un impasto tra radicalismo civile ed slanci sentimentali. Un cattolico laico. Si forma politicamente frequentando Franco Rodano, Claudio Napoleoni e lavorando alla “Rivista Trimestrale”. Dice di aver avuto con la politica un approccio solidaristico: non gli interessava la “macchina della politica”, ma la “politica come attivazione morale” Le femministe direbbero oggi una “politica senza desiderio di dominio. A un certo punto dice che il mestiere dell’urbanista è come quello del diplomatico, non ammette l’esistenza di interessi privati. Ha un’idea precisa: la città, le decisioni sulle trasformazioni territoriali vanno sottoposte a processi decisionali pubblici. Non si limita a dirlo, ci prova chiudendosi per dieci anni nel “bunker” dell’assessorato all’urbanistica del Comune di Venezia. Produrrà un favoloso fotopiano e una metodologia innovativa per un recupero filologico della città storica (analisi tipologica per categorie edilizie). Ma il clima era già cambiato: dentro al comune (i piani verranno stravolti proprio dalle amministrazioni che lo stesso Salzano aveva contribuito a sostenere) e fuori, nella società in preda allo ubriacatura neoliberista. Lucio Libertini, il dirigente del Psiup, poi del Pci con venature popolar-populiste, dirà degli urbanisti e degli ambientalisti alla Cederna e alla Salzano: “giacobinismo illuminista”.

La militanza politica di Salzano si “dissolve” – scrive proprio così – con i democratici di sinistra, ma è la stessa idea della pianificazione urbanistica ad evaporare. Si può quindi dire che Salzano racconta una parabola, descrive una delle tante sconfitte culturali della sinistra. Se la “perequazione” è il simbolo dell’urbanistica neoliberista, altri grimaldelli sono stati usati per destrutturare altre discipline e altri settori pubblici: la “compensazione” in ecologia, la managerializzazione e l’aziendalizzazione nei servizi alla persona, la concertazione nella contrattazione del lavoro, la privatizzazione dei vari pezzi dello stato che in questi giorni è giunta all’apice con la trasformazione della Protezione civile e dell’Esercito in S.p.A.

Sarebbe interessante fare una lettura combinata con il libro di un altro vecchio saggio (quasi ottantenne), Lucio Magri (Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci, il Saggiatore 2009), anche lui formatosi nei “cattolici comunisti”, per capire dove si sia perduta quella “grande speranza”, quel progetto di cambiamento radicale e di rivoluzione anticapitalista che pure ha animato un pezzo non piccolo della “sinistra comunista”. Magri ad un certo punto dice che il Pci entra nelle istituzioni e nel governo “disarmato” (cioè privo di una aggiornata teoria dello stato), confondendo il sistema liberale oligarchico con la democrazia stessa. Ecco, l’appunto che si può fare a Salzano è proprio questo: continuare ad affidare l’idea del pubblico, dei beni comuni e dell’interesse generale alle istituzioni statali come se fossero il luogo della sovranità democratica. Non è solo l’urbanistica pubblica ad essere regredita; è la stessa democrazia ad essere stata declassata al ruolo ancellare del mercato. Allora per uscire dalla demoralizzazione, bisognerebbe ripartire da un “oltre”, da quella “benedetta irrequietezza” (penso all’ultimo libro di Paul Hawken, Incontenibile moltitudine, Edizioni Ambiente 2009) che serpeggia appena sotto la crosta della rappresentazione che politica e mezzi di comunicazione di massa (oramai sono la stessa cosa) forniscono della società. Bisognerebbe pensare anche per l’urbanistica ad una “urbanistica scalza”, post-normale, disegnata direttamente dalle popolazioni, senza mediazioni. Salzano dice quale potrebbe essere il punto di partenza e di arrivo: “zero consumo di suolo”. Una specie di negazione dell’urbanistica main-strem al servizio della valorizzazione fondiaria dei suoli. Una urbanistica, all’opposto, al servizio delle politiche di riconversione generale degli apparati tecno-produttivi, della megamacchina termo-industtriale, in chiave della sostenibilità ambientale e sociale. Una urbanistica che prende in cura le risorse naturali, studia i bilanci dei flussi di materia e di energia impiegati nel “metabolismo sociale” (penso a Martinez Aliez, L’ecologia dei poveri, Jaca Book. 2009), rispetta e fa rispettare i cilci biologici della vita sulla terra.

Come scrive Salzano, quindi, una urbanistica non solo trans-disciplinare, ma democratica, nel senso che pone al centro della disciplina il diritto degli abitanti (di tutti i residenti, presenti e futuri) a vivere in città salubri, ordinate, di qualità.

Giacomo Becattini un economista studioso del territorio (questa volta un cattolico molto cattolico e poco comunista) ha scritto (Ritorno al territorio, il Mulino, 2009): “ciò che mi divide dal grosso degli economisti è, fondamentalmente, che io considero scopo unitario delle scienze sociali, economia politica inclusa, la promozione della joie de vivre della persona umana in carne ed ossa, quale l’ha fatta il passato nei luoghi in cui vive. Questo approccio mi separa da quella parte dei miei colleghi economisti che si abbandonano al sogno – che può facilmente trasformarsi in un incubo, come dimostra la crisi attuale – della promozione di una crescita sfrenata, comunque e dovunque, della giostra degli scambi, travestita da sviluppo delle ‘forze produttive’. Produttive di che cosa? Di lucro privato presumibilmente”.

Ma qui mi fermo, perché so che posso provare a spingere Eddy fino al “bien vivir” zapatista, ma non fino alla decrescita di Serge Latouche!

Auguri ancora.

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