loader
menu
© 2025 Eddyburg

La vita deve essere piacevole in questa "città del sale", fin dai tempi in cui la governavano vescovi-principi.

La sua origine è romana (un oppidum sul Moenchesberg), poi fu rifondata dal Vescovo di Worms, poi San Ruperto, nel 696.

Le immagini sono state scattate quasi tutte nell'autunno del 2003, durante un convegno dell'International Making Cities Livable Conferences (fuorchè quella qui accanto, che è tratta da una cartolina postale); le più belle sono qulle delmercato dei fiori. Le potete vedere andando alla galleria di immagini qui.

Vai alla galleria di immagini di Salzburg

«Con grandi sbalzi di anno in anno la ricchezza complessiva di Augusta si era accresciuta; ricchezza e fasto della città erano divenuti proverbiali in tutto il mondo. Ma contemporaneamente era anche cresciuto di un terzo il numero degli esenti dalle tasse e si era considerevolmente ingrossata la massa degli «uomini del popolo». Così luce ed ombra stavano l'una accanto all'altra e nessuno piú del Fugger avvertiva questo chiaroscuro. Perciò egli fece di tutto per mitigare durezze e alleviare danni.

Mappa del XX secolo, stralcio della Fuggerei

Il 26 febbraio 1514 Jacob Fugger acquistò per 900 fiorini d'oro quattro case con giardino. Il 10 marzo 1516 acquistò nella stessa zona tre altre case con giardino. Con il Consiglio del comune fu convenuto che qui dovessero: sorgere delle abitazioni, per le quali «non si dovesse pagare nessuna tassa sui fabbricati, fintantoché l'affitto per queste abitazioni ammontava ad un fiorino d'oro» Gli inquilini dovevano essere sottoposti alla giurisdizione del comune, ma l'amministrazione era di pertinenza solo dei Fugger.

“Nello stesso anno fu iniziata la costruzione del grande quartiere, che fu compiuta nel 1523, con 53 case ad un piano. Fu costruito in forma di quadrato, circondato da mura, a cui si accedeva per quattro porte. Nelle strade larghe e disposte simmetricamente si allineavano le une accanto alle altre le semplici e linde casette”.

In base all'istrumento di fondazione del 23 agosto 1521 “queste case

devono esser :date gratuitamente in lode e onore di Dio ai pii operai e artigiani, borghesi e abitanti della città di Augusta, che siano in bisogno e che più ne siano meritevoli. Ogni comunità di inquilini deve pagare annualmente per la manutenzione un fiorino renano come garanzia che ciascuno rimetta in ordine quello che ha rotto. Inoltre ciascun individuo, giovane o vecchio, come può, deve dire ogni giorno per i fondatori e i loro antenati e discendenti un Paternoster, un'Ave Maria e un Credo”.

Le immagini (queste e altre) sono inserite in questa cartella.

Ecco le loro fonti:

Le mappe, le piante degli alloggi e la vista dall’alto sono tratte dal fascicolo Die Fuggerei , Pröll-Druck u. Verlag, Augsburg, 1993

Le immagini degli interni sono riprodotte da cartoline postali.

Le altre immagini sono istantanee riprese da me e scandite.

I testi sono riduzioni o citazioni testuali da Will Winker, Fugger il ricco , Einaudi, 1943

Si è accusato il film di Manuela Pellarin di essere un film “ideologico”.

In effetti oggi si pratica il rovesciamento del significato delle parole:

- si parla di guerra “umanitaria”

- si definisce la resistenza “terrorismo”

- si definiscono “riforme” le controriforme: così a proposito di pensioni (pagare meno, pagare più tardi), di sanità, di mercato del lavoro

A proposito di Porto Marghera, ho letto perfino che «il raddoppio della produzione di cloruro di vinile monomero migliora l’ambiente”

Tutto quello che è contro la cultura dominante è definito “ideologico”

Nel film è vero contrario. Il film racconta la realtà per immagini e per testimonianze, tanto che non c’è nessun commento

Sono testimonianze che dicono di una vita e di una fabbrica:

- il sacco sulla sedia, per individuare i più forti e massacrarli nei lavori più pesanti

- i “monatti” della S. Marco, rivestiti di stracci per ripararsi alla bell’e meglio dall’infernale calore dei forni

- il racconto della sparatoria alla Breda, con i segni nelle carni dell’operaio

- come si entrava alla Breda, su segnalazione del parroco o della scuola privata

- il paternalismo Montevecchio (e i nomi che ritornano: la Montesanto è quella degli OGM di oggi)

- le ferie e le carenza per le malattie (i primi tre giorni non riconosciuti)

- l’indennità di nocività (soldi contro la perdita della salute e l’accorciamento della vita)

- il Cvm e le poesie di Brugnaro

- la lotta per egualitarismo al Petrolchimico (una parte del premio di produzione uguale per tutti)

- gli extracomunitari delle imprese Fincantieri (non hanno diritto non solo alla mensa, ma neppure a un posto dove star seduti a mangiare)

- la demolizione della Sava.

Le immagini. Immagini che documentano una storia operaia:

- i cortei:la manifestazione e il comizio di un giovane Bruno Trentin

- quella manifestazione con le maschere contro i gas, maschere per gli operai invece che per le ciminiere

- la canzone Bertelli come racconto della lotta

e tutte la e altre immagini che abbiamo visto,

Immagini e testimonianze, il tutto tenuto insieme da un filo interpretativo critico. Critico, poichè la memoria non archivia, lavora.

Colpisce la tensione del film:

- la dinamica interna, retta da una narrazione non cronologica

- il ritmo denso e serrato, senza un filo di retorica

- la capacità di presa forte su chi guarda

La mia piccola parte di consulente storico è stata del tutto secondaria rispetto la struttura del film, per cui posso dire, senza che ciò mi riguardi, che si vede che è film pensato e maturato a lungo.

Per tutte queste ragioni è anche film ‘politico’. E’ un film che mostra criticamente un percorso industriale e sociale che ha coinvolto vite di intere generazioni.

Credo di aver visto tutti i film su Porto Marghera, o quasi. Alcuni sono di respiro, ma questo è certamente quello che ha maggiore forza ed essenzialità.

Ha un linguaggio di analisi critica che è radicale, ma perfettamente riscontrabile nei processi reali:

- la consapevolezza della fine di un ciclo Marghera/Volpi

- il disastro ambientale ereditato

- l’ assoluzione politica e giudiziaria dei responsabili, che non sarebbero stati neppure processati se Felice Casson non avesse raccolto le denunce. Quella figlia al processo, con la sua terribile frase “mio padre è morto dal freddo”, è il più grave atto d’accusa contro le classi dirigenti

E c’è consapevolezza di un vuoto, così ben riassunto da un operaio del Petrolchimico: il problema non è la fine della chimica, ma che non sappiamo quale sarà futuro di Porto Marghera.

Io ho vissuto questo secondo mezzo secolo di Porto Margera: il suo punto più alto di sviluppo e la sua crisi iniziata alla Sava. Ho vissuto il ciclo delle lotte con la crescita del potere rivendicativo e politico dei lavoratori e le forme di democrazia diretta: la crescita del potere quando alla sua base c’era un’analisi giusta. E ho visto la crisi di questo potere, quando non si è più capito come andavano cose con la globalizzazione: la trasformazione tecnologica tutta a favore dei gruppi dominanti, e la ri-subordinazione totale del lavoro. Quando si è abbandonata critica e la contestazione di questi processi e si è teorizzata la loro “oggettività”.

Ciò che con le nuove tecnologie doveva diventare più grande progresso sociale dell’umanità si è trasformato nel più grande regresso sociale. Lo riscontriamo tutti i giorni: Porto Margera è questo.

Dobbiamo avere il coraggio di dircelo con verità. Dobbiamo avere il coraggio di dirci anche che qualche responsabilità la dobbiamo pur averla anche noi.

In fondo, è questo il succo e il senso del film.

“Porto Marghera: gli ultimi fuochi” nasce dal desiderio di conoscere la storia industriale e le vicende umane ad essa collegate che tanto hanno segnato la Venezia del ‘900. Inizialmente l’idea era quella di raccontare la storia di tutto l’arco produttivo dell’insediamento industriale, dal 1917 quando vennero firmate le prime concessioni fino ad oggi e il grande cambiamento, la trasformazione economica e sociale che questo comportò per il territorio.

Ma partire da così lontano costringeva a lavorare prevalentemente su fonti scritte e materiali fotografici che difficilmente avrebbero retto al confronto con le testimonianze vive di coloro che dal secondo dopoguerra avevano partecipato a quell’ avventura e con la difficile situazione attuale di dismissione. E poi c’era la suggestione del luogo, luogo pericoloso ma affascinante, un mondo di fantasmi, di echi e sirene lontane.

Abbiamo lavorato guidati dalle parole delle interviste, racconti di tempi oscuri, drammatici, di lotte epiche e di speranze. Il confronto tra passato e presente: la cronaca del maxi processo, le manifestazioni a difesa dei posti di lavoro al Petrolchimico, le testimonianze dei giovani dalle prospettive incerte, i danni ambientali e i conflitti sempre più aspri tra i lavoratori e la popolazione dei centri urbani, ha provocato in noi un forte disagio ma ha rinforzato l’interesse e la voglia di raccontare nel film una realtà così contraddittoria.

Scheda tecnica:

Soggetto e sceneggiatura: Manuela Pellarin, Enrico Soci

Fotografia: Giovanni Andreotta

Montaggio: Massimiliano Corò

Consulenza storica: Cesco Chinello

Supervisione alla regia :Mario Brenta

Produzione: Controcampo

Regia: Manuela Pellarin

Alcune immagni del film sono qui

Uno spettro s'aggira per l'Europa -lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi.

Quale partito d'opposizione non è stato tacciato di comunismo dai suoi avversari di governo; qual partito d'opposizione non ha rilanciato l'infamante accusa di comunismo tanto sugli uomini più progrediti dell'opposizione stessa, quanto sui propri avversari reazionari?

Da questo fatto scaturiscono due specie di conclusioni.

Il comunismo è di già riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee.

E` ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso.

A questo scopo si sono riuniti a Londra comunisti delle nazionalità più diverse e hanno redatto il seguente manifesto che viene pubblicato in inglese, francese, tedesco, italiano, fiammingo e danese.

I. BORGHESI E PROLETARI

La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi.

Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.

Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi.

La società civile moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta.

La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L'intera società si va scindendo sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e proletariato.

Dai servi della gleba del medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi della borghesia.

La scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, gli scambi con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all'industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all'elemento rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione.

L'esercizio dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina stessa.

Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. All'industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni.

La grande industria ha creato quel mercato mondiale, ch'era stato preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni per via di terra. Questo sviluppo ha reagito a sua volta sull'espansione dell'industria, e nella stessa misura in cui si estendevano industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia, ha accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi tramandate dal medioevo.

Vediamo dunque come la borghesia moderna è essa stessa il prodotto d'un lungo processo di sviluppo, d'una serie di rivolgimenti nei modi di produzione e di traffico.

Ognuno di questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato da un corrispondente progresso politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, insieme di associazioni armate ed autonome nel Comune, talvolta sotto la forma di repubblica municipale indipendente, talvolta di terzo stato tributario della monarchia, poi all'epoca dell'industria manifatturiera, nella monarchia controllata dagli stati come in quella assoluta, contrappeso alla nobiltà, e fondamento principale delle grandi monarchie in genere, la borghesia, infine, dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio politico esclusivo dello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese.

La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria.

Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche.

La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi.

La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro.

La borghesia ha svelato come la brutale manifestazione di forza che la reazione ammira tanto nel medioevo, avesse la sua appropriata integrazione nella più pigra infingardaggine. Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere l'attività dell'uomo. Essa ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha portato a termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le crociate.

La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti.

Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.

Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un'impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto i piedi dell'industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che non lavorano più soltanto le materie prime del luogo, ma delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo dal paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni, soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani. All'antica autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la produzione materiale, così per quella intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la ristrettezza nazionali divengono sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali si forma una letteratura mondiale.

Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la più tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza.

La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio della città. Ha creato città enormi, ha accresciuto su grande scala la cifra della popolazione urbana in confronto di quella rurale, strappando in tal modo una parte notevole della popolazione all'idiotismo della vita rurale. Come ha reso la campagna dipendente dalla città, la borghesia ha reso i paesi barbari e semibarbari dipendenti da quelli inciviliti, i popoli di contadini da quelli di borghesi, l'Oriente dall'Occidente.

La borghesia elimina sempre più la dispersione dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. Ha agglomerato la popolazione, ha centralizzato i mezzi di produzione, e ha concentrato in poche mani la proprietà. Ne è stata conseguenza necessaria la centralizzazione politica. Province indipendenti, legate quasi solo da vincoli federali, con interessi, leggi, governi e dazi differenti, vennero strette in una sola nazione, sotto un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di classe, entro una sola barriera doganale.

Durante il suo dominio di classe appena secolare la borghesia ha creato forze produttive in massa molto maggiore e più colossali che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del passato. Il soggiogamento delle forze naturali, le macchine, l'applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura, la navigazione a vapore, le ferrovie, i telegrafi elettrici, il dissodamento d'interi continenti, la navigabilità dei fiumi, popolazioni intere sorte quasi per incanto dal suolo -quale dei secoli antecedenti immaginava che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttive?

Ma abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base si era venuta costituendo la borghesia erano stati prodotti entro la società feudale. A un certo grado dello sviluppo di quei mezzi di produzione e di scambio, le condizioni nelle quali la società feudale produceva e scambiava, l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali della proprietà, non corrisposero più alle forze produttive ormai sviluppate. Essi inceppavano la produzione invece di promuoverla. Si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate e furono spezzate.

Ad esse subentrò la libera concorrenza con la confacente costituzione sociale e politica, con il dominio economico e politico della classe dei borghesi.

Sotto i nostri occhi si svolge un moto analogo. I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate. Sono decenni ormai che la storia dell'industria e del commercio è soltanto storia della rivolta delle forze produttive moderne contro i rapporti moderni della produzione, cioè contro i rapporti di proprietà che costituiscono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio. Basti ricordare le crisi commerciali che col loro periodico ritorno mettono in forse sempre più minacciosamente l'esistenza di tutta la società borghese.

Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta non solo una parte dei prodotti ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le epoche precedenti sarebbe apparsa un assurdo: l'epidemia della sovraproduzione. La società si trova all'improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive che sono a sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporti borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine tutta la società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi stessi prodotta. -Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse.

A questo momento le armi che son servite alla borghesia per atterrare il feudalesimo si rivolgono contro la borghesia stessa.

Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che la porteranno alla morte; ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari.

Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro solo fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale. Questi operai, che sono costretti a vendersi al minuto, sono una merce come ogni altro articolo commerciale, e sono quindi esposti, come le altre merci, a tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato.

Con l'estendersi dell'uso delle macchine e con la divisione del lavoro, il lavoro dei proletari ha perduto ogni carattere indipendente e con ciò ogni attrattiva per l'operaio. Egli diviene un semplice accessorio della macchina, al quale si richiede soltanto un'operazione manuale semplicissima, estremamente monotona e facilissima da imparare. Quindi le spese che causa l'operaio si limitano quasi esclusivamente ai mezzi di sussistenza dei quali egli ha bisogno per il proprio mantenimento e per la riproduzione della specie. Ma il prezzo di una merce, quindi anche quello del lavoro, è uguale ai suoi costi di produzione. Quindi il salario decresce nella stessa proporzione in cui aumenta il tedio del lavoro. Anzi, nella stessa proporzione dell'aumento dell'uso delle macchine e della divisione del lavoro, aumenta anche la massa del lavoro, sia attraverso l'aumento delle ore di lavoro, sia attraverso l'aumento del lavoro che si esige in una data unità di tempo, attraverso l'accresciuta celerità delle macchine, e così via.

L'industria moderna ha trasformato la piccola officina del maestro artigiano patriarcale nella grande fabbrica del capitalista industriale. Masse di operai addensate nelle fabbriche vengono organizzate militarmente. E vengono poste, come soldati semplici dell'industria, sotto la sorveglianza di una completa gerarchia di sottufficiali e ufficiali. Gli operai non sono soltanto servi della classe dei borghesi, ma vengono asserviti giorno per giorno, ora per ora dalla macchina, dal sorvegliante, e soprattutto dal singolo borghese fabbricante in persona. Questo dispotismo è tanto più meschino, odioso ed esasperante, quanto più apertamente esso proclama come fine ultimo il guadagno.

Quanto meno il lavoro manuale esige abilità ed esplicazione di forza, cioè quanto più si sviluppa l'industria moderna, tanto più il lavoro degli uomini viene soppiantato da quello delle donne [e dei fanciulli]. Per la classe operaia non han più valore sociale le differenze di sesso e di età. Ormai ci sono soltanto strumenti di lavoro che costano più o meno a seconda dell'età e del sesso.

Quando lo sfruttamento dell'operaio da parte del padrone di fabbrica è terminato in quanto all'operaio viene pagato il suo salario in contanti, si gettano su di lui le altre parti della borghesia, il padron di casa, il bottegaio, il prestatore su pegno e così via.

Quelli che fino a questo momento erano i piccoli ordini medi, cioè i piccoli industriali, i piccoli commercianti e coloro che vivevano di piccole rendite, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi precipitano nel proletariato, in parte per il fatto che il loro piccolo capitale non è sufficiente per l'esercizio della grande industria e soccombe nella concorrenza con i capitalisti più forti, in parte per il fatto che la loro abilità viene svalutata da nuovi sistemi di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione.

Il proletariato passa attraverso vari gradi di sviluppo. La sua lotta contro la borghesia comincia con la sua esistenza.

Da principio singoli operai, poi gli operai di una fabbrica, poi gli operai di una branca di lavoro in un dato luogo lottano contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente.

Essi non dirigono i loro attacchi soltanto contro i rapporti borghesi di produzione, ma contro gli stessi strumenti di produzione; distruggono le merci straniere che fan loro concorrenza, fracassano le macchine, danno fuoco alle fabbriche, cercano di riconquistarsi la tramontata posizione del lavoratore medievale.

In questo stadio gli operai costituiscono una massa disseminata per tutto il paese e dispersa a causa della concorrenza. La solidarietà di maggiori masse operaie non è ancora il risultato della loro propria unione, ma della unione della borghesia, la quale, per il raggiungimento dei propri fini politici, deve mettere in movimento tutto il proletariato, e per il momento può ancora farlo. Dunque, in questo stadio i proletari combattono non i propri nemici, ma i nemici dei propri nemici, gli avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi. Così tutto il movimento della storia è concentrato nelle mani della borghesia; ogni vittoria raggiunta in questo modo è una vittoria della borghesia.

Ma il proletariato, con lo sviluppo dell'industria, non solo si moltiplica; viene addensato in masse più grandi, la sua forza cresce, ed esso la sente di più. Gli interessi, le condizioni di esistenza all'interno del proletariato si vanno sempre più agguagliando man mano che le macchine cancellano le differenze del lavoro e fanno discendere quasi dappertutto il salario a un livello ugualmente basso. La crescente concorrenza dei borghesi fra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono sempre più oscillante il salario degli operai; l'incessante e sempre più rapido sviluppo del perfezionamento delle macchine rende sempre più incerto il complesso della loro esistenza; le collisioni fra il singolo operaio e il singolo borghese assumono sempre più il carattere di collisioni di due classi. Gli operai cominciano col formare coalizioni contro i borghesi, e si riuniscono per difendere il loro salario. Fondano perfino associazioni permanenti per approvvigionarsi in vista di quegli eventuali sollevamenti. Qua e là la lotta prorompe in sommosse.

Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle lotte non è il successo immediato, ma il fatto che l'unione degli operai si estende sempre più. Essa è favorita dall'aumento dei mezzi di comunicazione, prodotti dalla grande industria, che mettono in collegamento gli operai delle diverse località. E basta questo collegamento per centralizzare in una lotta nazionale, in una lotta di classe, le molte lotte locali che hanno dappertutto uguale carattere. Ma ogni lotta di classi è lotta politica. E quella unione per la quale i cittadini del medioevo con le loro strade vicinali ebbero bisogno di secoli, i proletari moderni con le ferrovie la attuano in pochi anni.

Questa organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico torna ad essere spezzata ogni momento dalla concorrenza fra gli operai stessi. Ma risorge sempre di nuovo, più forte, più salda, più potente. Essa impone il riconoscimento in forma di legge di singoli interessi degli operai, approfittando delle scissioni all'interno della borghesia. Così fu per la legge delle dieci ore di lavoro in Inghilterra.

In genere, i conflitti insiti nella vecchia società promuovono in molte maniere il processo evolutivo del proletariato. La borghesia è sempre in lotta; da principio contro l'aristocrazia, più tardi contro le parti della stessa borghesia i cui interessi vengono a contrasto con il progresso dell'industria, e sempre contro la borghesia di tutti i paesi stranieri. In tutte queste lotte essa si vede costretta a fare appello al proletariato, a valersi del suo aiuto, e a trascinarlo così entro il movimento politico. Essa stessa dunque reca al proletariato i propri elementi di educazione, cioè armi contro se stessa.

Inoltre, come abbiamo veduto, il progresso dell'industria precipita nel proletariato intere sezioni della classe dominante, o per lo meno ne minaccia le condizioni di esistenza. Anch'esse arrecano al proletariato una massa di elementi di educazione.

Infine, in tempi nei quali la lotta delle classi si avvicina al momento decisivo, il processo di disgregazione all'interno della classe dominante, di tutta la vecchia società, assume un carattere così violento, così aspro, che una piccola parte della classe dominante si distacca da essa e si unisce alla classe rivoluzionaria, alla classe che tiene in mano l'avvenire. Quindi, come prima una parte della nobiltà era passata alla borghesia, così ora una parte della borghesia passa al proletariato; e specialmente una parte degli ideologi borghesi, che sono riusciti a giungere alla intelligenza teorica del movimento storico nel suo insieme.

Fra tutte le classi che oggi stanno di contro alla borghesia, il proletariato soltanto è una classe realmente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e tramontano con la grande industria; il proletariato è il suo prodotto più specifico.

Gli ordini medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, l'artigiano, il contadino, combattono tutti la borghesia, per premunire dalla scomparsa la propria esistenza come ordini medi. Quindi non sono rivoluzionari, ma conservatori. Anzi, sono reazionari, poiché cercano di far girare all'indietro la ruota della storia. Quando sono rivoluzionari, sono tali in vista del loro imminente passaggio al proletariato, non difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, e abbandonano il proprio punto di vista, per mettersi da quello del proletariato.

Il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli infimi strati della società, che in seguito a una rivoluzione proletaria viene scagliato qua e là nel movimento, sarà più disposto, date tutte le sue condizioni di vita, a lasciarsi comprare per mene reazionarie.

Le condizioni di esistenza della vecchia società sono già annullate nelle condizioni di esistenza del proletariato. Il proletario è senza proprietà; il suo rapporto con moglie e figli non ha più nulla in comune con il rapporto familiare borghese; il lavoro industriale moderno, il soggiogamento moderno del capitale, identico in Inghilterra e in Francia, in America e in Germania, lo ha spogliato di ogni carattere nazionale. Leggi, morale, religione sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro i quali si nascondono altrettanti interessi borghesi.

Tutte le classi che si sono finora conquistato il potere hanno cercato di garantire la posizione di vita già acquisita, assoggettando l'intera società alle condizioni della loro acquisizione. I proletari possono conquistarsi le forze produttive della società soltanto abolendo il loro proprio sistema di appropriazione avuto sino a questo momento, e per ciò stesso l'intero sistema di appropriazione che c'è stato finora. I proletari non hanno da salvaguardare nulla di proprio, hanno da distruggere tutta la sicurezza privata e tutte le assicurazioni private che ci sono state fin qui.

Tutti i movimenti precedenti sono stati movimenti di minoranze, o avvenuti nell'interesse di minoranze. Il movimento proletario è il movimento indipendente della immensa maggioranza. Il proletariato, lo strato più basso della società odierna, non può sollevarsi, non può drizzarsi, senza che salti per aria l'intera soprastruttura degli strati che formano la società ufficiale.

La lotta del proletariato contro la borghesia è in un primo tempo lotta nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. E` naturale che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia.

Delineando le fasi più generali dello sviluppo del proletariato, abbiamo seguito la guerra civile più o meno latente all'interno della società attuale, fino al momento nel quale quella guerra erompe in aperta rivoluzione e nel quale il proletariato fonda il suo dominio attraverso il violento abbattimento della borghesia.

Ogni società si è basata finora, come abbiam visto, sul contrasto fra classi di oppressori e classi di oppressi. Ma, per poter opprimere una classe, le debbono essere assicurate condizioni entro le quali essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava. Il servo della gleba, lavorando nel suo stato di servo della gleba, ha potuto elevarsi a membro del comune, come il cittadino minuto, lavorando sotto il giogo dell'assolutismo feudale, ha potuto elevarsi a borghese. Ma l'operaio moderno, invece di elevarsi man mano che l'industria progredisce, scende sempre più al disotto delle condizioni della sua propria classe. L'operaio diventa un povero, e il pauperismo si sviluppa anche più rapidamente che la popolazione e la ricchezza. Da tutto ciò appare manifesto che la borghesia non è in grado di rimanere ancora più a lungo la classe dominante della società e di imporre alla società le condizioni di vita della propria classe come legge regolatrice. Non è capace di dominare, perché non è capace di garantire l'esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo. La società non può più vivere sotto la classe borghese, vale a dire la esistenza della classe borghese non è più compatibile con la società.

La condizione più importante per l'esistenza e per il dominio della classe borghese è l'accumularsi della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato. Il lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza degli operai tra di loro. Il progresso dell'industria, del quale la borghesia è veicolo involontario e passivo, fa subentrare all'isolamento degli operai risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria, risultante dall'associazione. Con lo sviluppo della grande industria, dunque, vien tolto di sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria i prodotti. Essa produce anzitutto i suoi seppellitori. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono del pari inevitabili.

PROLETARI E COMUNISTI

In che rapporto sono i comunisti con i proletari in genere?

I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.

I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato.

I comunisti non pongono princìpi speciali sui quali vogliano modellare il movimento proletario.

I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell'intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall'altra per il fatto che sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia.

Quindi in pratica i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del proletariato, di comprendere le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario.

Lo scopo immediato dei comunisti è lo stesso di tutti gli altri proletari: formazione del proletariato in classe, abbattimento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato.

Le proposizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto su idee, su princìpi inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo.

Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di una esistente lotta di classi, cioè di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. L'abolizione di rapporti di proprietà esistiti fino a un dato momento non è qualcosa di distintivo peculiare del comunismo.

Tutti i rapporti di proprietà sono stati soggetti a continui cambiamenti storici, a una continua alterazione storica.

Per esempio, la rivoluzione francese abolì la proprietà feudale in favore di quella borghese.

Quel che contraddistingue il comunismo non è l'abolizione della proprietà in generale, bensì l'abolizione della proprietà borghese.

Ma la proprietà privata borghese moderna è l'ultima e la più perfetta espressione della produzione e dell'appropriazione dei prodotti che poggia su antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri.

In questo senso i comunisti possono riassumere la loro teoria nella frase: abolizione della proprietà privata. Ci si è rinfacciato, a noi comunisti che vogliamo abolire la proprietà acquistata personalmente, frutto del lavoro diretto e personale; la proprietà che costituirebbe il fondamento di ogni libertà, attività e autonomia personale.

Proprietà frutto del proprio lavoro, acquistata, guadagnata con le proprie forze! Parlate della proprietà del minuto cittadino, del piccolo contadino che ha preceduto la proprietà borghese? Non c'è bisogno che l'aboliamo noi, l'ha abolita e la va abolendo di giorno in giorno lo sviluppo dell'industria.

O parlate della moderna proprietà privata borghese?

Ma il lavoro salariato, il lavoro del proletario, crea proprietà a questo proletario? Affatto. Il lavoro del proletario crea il capitale, cioè quella proprietà che sfrutta il lavoro salariato, che può moltiplicarsi solo a condizione di generare nuovo lavoro salariato, per sfruttarlo di nuovo. La proprietà nella sua forma attuale si muove entro l'antagonismo fra capitale e lavoro salariato. Esaminiamo i due termini di questo antagonismo. Essere capitalista significa occupare nella produzione non soltanto una pura posizione personale, ma una posizione sociale.

Il capitale è un prodotto collettivo e può essere messo in moto solo mediante una attività comune di molti membri, anzi in ultima istanza solo mediante l'attività comune di tutti i membri della società.

Dunque, il capitale non è una potenza personale; è una potenza sociale.

Dunque, se il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, appartenente a tutti i membri della società, non c'è trasformazione di proprietà personale in proprietà sociale. Si trasforma soltanto il carattere sociale della proprietà. La proprietà perde il suo carattere di classe.

Veniamo al lavoro salariato.

Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del salario del lavoro, cioè è la somma dei mezzi di sussistenza che sono necessari per mantenere in vita l'operaio in quanto operaio. Dunque, quello che l'operaio salariato s'appropria mediante la sua attività è sufficiente soltanto per riprodurre la sua nuda esistenza. Noi non vogliamo affatto abolire questa appropriazione personale dei prodotti del lavoro per la riproduzione della esistenza immediata, appropriazione che non lascia alcun residuo di profitto netto tale da poter conferire potere sul lavoro altrui. Vogliamo eliminare soltanto il carattere miserabile di questa appropriazione, nella quale l'operaio vive solo allo scopo di accrescere il capitale, e vive solo quel tanto che esige l'interesse della classe dominante.

Nella società borghese il lavoro vivo è soltanto un mezzo per moltiplicare il lavoro accumulato. Nella società comunista il lavoro accumulato è soltanto un mezzo per ampliare, per arricchire, per far progredire il ritmo d'esistenza degli operai.

Dunque nella società borghese il passato domina sul presente, nella società comunista il presente domina sul passato. Nella società borghese il capitale è indipendente e personale, mentre l'individuo operante è dipendente e impersonale.

E la borghesia chiama abolizione della personalità e della libertà l'abolizione di questo rapporto! E a ragione: infatti, si tratta dell'abolizione della personalità, della indipendenza e della libertà del borghese.

Entro gli attuali rapporti di produzione borghesi per libertà s'intende il libero commercio, la libera compravendita.

Ma scomparso il traffico, scompare anche il libero traffico. Le frasi sul libero traffico, come tutte le altre bravate sulla libertà della nostra borghesia, hanno senso, in genere, soltanto rispetto al traffico vincolato, rispetto al cittadino asservito del medioevo; ma non hanno senso rispetto alla abolizione comunista del traffico, dei rapporti borghesi di produzione e della stessa borghesia.

Voi inorridite perché vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società attuale la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; la proprietà privata esiste proprio per il fatto che per nove decimi non esiste. Dunque voi ci rimproverate di voler abolire una proprietà che presuppone come condizione necessaria la privazione della proprietà dell'enorme maggioranza della società.

In una parola, voi ci rimproverate di volere abolire la vostra proprietà.

Certo, questo vogliamo.

Appena il lavoro non può più essere trasformato in capitale, in denaro, in rendita fondiaria, insomma in una potenza sociale monopolizzabile, cioè, appena la proprietà personale non può più convertirsi in proprietà borghese, voi dichiarate che è abolita la persona.

Dunque confessate che per persona non intendete nient'altro che il borghese, il proprietario borghese. Certo questa persona deve essere abolita.

Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi prodotti della società, toglie soltanto il potere di assoggettarsi il lavoro altrui mediante tale appropriazione.

Si è obiettato che con l'abolizione della proprietà privata cesserebbe ogni attività e prenderebbe piede una pigrizia generale.

Da questo punto di vista, già da molto tempo la società borghese dovrebbe essere andata in rovina per pigrizia, poiché in essa coloro che lavorano, non guadagnano, e quelli che guadagnano, non lavorano. Tutto lo scrupolo sbocca nella tautologia che appena non c'è più capitale non c'è più lavoro salariato.

Tutte le obiezioni che vengono mosse al sistema comunista di appropriazione e di produzione dei prodotti materiali, sono state anche estese alla appropriazione e alla produzione dei prodotti intellettuali, come il cessare della proprietà di classe è per il borghese il cessare della produzione stessa, così il cessare della cultura di classe è per lui identico alla fine della cultura in genere.

Quella cultura la cui perdita egli rimpiange, è per la enorme maggioranza la preparazione a diventar macchine.

Ma non discutete con noi misurando l'abolizione della proprietà borghese sul modello delle vostre idee borghesi di libertà, cultura, diritto e così via. Le vostre idee stesse sono prodotti dei rapporti borghesi di produzione e di proprietà, come il vostro diritto è soltanto la volontà della vostra classe elevata a legge, volontà il cui contenuto è dato nelle condizioni materiali di esistenza della vostra classe.

Voi condividete con tutte le classi dominanti tramontate quell'idea interessata mediante la quale trasformate in eterne leggi della natura e della ragione, da rapporti storici quali sono, transeunti nel corso della produzione, i vostri rapporti di produzione e di proprietà. Non vi è più permesso di comprendere per la proprietà borghese quel che comprendete per la proprietà antica e per la proprietà feudale.

Abolizione della famiglia! Anche i più estremisti si riscaldano parlando di questa ignominiosa intenzione dei comunisti.

Su che cosa si basa la famiglia attuale, la famiglia borghese? Sul capitale, sul guadagno privato. Una famiglia completamente sviluppata esiste soltanto per la borghesia: ma essa ha il suo complemento nella coatta mancanza di famiglia del proletario e nella prostituzione pubblica.

La famiglia del borghese cade naturalmente col cadere di questo suo complemento ed entrambi scompaiono con la scomparsa del capitale.

Ci rimproverate di voler abolire lo sfruttamento dei figli da parte dei genitori? Confessiamo questo delitto. Ma voi dite che sostituendo l'educazione sociale a quella familiare noi aboliamo i rapporti più cari.

E anche la vostra educazione, non è determinata dalla società? Non è determinata dai rapporti sociali entro i quali voi educate, dalla interferenza più o meno diretta o indiretta della società mediante la scuola e così via? I comunisti non inventano l'influenza della società sull'educazione, si limitano a cambiare il carattere di tale influenza, e strappano l'educazione all'influenza della classe dominante.

La fraseologia borghese sulla famiglia e sull'educazione, sull'affettuoso rapporto fra genitori e figli diventa tanto più nauseante, quanto più, per effetto della grande industria, si lacerano per il proletario tutti i vincoli familiari, e i figli sono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.

Tutta la borghesia ci grida contro in coro: ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne.

Il borghese vede nella moglie un semplice strumento di produzione. Sente dire che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e non può naturalmente farsi venire in mente se non che la sorte della comunanza colpirà anche le donne.

Non sospetta neppure che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come semplici strumenti di produzione.

Del resto non c'è nulla di più ridicolo del moralissimo orrore che i nostri borghesi provano per la pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I comunisti non hanno bisogno d'introdurre la comunanza delle donne; essa è esistita quasi sempre.

I nostri borghesi, non paghi d'avere a disposizione le mogli e le figlie dei proletari, per non parlare neppure della prostituzione ufficiale, trovano uno dei loro divertimenti principali nel sedursi reciprocamente le loro mogli.

In realtà il matrimonio borghese è la comunanza delle mogli. Tutt'al, più ai comunisti si potrebbe rimproverare di voler introdurre una comunanza delle donne ufficiale e franca al posto di una comunanza delle donne ipocritamente dissimulata. del resto è ovvio che, con l'abolizione dei rapporti attuali di produzione, scompare anche quella comunanza delle donne che ne deriva, cioè la prostituzione ufficiale e non ufficiale.

Inoltre, si è rimproverato ai comunisti ch'essi vorrebbero abolire la patria, la nazionalità.

Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch'esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia.

Le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre più già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle corrispondenti condizioni d'esistenza.

Il dominio del proletariato li farà scomparire ancor di più. Una delle prime condizioni della sua emancipazione è l'azione unita, per lo meno dei paesi civili.

Lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra viene abolito nella stessa misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro.

Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità fra le nazioni.

Non meritano d'essere discusse in particolare le accuse che si fanno al comunismo da punti di vista religiosi, filosofici e ideologici in genere.

C'è bisogno di una profonda comprensione per capire che anche le idee, le opinioni e i concetti, insomma, anche la coscienza degli uomini, cambia col cambiare delle loro condizioni di vita, delle loro relazioni sociali, della loro esistenza sociale?

Cos'altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione intellettuale si trasforma assieme a quella materiale? Le idee dominanti di un'epoca sono sempre state soltanto le idee della classe dominante.

Si parla di idee che rivoluzionano un'intera società; con queste parole si esprime semplicemente il fatto che entro la vecchia società si sono formati gli elementi di una nuova, e che la dissoluzione delle vecchie idee procede di pari passo con la dissoluzione dei vecchi rapporti d'esistenza.

Quando il mondo antico fu al tramonto, le antiche religioni furono vinte dalla religione cristiana. Quando nel secolo XVIII le idee cristiane soggiacquero alle idee dell'illuminismo, la società feudale dovette combattere la sua ultima lotta con la borghesia allora rivoluzionaria. Le idee della libertà di coscienza e della libertà di religione furono soltanto l'espressione del dominio della libera concorrenza nel campo della coscienza.

Ma, si dirà, certo che nel corso dello svolgimento storico le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche si sono modificate. Però in questi cambiamenti la religione, la morale, al filosofia, la politica, il diritto si sono sempre conservati.

Inoltre vi sono verità eterne, come la libertà, la giustizia e così via, che sono comuni a tutti gli stati della società. Ma il comunismo abolisce le verità eterne, abolisce la religione, la morale, invece di trasformarle; quindi il comunismo si mette in contraddizione con tutti gli svolgimenti storici avuti sinora.

A cosa si riduce quest'accusa? La storia di tutta quanta la società che c'è stata fino ad oggi s'è mossa in contrasti di classe che hanno avuto un aspetto differente a seconda delle differenti epoche.

Lo sfruttamento d'una parte della società per opera dell'altra parte è dato di fatto comune a tutti i secoli passati, qualunque sia la forma ch'esso abbia assunto. Quindi, non c'è da meravigliarsi che la coscienza sociale di tutti i secoli si muova, nonostante ogni molteplicità e differenza, in certe forme comuni: forme di coscienza, che si dissolvono completamente soltanto con la completa scomparsa dell'antagonismo delle classi.

La rivoluzione comunista è la più radicale rottura con i rapporti tradizionali di proprietà; nessuna meraviglia che nel corso del suo sviluppo si rompa con le idee tradizionali nella maniera più radicale.

Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo.

Abbiamo già visto sopra che il primo passo sulla strada della rivoluzione operaia consiste nel fatto che il proletariato s'eleva a classe dominante, cioè nella conquista della democrazia.

Il proletariato adoprerà il suo dominio politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante, e per moltiplicare al più presto possibile la massa delle forze produttive.

Naturalmente, ciò può avvenire, in un primo momento, solo mediante interventi despotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, cioè per mezzo di misure che appaiono insufficienti e poco consistenti dal punto di vista dell'economia; ma che nel corso del movimento si spingono al di là dei propri limiti e sono inevitabili come mezzi per il rivolgimento dell'intero sistema di produzione.

Queste misure saranno naturalmente differenti a seconda dei differenti paesi.

Tuttavia, nei paesi più progrediti potranno essere applicati quasi generalmente i provvedimenti seguenti:

1.- Espropriazione della proprietà fondiaria ed impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato.

2.- Imposta fortemente progressiva.

3.- Abolizione del diritto di successione.

4.- Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli.

5.- Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo.

6.- Accentramento di tutti i mezzi di trasporto in mano allo Stato.

7.- Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo.

8.- Eguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura.

9.- Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e della industria, misure atte ad eliminare gradualmente l'antagonismo fra città e campagna.

10.- Istruzione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Eliminazione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione dell'istruzione con la produzione materiale e così via.

Quando le differenze di classe saranno scomparse nel corso dell'evoluzione, e tutta la produzione sarà concentrata in mano agli individui associati, il pubblico potere perderà il suo carattere politico. In senso proprio, il potere politico è il potere di una classe organizzato per opprimerne un'altra. Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe dominante attraverso una rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe, cioè abolisce le condizioni d'esistenza delle classi in genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe.

Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra una associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.

III. LETTERATURA SOCIALISTA E COMUNISTA

1. IL SOCIALISMO REAZIONARIO

a) Il socialismo feudale.

Data la sua posizione storica, l'aristocrazia francese e inglese era chiamata a scrivere libelli contro la moderna società borghese. Nella rivoluzione francese del luglio 1830, nel movimento inglese per la riforma elettorale, l'aristocrazia era soggiaciuta ancora una volta all'aborrito nuovo venuto. Non c'era più da pensare a una seria lotta politica. Le rimaneva soltanto la lotta letteraria. Ma anche nel campo della letteratura la vecchia fraseologia dell'età della restaurazione era ormai impossibile. Per destare qualche simpatia, l'aristocrazia era costretta a distogliere gli occhi, in apparenza, dai propri interessi e a formulare il suo atto d'accusa contro la borghesia solo nell'interesse della classe operaia sfruttata. Così essa preparava la soddisfazione di poter intonare invettive contro il nuovo signore, e di potergli mormorare nell'orecchio profezie più o meno gravide di sciagura.

A questo modo sorse il socialismo feudalistico, metà lamentazione, metà libello; metà riecheggiamento del passato, metà minaccia del futuro. A volte colpisce al cuore la borghesia con un giudizio amaro e spiritosamente sarcastico, ma ha sempre effetto comico per la sua totale incapacità di comprendere il corso della storia moderna.

Questi aristocratici hanno impugnato la proletaria bisaccia da mendicante, agitandola come bandiera per raggruppare dietro a sé il popolo. Ma tutte le volte che li ha seguiti, il popolo ha visto sulle loro parti posteriori i vecchi blasoni feudali e s'è sbandato con forti e irriverenti risate.

Una parte dei legittimisti francesi e la Giovine Inghilterra hanno offerto questo spettacolo.

Quando i feudali dimostrano che il loro sistema di sfruttamento era diverso dallo sfruttamento borghese, dimenticano soltanto che essi esercitavano lo sfruttamento in circostanze e condizioni totalmente differenti e che ora han fatto il loro tempo. Quando dimostrano che il proletariato moderno non è esistito al tempo del loro dominio, dimenticano soltanto che la borghesia moderna fu appunto un necessario rampollo del loro ordine sociale.

Del resto, essi celano tanto poco il carattere reazionario della loro critica, che la loro principale accusa contro la borghesia è proprio che sotto il suo regime si sviluppa una classe che farà saltare in aria tutto quanto il vecchio ordine sociale.

Rimproverano alla borghesia più il fatto che essa genera un proletariato rivoluzionario che non il fatto ch'essa produce un proletariato in genere.

Nella pratica della vita politica, prendono parte perciò a tutte le misure di forza contro la classe operaia, e nella vita ordinaria, ad onta di tutti i loro gonfi frasari, si adattano a raccogliere le mele d'oro, e a barattare fedeltà, amore, onore col traffico della lana di pecora, della barbabietola e dell'acquavite.

Come il prete si è sempre accompagnato al signore feudale, così il socialismo pretesco si accompagna a quello feudalistico.

Non c'è cosa più facile che dare una tinta socialistica all'ascetismo cristiano. Il cristianesimo non se l'è presa forse anch'esso con la proprietà privata, con il matrimonio, con lo Stato? Non ha predicato, in loro sostituzione, la beneficenza, la mendicità, il celibato e la mortificazione della carne, la vita claustrale e la Chiesa? Il socialismo sacro è soltanto l'acquasanta con la quale il prete benedice la rabbia degli aristocratici.

b) Il socialismo piccolo-borghese.

L'aristocrazia feudale non è l'unica classe che sia stata abbattuta dalla borghesia e le cui condizioni di esistenza siano deperite e si siano estinte nella società borghese moderna. La piccola borghesia medievale e l'ordine dei piccoli contadini furono i precursori della borghesia moderna. Questa classe continua ancora a vegetare accanto alla sorgente borghesia nei paesi meno sviluppati industrialmente e commercialmente.

Nei paesi dove s'è sviluppata la civiltà moderna, si è formata una nuova piccola borghesia, sospesa fra il proletariato e la borghesia, che torna sempre a formarsi da capo, in quanto è parte integrante della società borghese; ma i suoi membri vengono costantemente precipitati nel proletariato dalla concorrenza, anzi, con lo sviluppo della grande industria vedono addirittura avvicinarsi un momento nel quale scompariranno totalmente come parte indipendente della società moderna, e verranno sostituiti da sorveglianti e domestici nel commercio, nella manifattura, nell'agricoltura.

In paesi come la Francia, dove la classe dei contadini costituisce molto più della metà della popolazione, era naturale che alcuni scrittori i quali scendevano in campo per il proletariato contro la borghesia usassero la scala del piccolo borghese e del piccolo contadino per la loro critica del regime borghese e che prendessero partito per gli operai dal punto di vista della piccola borghesia. Così s'è formato il socialismo piccolo-borghese. Capo di questa letteratura, non solo per la Francia, ma anche per l'Inghilterra, è il Sismondi.

Questo socialismo ha anatomizzato con estrema perspicacia le contraddizioni insite nei rapporti moderni di produzione. Ha smascherato gli ipocriti eufemismi degli economisti. Ha dimostrato irrefutabilmente i deleteri effetti delle macchine e della divisione del lavoro, la concentrazione dei capitali e della proprietà fondiaria, la sovraproduzione, le crisi, la rovina inevitabile dei piccoli borghesi e dei piccoli contadini, la miseria del proletariato, l'anarchia della produzione, le stridenti sproporzioni nella distribuzione della ricchezza, la guerra industriale di sterminio fra le varie nazioni, la dissoluzione dei vecchi costumi, dei vecchi rapporti familiari, delle vecchie nazionalità.

Tuttavia, quanto al suo contenuto positivo, questo socialismo o vuole restaurare gli antichi mezzi di produzione e di traffico, e con essi i vecchi rapporti di proprietà e la vecchia società, o vuole rinchiudere di nuovo, con la forza, entro i limiti degli antichi rapporti di proprietà i mezzi moderni di produzione e di traffico, che li han fatti saltare in aria, che non potevano non farli saltare per aria. In entrambi i casi esso è insieme reazionario e utopistico.

Corporazioni nella manifattura e economia patriarcale nelle campagne: ecco la sua ultima parola.

Nel suo ulteriore sviluppo questa tendenza è andata a finire in una vile depressione dopo l'ebbrezza.

c) Il socialismo tedesco ossia il vero socialismo.

La letteratura socialista e comunista francese, ch'è sorta sotto la pressione d'una borghesia dominante ed è l'espressione letteraria della lotta contro questo dominio, venne introdotta in Germania proprio mentre la borghesia stava cominciando la sua lotta contro l'assolutismo feudale.

Filosofi, semifilosofi e begli spiriti tedeschi s'impadronirono avidamente di quella letteratura, dimenticando solo una piccola cosa: che le condizioni d'esistenza francesi non erano immigrate in Germania insieme a quegli scritti che venivano dalla Francia. Nei confronti delle condizioni tedesche, la letteratura francese perdette ogni significato pratico immediato e assunse un aspetto puramente letterario. Non poteva non apparire un'oziosa speculazione sulla vera società, sulla realizzazione dell'essere umano. Allo stesso modo le rivendicazioni della prima rivoluzione francese avevano avuto per i filosofi tedeschi del secolo XVIII soltanto il senso di essere rivendicazioni della "ragion pratica" in generale, e le manifestazioni di volontà della borghesia francese rivoluzionaria avevano significato ai loro occhi di leggi di pura volontà, della volontà come deve essere, della volontà veramente umana.

Il lavoro dei letterati tedeschi consistette unicamente nel concordare le nuove idee francesi con la loro vecchia coscienza filosofica, o, anzi, nell'appropriarsi delle idee francesi dal loro punto di vista filosofico.

Questa appropriazione avvenne nella stessa maniera che si usa in genere per appropriarsi una lingua straniera: mediante la traduzione.

E` noto come i monaci ricoprissero di insipide storie di santi cattolici i manoscritti che contenevano le opere classiche dell'antichità pagana. Con la letteratura francese profana i letterati tedeschi usarono il procedimento inverso; scrissero le loro sciocchezze filosofiche sotto l'originale francese. Per esempio, sotto la critica francese dei rapporti patrimoniali essi scrissero "alienazione dell'essere umano", sotto la critica francese dello stato borghese scrissero "superamento del dominio dell'universale in astratto", e così via.

Battezzarono questa insinuazione del loro frasario filosofico negli svolgimenti francesi con i nomi di "filosofia dell'azione", "vero socialismo", "scienza tedesca del socialismo", "motivazione filosofica del socialismo" e così via.

Così la letteratura francese socialista e comunista fu letteralmente evirata. E poiché essa nelle mani dei tedeschi aveva smesso di esprimere la lotta d'una classe contro l'altra, il tedesco era consapevole d'aver superato l'unilateralità francese, d'essersi fatto rappresentante non di veri bisogni, ma anzi del bisogno della verità, non degli interessi del proletariato, ma anzi degli interessi dell'essere umano, dell'uomo in genere; dell'uomo che non appartiene a nessuna classe, anzi neppure alla realtà, e appartiene soltanto al cielo nebuloso della fantasia filosofica.

Questo socialismo tedesco, che prendeva così solennemente sul serio le sue goffe esercitazioni scolastiche, e tanto ciarlatanescamente le strombazzava, perdette tuttavia, a poco a poco, la sua pedantesca innocenza.

La lotta della borghesia tedesca, specialmente di quella prussiana, contro i feudali e contro la monarchia assoluta, in una parola, il movimento liberale, divenne più serio.

Così al vero socialismo si offrì l'auspicata occasione di contrapporre le rivendicazioni socialiste al movimento politico, di lanciare i tradizionali anatemi contro il liberalismo, contro lo Stato rappresentativo, contro la concorrenza borghese, contro la libertà di stampa borghese, il diritto borghese, la libertà e l'eguaglianza borghesi; e di predicare alla massa popolare come essa non avesse niente da guadagnare, anzi tutto da perdere con quel movimento borghese. Il socialismo tedesco dimenticava in tempo che la critica francese della quale esso era l'insulso eco, presuppone la società borghese moderna con le corrispondenti condizioni materiali d'esistenza e l'adeguata costituzione politica: tutti presupposti che in Germania si trattava appena di conquistare.

Il vero socialismo servì ai governi assoluti tedeschi, col loro seguito di preti, di maestrucoli, di nobilucci rurali e di burocrati, come gradito spauracchio contro la borghesia che avanzava minacciosa.

Costituì il dolciastro complemento delle acri sferzate e delle pallottole di fucile con le quali quei governi rispondevano alle insurrezioni operaie.

Mentre il vero socialismo diventava così un'arma nelle mani dei governi contro la borghesia tedesca, esso rappresentava d'altra parte anche direttamente un interesse reazionario, l'interesse del popolo minuto tedesco. In Germania la piccola borghesia, che è un'eredità del secolo XVI, e sempre vi riaffiora, da quell'epoca in poi, in varie forme, costituisce il vero e proprio fondamento sociale della situazione attuale.

La sua conservazione è la conservazione della situazione tedesca attuale. Essa teme la sicura rovina dal dominio industriale e politico della borghesia, tanto in conseguenza della concentrazione del capitale, quanto attraverso il sorgere di un proletariato rivoluzionario. Le sembrò che il vero socialismo prendesse entrambi i piccioni con una fava. Ed esso si diffuse come un'epidemia.

La veste ordita di ragnatela speculativa, ricamata di fiori retorici di begli spiriti, impregnata di rugiada sentimentale febbricitante di amore, questa veste di esaltazione nella quale i socialisti tedeschi avviluppavano il loro paio di ossute verità eterne, non fece che aumentare lo spaccio della loro merce presso quel pubblico.

Per conto suo, il socialismo tedesco riconobbe sempre meglio la propria vocazione d'essere il burbanzoso rappresentante di questa piccola borghesia.

Esso ha proclamato la nazione tedesca la nazione normale; il filisteo tedesco l'uomo normale. Ha conferito ad ogni abiezione di costui un senso celato, superiore, socialistico pel qual l'abiezione significava il contrario di quel che era. Ed ha tratto le ultime conseguenze prendendo direttamente posizione contro la tendenza brutalmente distruttiva del comunismo e proclamando la propria imparziale superiorità a tutte le lotte di classe. Quanto circola in Germania di pretesi scritti socialisti e comunisti appartiene, con pochissime eccezioni, alla sfera di questa sordida e snervante letteratura.

2. IL SOCIALISMO CONSERVATORE O BORGHESE

Una parte della borghesia desidera di portar rimedio agli inconvenienti sociali, per garantire l'esistenza della società borghese.

Rientrano in questa categoria economisti, filantropi, umanitari, miglioratori della situazione delle classi lavoratrici, organizzatori di beneficenze, protettori degli animali, fondatori di società di temperanza e tutta una variopinta genìa di oscuri riformatori. E in interi sistemi è stato elaborato questo socialismo borghese.

Come esempio citeremo la Philosophie de la misère del Proudhon.

I borghesi socialisti vogliono le condizioni di vita della società moderna senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne derivano. Vogliono la società attuale sottrazion fatta degli elementi che la rivoluzionano e la dissolvono. Vogliono la borghesia senza proletariato. La borghesia si raffigura naturalmente il mondo ov'essa domina come il migliore dei mondi. Il socialismo borghese elabora questa consolante idea in un semi-sistema o anche in un sistema intero. Quando invita il proletariato a mettere in atto i suoi sistemi per entrare nella nuova Gerusalemme, il socialismo borghese non fa in sostanza che pretendere dal proletariato che esso rimanga fermo nella società attuale, ma rinunci alle odiose idee che di essa s'è fatto.

Una seconda forma di socialismo meno sistematica e più pratica cercava di far passare alla classe operaia la voglia di qualsiasi movimento rivoluzionario, argomentando che le potrebbe essere utile non l'uno o l'altro cambiamento politico, ma soltanto un cambiamento delle condizioni materiali della esistenza, cioè dei rapporti economici. Ma questo socialismo non intende affatto, con il termine di cambiamento delle condizioni materiali dell'esistenza, l'abolizione dei rapporti borghesi di produzione, possibile solo in via rivoluzionaria, ma miglioramenti amministrativi svolgentisi sul terreno di quei rapporti di produzione, che dunque non cambiano nulla al rapporto fra capitale e lavoro salariato, ma che, nel migliore dei casi, diminuiscono le spese che la borghesia deve sostenere per il suo dominio e semplificano il suo bilancio statale.

Il socialismo borghese giunge alla sua espressione adeguata solo quando diventa semplice figura retorica.

Libero commercio! nell'interesse della classe operaia; dazi protettivi! nell'interesse della classe operaia; carcere cellulare! nell'interesse della classe operaia. Questa è l'ultima parola, l'unica detta seriamente, del socialismo borghese.

Il loro socialismo consiste appunto nell'affermazione che i borghesi sono borghesi -nell'interesse della classe operaia

3. IL SOCIALISMO E COMUNISMO CRITICO-UTOPISTICO

Qui non parleremo della letteratura che ha espresso le rivendicazioni del proletariato in tutte le grandi rivoluzioni moderne (scritti di Babeuf e così via).

I primi tentativi del proletariato di far valere direttamente il suo proprio interesse di classe in un'età di generale effervescenza, nel periodo del rovesciamento della società feudale, non potevano non fallire per la forma poco sviluppata del proletariato stesso, come anche per la mancanza delle condizioni materiali della sua emancipazione, che sono appunto solo il prodotto dell'età borghese. La letteratura rivoluzionaria che ha accompagnato quei primi movimenti del proletariato è per forza reazionaria, quanto al contenuto; insegna un ascetismo generale e un rozzo egualitarismo.

I sistemi propriamente socialisti e comunisti, i sistemi di Saint-Simon, di Fourier, di Owen, ecc., emergono nel primo periodo, non sviluppato, della lotta fra proletariato e borghesia, che abbiamo esposto sopra (vedi: Borghesia e proletariato).

Certo, gli inventori di quei sistemi vedono l'antagonismo delle classi e anche l'efficacia degli elementi dissolventi nel seno della stessa società dominante. Ma non vedono nessuna attività storica autonoma dalla parte del proletariato, non vedono nessun movimento politico proprio e particolare del proletariato.

Poiché lo sviluppo dell'antagonismo fra le classi va di pari passo con lo sviluppo dell'industria, essi non trovano neppure le condizioni materiali per l'emancipazione del proletariato, e vanno in cerca d'una scienza sociale, di leggi sociali, per creare queste condizioni.

Per andare alla cartella di immagini cliccare qui

Roberto Nepoti, La trama

Una compagnia d'artisti ottiene seralmente grande successo in un teatrino popolare della Parigi ottocentesca. Vi agisce, tra gli altri, un mimo, Battista, artista dal temperamento romantico e sentimentale, che s'innamora romanticamente di una ragazza belloccia ed equivoca, Garance. Questa l'ama a modo suo e sarebbe disposta a divenirne l'amante; ma non comprende l'amore spirituale del mimo. Della situazione approfitta un amico di Battista, l'attore Federico, artista geniale, ma d'animo grossolano, che non esita a farsi di Garance un'amante. Ma un bel giorno Garance fugge con un ricco conte. Passano alcuni anni: Federico è diventato un grande e celebrato attore, Battista ha sposato senza amore una compagna d'arte, che l'adora, e ne ha avuto un figlio. Garance ritorna al teatrino popolare per rivedere Battista; questi sente rinascere in sé l'antico sentimento. I due s'amano appassionatamente, ma al sopraggiungere della moglie e dei figli, Garance se ne va. Il ricco conte viene ucciso nel bagno da uno sconosciuto; Federico continua a mietere effimeri allori; la vita continua a scorrere tumultuosa e implacabile, mentre ciascuno dei personaggi sopravvissuti continuerà a inseguire una felicità irraggiungibile.

[da «Marcel Carné» di Roberto Nepoti, ed. Il Castoro Cinema]

Morando Morandini, La trama

Con Alba tragica è il capolavoro della coppia Carné-Jacques Prévert. Al di là delle discussioni critiche che suscitò (con accuse di un'esaltazione della forma in bilico su un formalismo di splendore raggelato e di decadentismo troppo compiaciuto), il film vanta una galleria di personaggi memorabili, una sontuosa e raffinata ricostruzione d'epoca, una fertile dialettica drammatica tra la vita e la finzione (il teatro), figure storiche e personaggi inventati, tragedia e pantomima, il muto e il parlato. Girato a Nizza e a Parigi tra il 1943 e il 1944 con due lunghe interruzioni per ragioni belliche, uscì a Parigi nel maggio 1945. In Francia fu distribuito in 2 parti, l'edizione italiana, ridotta della metà.



Da: “Il Morandini - Dizionario dei film”, Zanichelli]

Roberto Nepoti, La critica

Il successo economico di «Les visiteurs du soir» permise a Carné di ottenere fondi eccezionali per quella che resta la sua opera più complessa, impegnativa e grandiosa: «Les enfants du paradis».L'idea del film nacque un giorno a Nizza. Carné e Prévert avevano allora in mente un altro progetto che si doveva chiamare "Jour de sortie". Il caso volle che Jean-Louis Barrault raccontasse loro un episodio della vita del mitico mimo Dubureau, processato per l'uccisione di un uomo, colpevole di averne insultata l'amante. Il regista e il suo sceneggiatore furono tentati dall'argomento e sottoposero ai produttori un soggetto che, pur non avendo alcuna relazione con l'episodio narrato da Barrault, era tematicamente centrato sulla figura del mimo e soprattutto sul contesto storico in cui questi aveva agito: l'epoca del teatro romantico. Le riprese del film furono iniziate nell'agosto del 1943 presso gli stabilimenti della Victorine, a Nizza, per concludersi nel 1945, dopo che ad André Paulvé, produttore di «Les visiteurs du soir» si era sostituita la società Pathé, per intervento della direzione del cinema. La lavorazione fu interrotta, con grave danno economico, allo sbarco degli alleati in Sicilia, quando la Direzione ordinò a tutti di rientrare a Parigi. Nel febbraio del '44, essendo l'avanzata alleata assai lenta, Carné tornò a Nizza per concludere le riprese. Fu lui stesso, questa volta, a rallentare la lavorazione, perché il suo fosse il primo film presentato all'indomani della Liberazione. Le riprese furono terminate negli studi Pathé-Francoeur di Parigi. All'ultimo istante intervenne un nuovo contrattempo perché Robert Le Vigan, che interpretava il ruolo di Jéricho, era stato condannato per collaborazionismo, la sua apparizione nel film risultava sconsigliabile. Il regista fu allora costretto a rifare le scene in cui Le Vigan compariva, dopo aver sostituito l'attore con Pierre Renoir.

Carné e Prévert si erano documentati ampiamente sull'epoca, lavorando al museo Carnavalet e alla Biblioteca Nazionale. Il boulevard du crime, centro fisico dell'azione del film, fu interamente ricostruito a Nizza sulla scorta di stampe dell'epoca: un'autentica strada lunga più di centocinquanta metri che costò la somma, enorme per l'epoca, di cinque milioni di franchi. Il costo complessivo del film assommò a 60 milioni di franchi. L'edizione integrale, divisa in due parti («Le boulevard du crime » e «L'homme blanc») misurava 5593 metri, pari a tre ore e un quarto circa di proiezione. In seguito, essa fu arbitrariamente amputata, per esigenze commerciali, fino a ridursi alla durata di due ore. In Italia la versione completa di «Les enfants du paradis» comparve solo nel 1969 sugli schermi televisivi. Fino ad allora non si conosceva altro che una copia mutila, privata, tra l'altro, di tutte le pantomime e presentata con l'insulso titolo di "Amanti perduti".

Con «Les enfants du paradis» Carné sembra aver raggiunto un nuovo e compiuto sentimento del tempo. Il respiro narrativo del film è ampio come quello dei grandi romanzi della tradizione ottocentesca francese. Regista e sceneggiatore trovano qui la loro dimensione più congeniale. La scrittura dell'autore si libera da quanto di retorico e convenzionale era solito appesantirne il tratto e il consueto pessimismi appare quasi decantato. Come indica la didascalia iniziale, la morale del film è di ascendenza shakespeariana: «Il mondo è un palcoscenico in cui uomini e donne sono gli attori. Essi vi fanno i loro ingressi e le loro uscite.»Da qui il classico rapporto vita reale/vita immaginaria (teatro), fondato sul principio dell'arte che crea la vita. È sostanzialmente un film di contrasti da cui prende origine la felice coesistenza di generi diversissimi fra loro. Il film infatti oscilla costantemente fra dramma e commedia, senza iati né dissonanze, ma anzi toccando disinvoltamente le corde del grottesco come del sublime, del comico come del terrificante. Se mimo, melodramma e tragedia realizzano insieme la trama compositiva, l'intercambiabilità dei ruoli ne sottolinea l'eclettismo. Tanto che Frédérick, il grande attore, può strappare fragorose risate al pubblico del melodramma, mentre Baptiste, il mimo, induce i suoi spettatori alle lacrime.

L'assunto che muove l'operazione registica è quindi quello di mostrare la vita come una rappresentazione che gli uomini inscenano nell'illusione di vivere. La scrittura eletta per questo aleph di tutte le vicende umane è di impronta decisamente realistica. Rinunciando ai simbolici contrasti di luce e all'espressività marcata delle strade bagnate o delle albe caliginose, Carné adotta questa volta una fotografia unitaria di rara sobrietà ed eleganza plastica. Il film fluisce in una prosa piana, semplice e diretta, priva di angolature ricercate o di effetti a sensazione. La tecnica è usata con una misura e un equilibrio così perfetti da costituire un esempio classico di cinema.

[da «Marcel Carné» di Roberto Nepoti, ed. Il Castoro Cinema]

Français. 1945. 183 min. Noir et blanc. Drame de mœurs réalisé par Marcel Carné. Scénario: Jacques Prévert. Photographie : Roger Hubert. Musique : Maurice Thiriet, Joseph Kosma. Décors : Alexandre Trauner.

Montage: Henri Rust. Interprètes : Arletty, Jean-Louis Barrault, Pierre Brasseur, Maria Casarès, Marcel Herrand, Louis Salou, Pierre Renoir.

En 1828, à Paris, sur le Boulevard du Crime. Deux jeunes artistes, Baptiste Debureau et Frédérick Lemaître, font leur début au Théâtre des Funambules et se lient d'amitié. Une jeune femme mystérieuse et séduisante, au nom de fleur, Garance, intervient dans leur vie. Alors que Baptiste, timide, n'ose lui déclarer son amour, Frédérick, plus déluré, en fait sa maîtresse. Mais Garance, impliquée malgré elle dans les crimes d'un certain Lacenaire, obtient la protection d'un noble, l'épouse et disparaît. Sept ans plus tard, Baptiste, devenu un mime célèbre, a épousé la fille du directeur du théâtre. Le retour de Garance provoque des incidents dramatiques.

Réalisée trois ans après les célèbres Visiteurs du Soir, cette fresque colossale de près de 3 heures constitue l'apogée du fameux réalisme poétique postérieur aux années 30 et dont le tandem Jacques Prévert - Marcel Carné est devenu l'archétype.

Ce film fut la production la plus prestigieuse entreprise en France sous l'Occupation (1943) et ne fut d'ailleurs achevée qu'après la Libération. Évocation d'époque remarquable de vie et de vraisemblance dans un grouillement de figurants et de décors habilement utilisés. La reconstitution du Boulevard du Crime est admirable. Les dialogues de Jacques Prévert sont parfaits et comportent de nombreuses répliques mémorables d'une saveur acide. Le jeu des acteurs, légendaires et passionnés, est exceptionnel et Barrault réussit de savoureux numéros de mime.

Incontestablement, Arletty est l'irradiante pierre de touche du récit : c'est autour d'elle que gravitent, en un ballet amoureux un peu désordonné, des hommes fascinés. Elle est devenue la "femme mythique" du cinéma français.

Et toujours, les Enfants du paradis s'impose, de sondage en sondage, comme "le" chef-d'oeuvre du cinéma français. Ce film culte est devenu "sacré" et "intouchable" comme peu d'autres œuvres du patrimoine cinématographique français.

Fonte: http://garance.chez.tiscali.fr/lesenfantsduparadis.html

“Progredisce!”, esclamò l’ingegnere quando sul tronco ferroviario appena inaugurato giunse il primo convoglio carico di persone, di carbone. di attrezzi. di rifornimenti alimentari.

La prateria si andava gradatamente riscaldando alla luce dorata del sole, mentre gli alti monti boscosi si ergevano all'orizzonte avvolti da vapori azzurrini. Cani selvatici e sbalorditi bufali osservavano da lontano come il deserto cedesse il posto al fervore di attività ed al trambusto e i cumuli di carbone, di cenere, di latta e di lamiera si andassero formando sulla verde distesa.

La prima pialla mandò per i campi attoniti un suono stridente, esplose come un tuono il primo colpo di fucile rimbombando fra i monti, la prima incudine emise suoni acuti e striduli sotto i colpi del martello. Sorse una casa di lamiera e nei giorni successivi ne venne su un'altra di legno, e altre ancora, e ogni giorno ne spuntavano di nuove, ben presto anche di pietra. L cani selvatici e i bufali se ne rimasero discosti. Nel clima primaverile frusciavano i campi ricolmi di frutti, spuntarono cortili, stalle e granai. Nuove strade percorsero lande ancora vergini.

Si apprestò la stazione ed entrò in funzione, e nei paraggi sorsero edifici pubblici. banche e, nel giro di qualche mese, altri centri. Giunsero lavoratori da altre parti, contadini e borghesi, vennero commercianti e avvocati, predicatori e insegnanti. Si fondarono una scuola. tre comunità. religiose e due giornali.

Si aprirono nella parte occidentale alcuni pozzi petroliferi e un notevole benessere sopraggiunse nella città di recente fondata. Nel giro di un anno sarebbero inoltre saltati fuori anche ladri, lenoni, scassinatori, un emporio, una lega antialcoolista, una sartoria parigina, una birreria bavarese. La concorrenza delle città vicine accelerò i tempi.

Non mancava più nulla, dai discorsi elettorali agli scioperi, dal cinema alla società spiritistica. Era possibile reperire in città vino francese, aringhe norvegesi, salumi italiani, tessuti inglesi, caviale russo. Giunsero ben presto sul posto in tournée cantanti, ballerini e musicisti di seconda categoria.

E piano piano arrivò anche la cultura. La città, che agli inizi altro non era che un'istituzione, prese ad essere una patria vera e propria. Si era creato un modo di salutarsi, di scambiarsi cenni del capo nell'incontrarsi che aveva qualcosa di sottilmente diverso da quello di altre città. La gente che aveva preso parte alla fondazione della città era stimata e venerata, avvolta in una specie di aura di piccola nobiltà. Cresceva una gioventù piena di slancio, alla quale la città appariva con l’aspetto di un'antica patria, ormai votata all’eternità.

Il tempo in cui era risuonato il primo colpo di martello, si era assistito al primo assassinio, si era celebrato il primo servizio divino, era stato stampato il primo giornale era ormai relegato nel passato. Si era fatto storia.

La città era assurta al rango di dominatrice delle altre vicine ed era diventata capitale di un grande distretto. Su strade ampie e animate, dove un tempo accanto a cumuli di cenere e a pozzanghere erano sorte le prime case di assi e lamiera, si ergevano ormai uffici e banche. teatri e chiese. Studenti frequentavano tranquillamente l’università o la biblioteca, ambulanze trasportavano delicatamente i malati all'ospedale, si notava e salutava l’automobile di qualche deputato. In una ventina di imponenti edifici scolastici in pietra e ferro si celebrava regolarmente l’anniversario della fondazione della gloriosa città con canti e conferenze. La prateria di un tempo era ormai ricoperta da campi, fabbriche, villaggi e solcata da una ventina di linee ferroviarie, la montagna era ormai raggiungibile fin nel cuore delle sue vallate grazie a una linea ferroviaria montana. Lassù, o più lontano, al mare, i ricchi possedevano le loro case di villeggiatura.

Dopo cento anni dalla fondazione, un terremoto distrusse completamente la città. Ma fu rimessa di nuovo in piedi e tutto ciò che prima era di legno venne ricostruito in pietra, quel che era piccolo fu fatto grande, senza risparmio di mezzi. La stazione era la più grande della zona, la borsa la più importante del continente, architetti e artisti adornarono la nuova città di edifici pubblici, di parchi, fontane, monumenti. Nel giro di un altro secolo la città si procurò la fama di essere la più bella e la più ricca della zona, una meraviglia da vedere. Personalità politiche e architetti, tecnici e sindaci accorsero dall'estero per studiare gli edifici, gli acquedotti. le trasformazioni e le nuove acquisizioni di questa famosa città. In quel periodo cominciava la costruzione del nuovo municipio, uno dei più grandi e magnifici palazzi del mondo, e poiché allora l'incipiente ricchezza e l’orgoglio cittadino si combinavano con una generale evoluzione del gusto, specie in architettura e in pittura, la città che stava crescendo rappresentava un ardito e apprezzato portento. Il centro del distretto, i cui edifici erano tutti indistintamente fatti di un marmo pregiato grigio chiaro, era circondato da un'ampia cintura verde di giardini pubblici e. aldilà di questa cerchia, si perdevano arterie stradali e case in espansione continua verso le aree ancora disponibili e l’aperta campagna.

Molto frequentato e apprezzato era un enorme museo. nelle cui centinaia di sale. cortili e atri era esposta la storia cittadina, dalla fondazione alla recente espansione. Il primo, grandioso atrio di quest'istituzione mostrava la prateria originaria, con piante e alberi ben ricostruiti e modelli fedeli dei miserabili villaggi, delle viuzze anguste, degli oggetti di arredamento dei primi tempi. Lì gironzolavano i giovani del posto e osservavano il percorso della loro storia, a partire dalle tende e dalle capanne di legno per arrivare ai primi rudimentali binari e al trionfo delle strade da grande metropoli. E così imparavano, guidati dai loro maestri, e apprendevano quella che è la regola aurea dello sviluppo e del progresso, come cioè si passi dal primitivo al raffinato, dall'animale all'uomo, dall'ignoranza alla scienza, dalla povertà all'opulenza, dalla natura alla civiltà.

Nel secolo seguente la città attinse l’apice del proprio splendore, dispiegando notevole esuberanza e crescendo celermente, finché non sopraggiunse una sanguinosa rivoluzione degli strati inferiori a porre termine a tutto questo. La plebaglia prese allora a incendiare molti degli impianti petroliferi, a qualche miglio di distanza dalla città. per cui gran parte delle terre occupate da fabbriche, fattorie. villaggi in certi casi bruciarono, in altri si spopolarono. La città stessa conobbe massacri e atrocità di ogni genere, pur riuscendo a rimanere in piedi e a riprendersi gradatamente in qualche decennio, senza però poter più recuperare i precedenti ritmi di vita e di attività.

In quel triste periodo era fiorita rapidamente al di là del mare una terra remota, che forniva grano, ferro, argento e altri tesori, grazie alla fertilità di terreni non sfruttati che producevano ancora generosamente. La nuova terra attrasse a sé con forza le energie infrante, le aspirazioni e i desideri del vecchio mondo, per cui all'improvviso spuntarono fuori nuove città, sparirono boschi, si arginarono cascate.

La bella città cominciò lentamente a languire. Non rappresentava più il cuore e la mente di un mondo. non era più mercato e polo finanziario di più centri abitati. Doveva accontentarsi del fatto di sopravvivere e di non essere pervasa dal terrore provocato dal frastuono della modernità. Le energie inoperose, nella misura in cui sopravvivevano a confronto con il frenetico nuovo mondo, non dovevano più darsi da fare a costruire e a espandersi, e ancora meno a trafficare e ad arricchirsi. Al posto di tutto questo, sull'ormai esausto suolo agricolo proruppe un nuovo rigoglio spirituale: scienziati e artisti. pittori e insegnanti abbandonarono la città, ormai in preda alla desolazione. I successori di coloro che un tempo avevano tirato su le prime case trascorrevano serenamente in pace i propri giorni, coltivando godimenti e aspirazioni spirituali, dipingendo i tristi fasti degli antichi giardini muscosi con statue in rovina e acque fangose, cantando in versi struggenti il frastuono dei vecchi tempi eroici o i sonni tranquilli della gente esausta negli antichi palazzi. Con il che di nuovo il nome e la fama di questa città risuonarono per il mondo.

Fuori le guerre potevano distruggere popoli e grandi attività li impegnavano. mentre qui, in spaventosa solitudine, regnava la pace e lentamente riaffiorava lo splendore dei tempi andati: strade tranquille, ricoperte di rami fioriti. facciate colorate dal tempo di edifici grandiosi intorno a silenziose piazze sognanti. fontane muscose inondate dal dolce suono del gioco delle acque.

Nel giro di qualche secolo l’antica città di sogno divenne per il nuovo mondo un luogo venerato e amato, cantato dai poeti e ricercato dagli innamorati. Con sempre maggior forza, la vita della gente si proiettava verso altre parti del globo. Nella stessa città gli eredi delle antiche famiglie locali cominciavano a estinguersi o ad essere messi da parte.

Anche l’ultima fioritura spirituale si era progressivamente esaurita, non lasciando dietro di sé altro che misere tracce. I centri minori dei dintorni erano ormai scomparsi da molto tempo, trasformali in muti cumuli di rovine, a volte rifugio di zingari o evasi. In seguito a un sisma, che tuttavia risparmiò la città, il corso dei fiumi deviò e parte delle terre spopolate si trasformarono in palude, parte divennero desertiche. E dai monti, dove si andavano sbriciolando i resti degli antichi ponti di pietra e delle case di campagna, avanzò il bosco, l’antico bosco. lentamente, giù giù verso il basso; scorse l’ampio paesaggio ormai desolato e deserto e cominciò piano piano a inglobarlo un passo dietro l’altro, nella sua verde cerchia, ricoprendo col suo verde fruscìo qui una palude, là un ammasso di detriti pietrosi con le sue giovani. fitte conifere.

Nella città, alla fine, non rimase neanche un borghese, solo gente indurita e rude che viveva nei fatiscenti, sghimbesci edifici di un tempo lontano e pascolava le sue misere capre lungo quelli che erano stati una volta viali e giardini. Anche questa popolazione residua sparì a poco a poco, in preda alle malattie o alla follia, imperversando in tutta la landa febbri malariche e abbandono e desolazione.

I resti dell'antico municipio, un tempo orgoglio e vanto della sua epoca, si ergevano ancora più alti e imponenti. erano celebrati nelle canzoni in tutte le lingue del mondo. ispiravano innumerevoli leggende fra le popolazioni vicine, le cui città erano anch'esse cadute in rovina e la cui cultura si era andata estinguendo. nelle canzoni nostalgiche

Nelle storie per i ragazzi e nelle canzoni nostalgiche restavano, deformati e distorti, i nomi delle città e di quelle che ormai altro non erano che metropoli spettrali, e scienziati ed eruditi di popoli lontani, allora in pieno rigoglio, compirono in gran numero avventurosi viaggi esplorativi alla volta della città distrutte, dei cui portenti gli scolari di vari paesi parlavano avidamente fra loro. Vi si sarebbero trovate porte d’oro fino e tombe piene di pietre preziose, e le fiere tribù nomadi dei dintorni. superstiti degli antichi tempi mitici, avrebbero ereditato il retaggio di una millenaria scienza magica dispersa.

Intanto però il bosco continuava a venir giù dal monte fin nei paraggi; laghi e fiumi nascevano e sparivano, mentre il bosco continuava ad avanzare e a prendere piede, ricoprendo i resti delle antiche strade, dei palazzi, dei templi, del museo; e volpi e martori, lupi ed orsi ripopolavano il paesaggio.

Su uno del palazzi distrutti, di cui non rimaneva più in piedi neanche una pietra, spuntava un giovane pino selvatico, che appena l'anno prima era stato il messaggero e l’antesignano del progresso de! borgo. Ora però si vide circondato da altri giovani pini.

"Progredisce!", esclamò un picchio, che se ne stava martellando una corteccia, ammirando il bosco circostante e il lieto. verde avanzare degli alberi sul terreno.

Chi è Herman Hesse: una visita al suo portale

Mangia cose sane e molto riso integrale.

Dai agli altri più di quello che si aspettano e fallo con piacere.

Non credere in tutto ciò che ascolti, e non spendere tutto cio' che hai.

Non dormire tutto il tempo che vuoi.

Quando dici Ti amo, dillo sul serio...

Quando dici Mi dispiace, guarda la persona negli occhi.

Mantieni un fidanzamento di almeno sei mesi prima di sposarti.

Credi nell'amore a prima vista.

Non ridere mai dei sogni degli altri.

Ama profondamente e appassionatamente. Forse ne uscirai ferito, ma questo e' l'unico modo di vivere pienamente la vita.

In caso di disaccordo con gli altri, discuti con chiarezza.

Non offendere.

Non giudicare gli altri in base alla loro famiglia.

Parla lentamente, ma pensa velocemente.

Se qualcuno ti fa una domanda a cui non vuoi rispondere, sorridi e domanda: Perché lo vuoi sapere?

Ricorda che l'amore più grande e i più grandi risultati implicano i rischi maggiori.

Cura e comprendi i tuoi genitori.

Quando perdi, non perdere la lezione di vita.

Ricorda le tre R: Rispetto per te stesso, Rispetto per gli altri, Responsabilita' per tutte le tue azioni.

Non permettere che un piccolo litigio rovini una grande amicizia.

Se ti rendi conto di aver commesso un errore, prendi immediatamente una decisione per rimediare.

Sorridi quando rispondi al telefono. Chi chiama forse sentira' il sorriso nella tua voce.

Sposati con un uomo o con una donna a cui piaccia conversare. Quando sarete vecchi, le sue capacita' di conversatore saranno piu' importanti di qualsiasi altra cosa.

Passa parte del tuo tempo in solitudine.

Sii aperto al cambiamento, ma non ti allontanare dai tuoi valori.

Ricorda che il silenzio e', a volte, la risposta migliore.

Leggi piu' libri e guarda meno la televisione.

Vivi una vita buona e onesta. Quando sarai vecchio e ricorderai

il passato, vedrai che ne trarrai nuova gioia.

Abbi fede in Dio, ma chiudi bene la tua casa.

E' importante che ci sia una atmosfera di amore nella tua casa.

Fa tutto il possibile per creare un ambiente sereno e armonioso.

Se sei in disaccordo con i tuoi cari, concentrati solo nella situazione presente. Non tirare in ballo il passato.

Leggi tra le righe.

Condividi con gli altri cio' che sai. E' un modo per raggiungere l'immortalita'.

Non interrompere mai quando qualcuno ti loda.

Occupati dei fatti tuoi.

Non ti fidare di un uomo/di una donna che non chiude gli occhi quando lo/la baci.

Una volta all'anno visita un luogo dove non eri stato prima.

Se disponi di molti soldi, usali per aiutare gli altri quando sei vivo. Questa e' la piu' grande soddisfazione che ti puo' dare la vita.

Impara tutte le regole, e poi infrangine qualcuna.

Ricorda che il rapporto migliore e' quello nel quale l'amore tra due persone e' piu' grande del bisogno che l'uno ha dell'altro.

Giudica il tuo successo in base a cio' a cui hai dovuto rinunciare per ottenerlo.

Affronta l'amore e la cucina con un certo abbandono temerario.

In una dimora sotterranea a forma di caverna, con l'entrata aperta alla luce e ampia quanto la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, con le gambe e il collo incatenati, in modo da dover restare fermi e da poter guardare solo in avanti, incapaci, a causa della catena, di girare il capo. Alle loro spalle brilli alta e lontana la luce di un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra una strada rialzata. Lungo questa strada pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti agli spettatori per mostrare al di sopra di essi i burattini.

- Vedo, rispose.

- Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni tipo sporgenti dal margine, statue e altre figure di pietra e di legno, lavorate in vario modo; come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono.

- E' strana la tua immagine, disse, e strani sono quei prigionieri.

- Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?

- E come possono vedere, replicò, se sono costretti a tenere immobile il

capo per tutta la vita?

- E non è lo stesso per gli oggetti trasportati?

- Sicuramente.

- Se quei prigionieri possono conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni?

- Certo.

- E se la prigione avesse anche un eco dalla parte di fronte? E ogni volta

che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbe

diversa dall'ombra che passa?

- No, per Zeus!, rispose.

- Per tali persone insomma, dissi io, la verità è costituita proprio dalle ombre degli oggetti artificiali.

- Certo, ammise.

- Guarda ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall'incoscienza. Ammetti che capitasse loro un caso come questo: che uno si sciogliesse, fosse costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che, così facendo, provasse dolore e il bagliore lo rendesse incapace di scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa pensi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva immagini vuote e prive di senso, ma che ora, essendo più vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso gli oggetti che hanno più essere, può vedere meglio? E se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cos'è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe più vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate ora?

- Certo, rispose.

- E se lo si obbligasse a guardare la luce, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? E non li giudicherebbe realmente più chiari di quelli che gli fossero mostrati?

- E' così, rispose.

- Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lì a forza, su per la salita

aspra ed erta e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del

sole, non ne soffrirebbe e non si irriterebbe per il fatto di essere trascinato?

E, giunto alla luce, poiché i suoi occhi sono abbagliati, non potrebbe vedere

nemmeno una delle cose che ora sono considerate vere.

- Certo non potrebbe, rispose, almeno così all'improvviso.

- Deve abituarvisi, credo, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre, poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell'acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso più facilmente che durante il giorno il sole e la sua luce.

- Come no?

- Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare il Sole quale veramente è, non le sue immagini nelle acque o su un'altra superficie, ma il Sole in se stesso, nella regione che gli è propria.

- Certo, disse.

- Dopo, parlando del sole, potrebbe concludere che è esso a determinare le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in qualche modo, di tutto ciò che egli e i suoi compagni vedevano.

- E' chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà così.

- E ricordandosi della sua prima dimora, della conoscenza che là aveva e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro?

- Certo.

- Quanto agli onori e agli elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai premi riservati a chi fosse più acuto nell'osservare gli oggetti che passavano e ricordasse meglio quanti ne sfilavano prima, dopo e insieme, indovinandone quindi il successivo, credi che li desidererebbe e che invidierebbe quelli che avessero onore e potenza tra i prigionieri? O che si troverebbe nella condizione descritta da Omero e preferirebbe "servir altri da contadino per salario, uomo senza ricchezza", e soffrirebbe di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo?

- La penso così anch'io, rispose; accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo.

- Rifletti ora su quest'altro punto, dissi io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere su un medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di cenere tenebra, venendo all'improvviso dal sole?

- Si, certo, rispose.

- E se dovesse distinguere di nuovo quelle ombre e contendere con quelli che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima che gli occhi tornino allo stato normale? E se questo periodo in cui riacquista l'abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe allora oggetto di riso? E non si direbbe di lui che dalla sua salita tornato con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentar di salire? E se cominciasse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse non lo ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani?

- Certamente, rispose.

Dalla Repubblica VII, 514, 515, 516, 517 di Platone

[…]Ora, se uno vuol sfogare la sua bile contro di me e tirarmi una botta micidiale, si può star certi che verranno in ballo la mia origine lubecchese e il famoso "marzapane" di Lubecca: se non gli viene in testa nient'altro, ricorderà almeno, collegandolo a me, il comicissimo marzapane, ed ecco che mi si definisce un fabbricante di marzapane lubecchese, che sarebbe poi quella che si dice satira letteraria. Ma è una botta che non mi fa proprio male: per quel che riguarda Lubecca, infatti, mi pare che da qualche parte bisogna pur nascere, e non vedo perché Lubecca debba essere un luogo d'origine piú ridicolo di un altro: per conto mio, anzi, lo considero tra i migliori. Il marzapane, poi, mi offende ancor meno, perché in primis è una sostanza gustosissima, e in secondo luogo è tutt'altro che triviale, ma addirittura degna di nota e, come ho già detto, misteriosa. "Marci-pan" significa evidentemente, o almeno secondo la mia teoria, panis Marci, pane di Marco, di san Marco, il patrono di Venezia. E se esaminiamo più attentamente questo dolce, questa mistura di mandorla, di acqua di rose e di zucchero, ci si affaccia spontaneo il sospetto che c'entri in qualche modo l'Oriente, che ci troviamo di fronte a un dolciume da harem e che probabilmente la ricetta di questa leccornia succulenta e indigesta è venuta a Lubecca dall'Oriente attraverso Venezia, portata da un qualche signor Niederegger. Venezia e Lubecca: alcuni di voi ricorderanno che ho scritto un racconto, La morte a Venezia, in cui mi dimostro in un certo senso come a casa mia in quella città seducente e sacra alla morte, la città romantica per eccellenza, e uso l'espressione "a casa mia" nel suo significato pieno e letterale, nel senso, cioè, di un'altra mia composizione, idilliaca questa, che accenna quasi per gioco il ritmo dell'esametro e in cui affermo che la mia città natale me la ritrovo due volte: l'una sul porto del Baltico, gotica e grigia, e poi un'altra volta, sorgente come per miracolo, lontana, gli archi a sesto acuto travestiti in stile moresco, sulla laguna…[…]

Chi è Thomas Mann:

secondo Sapere

secondo Encarta

secondo Liceoberchet.it

secondo BBC Educational


La città come modulo inventato dalla specie l'incirca diecimila anni fa è in via di dissoluzione, senza che ancora si capisca bene quale altra forma di convivenza prenderà il suo posto
Ernesto Balducci,

”Testimonianze”, 1992

Questo volume apre la collana "Luoghi" con una esemplificazione paradigmatica dell’approccio interpretativo della nostra scuola: racconta la "biografia" (ovvero nascita, vita e morte) di una regione urbana, la piana di Firenze, attraverso l’interpretazione del processo di territorializzazione di lunga durata che caratterizza diversi cicli di civilizzazione, ognuno dei quali deposita e accumula progressivamente segni di paesaggio, consolidando nel tempo un'identità territoriale. É una esempio di descrizione fondativa di un potenziate statuto del luogo, in questo caso, purtroppo, alla memoria. Provo sinteticamente a richiamare i caratteri identitari della piana di Firenze dalla narrazione biografica del testo, che descrive gli atti territorializzanti della civilizzazione etrusca, romana, atto medioevale, del basso medioevo (repubblica fiorentina) che si consolidano attraverso apporti di arricchimento della civilizzazione rinascimentale e di quella lorenese, maturando la individualità del luogo senza mutarne più sostanzialmente rimpianto generale fino alle soglie della civilizzazione contemporanea. Se ne evince uno straordinario affresco del continuo aumento di “massa territoriale” (concetto che Daniela Poli riprende da Angelo Turco) che “fino al periodo medievale si è accresciuta trasformandosi, mentre dal periodo medievale a quello lorenese si trasforma senza più accrescere”. Il dialogo costante, co-evolutivo, con i caratteri del luogo (la conca pliocenica delimitata dai rilievi del monte Morello, dalle conoidi, dal microterrazzo fluviale, caratterizzata dalle divagazioni fluviali e dalle zone palustri) da parte delle civilizzazioni che si sono succedute netta piana con impianti culturali diversi fra Loro ha sedimentato una "personalità" della regione (usando le parole di Vidal de la Blanche) ancora leggibile in una cartografia IGM degli anni '50: la costellazione dei centri urbani (Firenze, Rifredi, Sesto, Calenzano, Prato, Signa) si situa sul bordo esterno dell’antico lago pliocenico, sul microterrazzo fluviale (Firenze), sui controcrinali e sulle conoidi di deiezione, terminati rivieraschi di profondi sistemi vallivi e di sistemi di comunicazione interregionale, rispettando la configurazione della piana che presenta una parte interna umida e delicata, segnata dai bacini idrografici dell’Arno, del Bisenzio, del Mugnone e i bordi solidi al di sopra della faglia trasversale; gli insediamenti sono puntiformi tanto da consentire le concessioni biotiche e la continuità delle reti ecologiche fra i vari ecosistemi; il sistema delle ville di monte Morello definisce un asse strutturale e percettivo fra il monte e la piana; i terrazzamenti, i ciglionamenti, te arature a giro poggio disegnano il paesaggio collinare con neoecosistemi resistenti e connessi a pettine con la piana attraverso la microorganizzazione mezzadrile che si completa alla fine dell’ottocento; nella parte interna si situano solo pochi insediamenti su 'isole o su un sorta di “argini naturali”' e la viabilità di sponda fluviale (la via Pistoiese, la via Pisana) su rotte create dall'accumulo di detriti fluviali. La viabilità principale (la pedemontana etrusca, la Cassia) ma anche l'acquedotto romano e la ferrovia e infine gli insediamenti si dispongono corse strutture rivierasche, Lungo il bordo dell’antico lago, al di sopra della faglia. L’interno umido pianeggiante rimane, nel tempo lungo della biografia, prevalentemente “spazio aperto” agroforestale: sia nella bonifica intensiva della centuriazione romana, tanto più nell'incolto palustre altomediovale, ma anche nell'appoderamento mezzadrile, rispettando i caratteri identitari del luogo e i limiti naturali e ambientati che esso poneva, in un'alternanza di avanzamenti e arretramenti, che comunque non modificano il suo carattere di spazio aperto, la cui dominante è il sistema delle acque: naturali ma anche artificiali che connettono il sistema pedecollinare all’Arno, a partire dal potente progetto di suolo costituito dall'orditura territoriale della centuriazione romana che ritma le. successive scritture di insediamenti collinari e di piana: pievi, borghi, ville, poderi, coltivi, viali alberati e siepi.

Il ritratto unitario che emerge da questo schizzo è frutto di due processi: il dialogo costante fra strutture insediative e caratteristiche ambientali, che della le regole sapienti e “invarianti” delle trasformazioni; e la reinterpretazione innovativo, da parte delle civilizzazioni che si susseguono, delle partiture precedenti. Se è vero che un territorio come costrutto storico di lunga durata ha un carattere, un'individualità, è un sistema vivente ad alta complessità, di cui si può dunque scrivere una 'biografia', allora è altrettanto vero che quel territorio-individuo può morire. Per molte cause; ad esempio per abbandono, assenza di cura (ad esempio un sistema collinare terrazzato), oppure per 'soffocamento' ad opera di atti deterritorializzanti che ne distruggono le capacità autoriproduttive (ad esempio le aree pianeggianti di espansione metropolitana).

In che stadio della sua vita si trova l’individuo “piana di Firenze” descritto in questa biografia? Sta bene? è moribondo? è morto? L”oscenario” che è seguito al ritratto che ho schizzato è frutto di una sostanziate trattamento della piana come un “vuoto”, un “ventre molle” dell’espansione di funzioni della città di Firenze, tipico della formazione dei modelli metropolitana centroperiferici della fase matura dell’industrialesimo fordista, che ha depositato funzioni di accentramento a caso, ignaro degli equilibri ambientati e delle regole territoriali che per secoli hanno guidato l'aumento di valore del patrimonio territoriale e ne hanno definito l'identità; o meglio ha depositato funzioni con regole di urbanizzazione dettate unicamente dalle leggi della localizzazione economica e dalla rendita fondiaria (“Fondiaria” è anche il nome emblematico di uno dei principali attori del riempimento del vuoto).

A partire dagli anni '50 Firenze subisce una veloce trasformazione che la porta ad espandersi a macchia d'olio e a dilagare nel suo "ventre molte", la piana. le aree produttive si concentrano in ampi macrolotti, piastre industriali e terziarie nei pressi degli svincoli autostradali; le espansioni residenziali completano l'occupazione delle aree paludose e delle casse di espansione fluviale; i padiglioni universitari si spingono verso il centro della piana; t'aeroporto insiste in una delicata zona di regimazione idrica, a distanze a rischio fra insediamenti abitativi, autostrade e i rilievi montani del monte Morello; l’autostrada modella una viabilità ostile ai segni della storia, incurante delle delicate tessiture territoriali. I decentramenti di funzioni urbane (caserme, uffici pubblici, università, centri direzionati, residenze, ipermercati) vanno “riempiendo” progressivamente la piana senza alcuna regola che tenga conto dell’identità del luogo, considerandola come un vuoto buono a tutti gli usi. Questo già pesante carico insediativo è aggravato dai progetti residenziali e terziari in corso.

La piana di Firenze è diventato il “non luogo” per eccellenza della città contemporanea: un “retro vuoto” della città, che mette in mostra l'immagine simbolo del centro storico, e che ha un vasto cortile da riempire alta rinfusa con tutti gli oggetti ingombranti, brutti e inquinanti, distruggendo progressivamente l’identità storica, territoriale, ambientate, paesistica di un ex luogo del “bel paesaggio”. Questo modello insediativo, oltre a cancellare l’identità storico-morfologica lentamente costruitasi nel tempo, genera effetti devastanti sull'ambiente e sul paesaggio: innalza l’isola di calore, rompe il delicato microclima, aggrava l’inquinamento atmosferico e idrico, elimina te connessione biotiche, produce desertificazione ecosistemica, crea congestioni di traffico, abbassa la qualità dell'abitare, creando una generate condizione di perifericità; occlude visivamente e fruitivamente, con colate di edilizia anonima, il margine collinare della pianura. Dunque possiamo rispondere atta domanda: l'individuo piana, di cui si traccia la biografia in questo libro è morto o moribondo. E comunque le condizioni della rinascita non appartengono a tempi brevi, dovendo passare attraverso lunghe fasi di demolizione e ricostruzione se e quando una nuova civilizzazione, sensibile atta cura dei luoghi e alla qualità dell'abitare, le intraprenderà. Per intanto, leggendo questo ritratto “laudativo” serpeggia un rimpianto, che potrebbe anche costituire un'utile esercitazione per gli studenti di architettura del nuovo millennio, cui questo libro è rivolto in particolare come esemplificazione di un metodo analitico. Se è lecito porre delle ipoteche sul passato si potrebbe immaginare come avrebbe potuto costruirsi, negli anni del piano Detti, una configurazione diversa delta piana se fosse esistito, nella cultura urbanistica di quel tempo, uno “statuto” di quel luogo, affisso nelle bacheche dei comuni della piana. Innanzitutto si sarebbe potuto ragionare, come nel periodo lorenese, sulla bonifica e valorizzazione del sistema regionale toscano nelle sue potenzialità date da una eccezionale rete di città storiche e di sistemi territoriali locali, non necessariamente concentrando il decentramento nella piana,, ma potenziando il sistema regionale policentrico, facendo di Firenze un centro di coordinamento di un sistema reticolare complesso. Il che avrebbe consentito di valutare possibilità insediative netta regione urbana fiorentina legate alle capacità di carico del sistema insediativo (opportunità dell'offerta) e non sulle esigenze immediate tumultuose della espansione urbana (imperativi della domanda), che si sono riversate sulla parte più debole del territorio (proprietari a minor resistenza e valori fondiari più bassi), e più adatta ad accogliere funzioni massificate.

In secondo luogo, entro questi ridefiniti limiti quantitativi dell'espansione si sarebbe potuto seguire regole insediative incrementati che rispettassero equilibri ambientati, localizzazioni e tipologie territoriali e urbane che proseguissero e arricchissero il disegno territoriale e l’individualità storica della piana, a tutto vantaggio delta costruzione di una città contemporaneo improntata a principi di sostenibilità ambientate, territoriale, sociale, paesistica e cosi via autosostenendo.Tutto ciò non è avvenuto. E ora? è possibile una tardiva applicazione dello “statuto dei luoghi” cui allude questa biografia? Va a questo punto sciolto un possibile equivoco che la biografia potrebbe sollevare. Mi sembra che fra l'interpretazione delle regole che hanno definito il “'tipo”' territoriale e t'individualità del luogo e la sua trasformazione futura non venga proposta nel testo una conseguenzialità lineare del piano,inteso in senso muratoriano, come semplice compiersi dello statuto che è già implicato nel territorio: te civilizzazioni succedutesi nella piana mostrano che la valorizzazione del patrimonio e il suo accrescimento ne l tempo storico è avvenuto producendo atti territorializzanti affatto diversi tra loro. la crescita dell'individualità avviene netta trasformazione e netta innovazione, pur nella costante attenzione al processo coevolutivo e agli equilibri ecosistemici (tranne nel caso della civilizzazione tardo industriale fordista). Dunque le scelte possibili nei futuro sono molteplici e dipendono dall’esito del confltitto di una molteplicità di attori e dalla natura “patrizia”, responsabile o meno, del futuro statuto, nell’interpretazione e gestione del patrimonio e delle sue risorse.

Avanzo tre visioni utopiche e una realistica, che mi vengono ispirate dalla biografia:

- quella che richiama il modello atto medievale: copertura delle funzioni del “retro” di Firenze attraverso una forte fascia boscata che ridisegni i confini del lago pliocenico con penetrazioni di bosco planiziale nascondendo alla vista tutto ciò che vi sta dentro e costituendo un neoecosistema che riconnetta reti ecologiche e sistemi ambientali (un richiamo a Porcinai, ma anche al più recente (1990) progetto di Pizziolo del sistema ambientale per lo Schema Strutturale Firenze Prato Pistoia);

- quella che richiama il modello lorenese; riorganizzazione e valorizzazione del sistema regionale poticentrico (la “toscana delle toscane”) con conseguente alleggerimento della pressione, soprattutto terziaria, su Firenze; demolizione e riqualificazione a partire dal ridisegno e da l rafforzamento produttivo degli spazi aperti: la nuova agricoltura di qualità come mezzo di produzione di beni pubblici, i parchi agricoli periurbani connessi a rete per un nuovo disegno del territorio organizzato dagli spazi aperti.

- la visione di una nuova civilizzazione collinare che marginalizzi la piana come sito degradato e dismesso della civilizzazione industriale e la renda principale Luogo di archeologia della contemporaneità, un bosco planiziate e zone umide dove nette radure della foresta appaiano i ruderi dei Gigli e dell’Osmannoro.

- Infine una visione più realistica della “ville émergente” tardo moderna: quella di completare il riempimento dei vuoti di università, uffici, svincoli, reti, autostrade e abitazioni fin sotto atta pista della aereoporto, nel pieno rispetto degli indici di urbanizzazione e chiamando i ritagli di spazi aperti residuali parchi urbani... Il libro non si avventura su questi scenari, se non per accenni di uno scenario strategico di tipo “lorenese”: un sistema regionale policentrico e, in esso, una regione urbana-parco.

Si tratta di accenni perché il cuore del libro risiede nell'esemplificazione - anche didattica e metodologica - di come condurre una storia del processo di territorializzazione, rifondativa dell'analisi urbanistica.

Una storia finalizzata a processi di sviluppo fondati sulla valorizzazione del patrimonio territoriale e a una progettualità rifondata sulla ricerca dell'identità dei luoghi, delle sue invarianti e dei suoi statuti da interpretare creativamente con nuovi soggetti e nuove forme della cura.

[…] Lo splendore delle strade principali di Augusta non poteva accecarlo; egli sapeva che là vicino si trovavano dei quartieri miseri, in cui il grande bisogno si faceva sentire sempre più largamente. Con grandi sbalzi di anno in anno la ricchezza complessiva di Augusta si era accresciuta; ricchezza e fasto della città erano divenuti proverbiali in tutto il mondo. Ma contemporaneamente era anche cresciuto di un terzo il numero degli esenti dalle tasse e si era considerevolmente ingrossata la massa degli «uomini del popolo». Così luce ed ombra stavano l'una accanto all'altra e nessuno più del Fugger avvertiva questo chiaroscuro. Perciò egli fece di tutto per mitigare durezze e alleviare danni. Nel bilancio del 1511 egli mette a disposizione per provvidenze sociali a carico della sua società 30.000 fiorini, quasi la decima parte della somma complessiva in base all'ammontare del capitale commerciale di allora: 5.000 fiorini dovevano permettere di realizzare il piano progettato già da lungo tempo della costruzione di un lotto di abitazioni.

Con un istrumento del 26 febbraio 1514 Jacob acquistò dalla signora Anna Strauss, vedova di Hieronymus Welter, «dinanzi alla Streffingertor nel sobborgo di San Jakob, per 900 fiorini d'oro quattro case con giardino». Inoltre il 10 marzo 1516 acquistò dal macellaio Hans Zoller nella stessa zona tre altre case con giardino, che egli negli anni successivi fece demolire. Con il Consiglio del comune fu convenuto che qui dovessero: sorgere delle abitazioni, per le quali «non si dovesse pagare nessuna tassa sui fabbricati, fintantoché l'affitto per queste abitazioni ammontava ad un fiorino d'oro» Gli inquilini dovevano essere sottoposti alla giurisdizione del comune, ma l'amministrazione era di pertinenza solo dei Fugger.

Nello stesso anno fu iniziata la costruzione del grande quartiere, che fu ;compiuta nel 1523, con 53. case ad un piano. «Il sovrintendente dei signori Fucker nella costruzione della Fuckerei» era Thomas Krebs, che già prima aveva costruito per Jacob a Georgenthal e in altri luoghi case operaie, e che ora ricevette l'incarico di costruire su questo terreno di circa 10.000 metri quadrati un quartiere come se ne erano già visti in Olanda. Fu costruito in forma di quadrato, circondato da mura, a cui si accedeva per quattro porte. Nelle strade larghe e disposte simmetricamente si allineavano le une accanto alle altre le semplici e linde casette. Mentre la fisionomia delle città medioevali era pittorescamente mobile e varia, le strade di questa colonia che s'incrociavano ad angolo retto rappresentavano qualcosa di completamente nuovo. L'idea di questo piano stradale proveniva. da Albrecht Dürer, che ne aveva parlato con Jacob nel 1518, quando l'artista soggiornò ad Augusta in occasione della dieta. Piú tardi il Dürer lo espose con maggior precisione nel suo libro Etlicher Unterricht zur Befestigüng der Städte, Schlösser und Flecken (Alcune lezioni sulla fortificazione di città, castelli e borghi).Egli progetta qui la costruzione di una città ideale; la pianta della colonia Fugger sembra esser stata tolta direttamente di qua.

Lo scopo della fondazione é esposto-in una scritta incisa in una lastra di marmo con lo scudo dei Fugger, che é collocata sulla cosidetta «porta dei signori». «Nel 1519 i fratelli carnali Ulrich, Georg e Jacob Fugger di Augusta in considerazione che essi sano nati per il benessere comune e che devono i loro grandissimi beni di fortuna prima di tutto all'Altissimo e Clemente Signore e appunto, a questo devono renderli, per pietà e particolare liberalità, ché deve servire d'esempio, hanno dato, regalato e consacrato questa fondazione ai loro concittadini poveri, ma probi».

In seguito alla continua affluenza di tessitori e di altri artigiani in città, la gente laggiù aveva dovuto addensarsi sempre di più cosicché ben presto era sorta una grande carestia di alloggi. Per attenuarla Jacob aveva messo in opera una colonia, che ben presto dal popolo fu chiamata «Fuggerei» e che fu la prima istituzione sociale tedesca fondata da un'impresa privata.

In base all'istrumento di fondazione del 23 agosto 1521 «queste case devono esser date gratuitamente in lode e onore di Dio ai pii operai e artigiani, borghesi e abitanti della città di Augusta, che siano in bisogno e che più ne siano meritevoli. Ogni comunità di inquilini deve pagare annualmente per la manutenzione un fiorino renano come garanzia che ciascuno rimetta in ordine quello che ha rotto. Inoltre ciascun individuo, giovane o vecchio, come può, deve dire ogni giorno per. i fondatori e i loro antenati e discendenti un Paternoster, un'Ave Maria e un Credo». Ogni casa comprendeva due alloggi, ciascuno con un ingresso particolare dalla strada; erano di forma gradevole e imbiancate. Ogni alloggio comprendeva una stanza riscaldabile e una non riscaldabile, una cucina, un gabinetto ed una legnaia. Seguirono altre fondazioni; i 10.000 fiorini lasciati come legato il 23 agosto 1521 furono impiegati principalmente per la,«Fuggerei». Sessant'anni più tardi fu costruita da Marx Fugger una cappella, un beneficiario, una scuola ed una fontana pubblica. Nel secolo XIX vennero altri lasciti cosicché oggi in 132 abitazioni può esser dato ricovero "a circa 500 persone. Dovenano passare secoli perché questa singolare fondazione benefica fosse imitata come esempio e riconosciuta come compito urgentissimo. Ma la sua fama fu celebrata già dai contemporanei, Il poeta della Slesia Salomon Frenzel espresse in forma ingenua e semplice il sentimento generale:

Guarda come molti anni fa

costruirono strade molto piú belle,

allineate diritte diritte,

come se si vedesse una città,

che fosse chiusa per se stessa,

perché intorno vi gira un muro.

Una gran fila di begli edifici

si dispongono l'uno accanto all'altro

ugualmente allestiti su un modello

e insieme per uno stesso compito.

Dentro possono starvi parecchi

cittadini secondo il bisogno,

che per sventura siano caduti

in povertà e gravi danni,

ma non scandalosamente

sciupa il suo patrimonio.

Machiavelli insegna che non si diventa grandi accumulando patrimoni, ma usandone rettamente.

La vita di Jacob Fugger acquistò il suo significato più profondo solo grazie alla sua magnificenza e al suo mecenatismo in favore delle scienze e delle arti. Gli atti da lui compiuti in questo campo sono altrettanto immortali che le sue possenti opere nel campo dell'economia e del commercio. Per questo il suo discendente Johann Jacob Fugger gli tributa nel «Libro d'onore della famiglia» una gloriosa commemorazione: «Per la sua liberalità egli. venne in grande fama in tutto l'Impero e in tutte le corti, il che diede a lui e alla sua stirpe maggior gloria che se egli, come fanno gli avari, avesse rinchiuso in casse la ricchezza toccatagli e quindi fosse stato non un signore ma solo un custode di quella».

L´Italia 2003 vanta un Guignol legale arricchito dal lodo Msc. La sigla designa i tre ai quali lo dobbiamo: Maccanico, inventore; Schifani, manovale; Ciampi, tessitore. Siamo un paese anomalo ma non attribuirei l´anomalia al solo B. Che abbia stomaco e cervello da squalo, consta da un´ormai lunga storia. La conclamano sguardo, ganasce, mani, ghigni, loquela, gesti: anche i meno esperti nell´antica arte della "physiognomia" vi leggono una fame incoercibile; sotto le pose socievoli viene il dubbio che non sia un uomo. La sua forza sta nel non pensare. Puro fenomeno biologico. L´avevo notato varie volte ma, col permesso dei lettori, cito ancora La Fontane dalla satira inedita d´un "Florentin", perché nei miei ricordi libreschi non esiste modello più pertinente. «Le Florentin/ montre à la fin/ ce qu´il sa faire»: somiglia ai lupi ed è giusto che sia così; un lupo dev´essere sé stesso, come la pecora; «j´en étais averti»; finisce male chi se lo piglia socio; afferra, stringe, divora tutto; ha tre gole; riempitelo e chiede ancora; niente lo sazia. L´epopea berlusconiana è una baraonda del «triple gosier»: impresario edile, scorridore d´affari misteriosi, piduista, decolla grazie al privilegio sull´etere concessogli dal sultano rosa Bettino Craxi, non gratis supponiamo; vi fonda una formidabile impresa dell´incretinimento collettivo, allungando le mani dovunque fiuti prede; tale il suo "genio" imprenditoriale, come gli adulatori lo chiamano, abusando delle parole; e poiché i lupi ignorano l´etica, né possiamo insegnarla ai pescicani, raccoglie anche disavventure penali, ad esempio, quando arraffa un impero editoriale cadendo sotto l´accusa d´essersi comprato la sentenza. Rimasto orfano del protettore, salta nell´arena politica, trascinato dall´ego furioso, contro i consigli d´un amico. Come fosse entrato a Palazzo Chigi, ne esca in capo a 6 mesi e vi torni dopo 6 anni e mezzo, ferocemente risoluto a starvi da padrone, è storia attuale. Niente d´anomalo, «car un loup doit toujours garder son caractère», né stupiscono i fondi schiumosi che porta a galla: gli uomini compongono una varia massa (dannata secondo sant´Agostino); il contegno dei meno riusciti dipende dai modelli dominanti; l´uomo-lupo-squalo ne impone d´orribili appena prenda piede. Forza Italia non è un club spirituale. Sbaglia chi vi cerchi Blaise Pascal o Albert Schweitzer, teologo-medico-organista-filantropo, o Eric Blair (nom de plume, George Orwell).

Il punto debole sta altrove. È un organismo anche l´ordinamento e sopravvive grazie ai filtri immunitari. In primo luogo, gli addetti alla repressione penale. Che lavorino bene, lo dicono i consuntivi: gli inquirenti scoprono sacche putride romane; dei giudici condannano i barattieri; le Sezioni unite negano allo squalo-lupo la fuga da Milano. Ma l´animale dalle tre gole, diventato presidente del consiglio e padrone delle Camere, non vuol lasciarsi giudicare: a parte le manfrine nel serraglio avvocatesco, fabbrica leggi pro domo sua, manda ispettori ministeriali, strepita, calunnia, estorce, imbroglia, forte del triplo potere economico, mediatico, politico. Inutile dire che pericolo sia. Anche qui esistono antidoti. La Corte costituzionale rimuove le norme invalide. Sullo stesso colle, nell´antica dimora dei papi, abita il Capo dello Stato: Repubblica parlamentare ma non la presiede un notaio chiamato a omologare qualunque nefandezza parlamento e governo presentino; esiste un controllo preventivo dei dl governativi, presentabili solo col suo assenso (art. 87 Cost., c. 4); e senza immischiarsi nelle scelte puramente politiche, può restituire alle Camere leggi secondo lui abnormi, spiegandone i motivi, affinché le ripensino.

Ora, pone problemi terribili l´esservi a Palazzo Chigi uno come B., organicamente impolitico, divoratore, artista della soperchieria, padrone del sistema mediatico, editore egemone, talmente ricco da comprarsi quante anime morte vuole: due anni fa metà degli elettori gli crede; l´altra lo subisce come una disgrazia meritata. Spetta al custode impedire che straripi, o almeno tentarlo perché se le Camere reiterano il voto, noncuranti del messaggio, l´art. 74 Cost. l´obbliga a promulgare i testi galeotti. Come ha esercitato tali poteri? Molto flebilmente fino all´ultimo inverno. Niente sul conflitto d´interessi che ammazza lo Stato, peggio d´un voracissimo tumore, né quando «le Loup» aboliva pro domo sua il falso in bilancio o affatturava losche norme sulle rogatorie: è affare cosmetico l´intervento tra le quinte sul dl Cirami, inteso alla fuga da Milano; il nuovo testo risulta così vago da lasciare mano libera alla Cassazione; siamole grati d´avere deciso coraggiosamente bene. Cosa bollisse sotto, lo svela un proclama televisivo l´indomani mattina. L´uomo d´Arcore rivendica una "magnificence" e relativa immunità giurisdizionale, quali aveva Re Sole. Poi ripiega su un espediente: mentre gli avvocati perdono ringhiosamente tempo, in quel suo eloquio rotto, tra piagnisteo e minaccia, lamenta che un tribunale offenda l´onore degl´italiani giudicando chi rappresenterà l´Italia, presidente d´un semestre dell´Ue; l´idea tiene banco nei 4 mesi seguenti. Presidenza banale, da routine: vi passano tutti, grossi, piccoli, minimi; e la risposta ovvia è che tra le due figure incresciose alle quali l´avere lui a Palazzo Chigi costringe l´Italia, l´unica pulita sia assolvere o condannare l´eventuale barattiere, non nascondere le accuse strangolando i giudizi.

Era d´un oppositore sui generis l´idea del salvacondotto alle alte cariche. Quando il Tribunale emette secche condanne, la ripescano trafelati forzaitalioti e ausiliari. Stavolta il Capo dello Stato non sta alla finestra: celebra i 6 mesi quasi fossero un secondo Rinascimento; fila intese trasversali; modula accorate "suasions" affinché tutti stiano al gentleman´s agreement; dopo 45 ore dal voto firma una legge indecorosa, anzi spudorata, visto il modo in cui nasce, manifestamente invalida (che poi i consulenti fingano dubbi o addirittura la dicano richiesta dall´art. 3 Cost., perché l´autentica eguaglianza tiene conto delle diversità, è commedia buffa e se non lo fosse, sarebbe una festa ragliante); concerta il clima da cui rinascerà l´immunità parlamentare. Il tutto mentre gli elettori danno segni d´un chiaro disgusto della pirateria berlusconiana. Sia chiaro: non basta torcersi le mani in preda a tormentosi buoni sentimenti; ognuno sarà giudicato su quel che fa e omette.

I cantori sciolgono inni al "moral suasor", nemmeno avesse salvato l´Italia dalla guerra civile. L´unico a ventilarla era B., eversore a man salva. Chi lo ferma? Da Salonicco sbraita d´essere fuori del calvario (500 miliardi in avvocati, altro che quei cheap favori romani). Gli spettatori sgomenti domandano come uno possa ancora fidarsi delle regole. Ai finti liberali non ripugnano i decisionismi brutali con punte malavitose. Dopo l´immunità parlamentare, avremo un ordinamento giudiziario lambiccato dal luminare leghista, procure ministeriali, codici riscritti, lotterie penali a mano politica (garantismo europeo, blaterano gl´impudenti, augurando che, ormai libero dalle rogne personali, il padrone vi metta mano); infine la scalata al Colle. Ci vuol poco a capire l´effetto sulle midolla collettive: l´uomo medio fiuta l´aria; misura i tornaconti; vistolo vincitore impunito, trae le conclusioni adeguandosi, sebbene l´abbia visto spaventosamente inetto al banco dello statista. L´impulso mimetico è determinante nell´impasto politico. Saltano agli occhi le differenze dal 1924: allora gli uomini al potere sviluppano politiche molto criticabili ma non gangsteristiche (velleità social-fasciste temperano l´arcigno costituzionalismo antiliberale elaborato da Alfredo Rocco); adesso lievita una repubblica d´affari. L´ideologia è presto detta: che gl´italiani abbiano l´età mentale media d´11 anni; il passato sia una variabile dipendente dalle tecniche del sonno intellettuale; e chi lo manipola disponga del futuro. Insegna cose poco edificanti questa nerissima storia: che il malaffare vinca; i valori morali non paghino, anzi costino cari. Ergo, navighiamo nella corrente.

(...)Lo spazio pubblico della città, dove l'uomo è tenuto ad apparire, fruisce, per sua stessa natura, di una duplice definizione. L'una lo differenzia rispetto alla casa, luogo del riposo e del sonno, ma spazio chiuso, privato, femminile, difeso e da difendere; l'altra rispetto al “paese piatto” al “paese vuoto” della campagna, spazio aperto, ma luogo dei lavoro e della natura. Esso si impone come lo spazio dell'azione senza lavoro: luogo del rituale e della festa, del gesto e dello spettacolo, dei piaceri e dei giochi.

Luogo del rituale: non vi è città che non abbia un fondatore reale o mitico, un eroe o un personaggio santo. Che non abbia un centro al tempo stesso politico e religioso. Che non abbia una cinta presso le mura che, come il pomerium romano, la separi nettamente dalla campagna e la ponga sotto la protezione divida. Che non abbia un orientamento chiaramente leggibile: quello della sua pianta, quando è regolare, del cardo e del decumanus che si incrociano ad angolo retto; quello del suo asse di sviluppo; quello delle strade che le hanno dato origine e si formano alle sue porte, ma la con- giungono, attraverso la campagna, il deserto o il mare, ad altre città; quello dell'abside delle sue chiese o della direzione della preghiera. Ogni città desume il proprio significato e la propria realtà da un sistema di punti di riferimento. Quale che ne sia la pianta, geometrica o spontanea, la città è organizzata per gli scambi tra gli uomini: e per gli scambi, ancor più che di beni, di segni e di simboli. È raro che l'importante sia la strada, luogo di transito stretto e ingombro che le case cercano sempre di annettersi come so fosse un cortile: basta mettere fuori qualche sedia perché il barbiere vi rada i clienti e i bambini vi facciano i compiti o giochino guardati dalle donne che cuciono o lavorano a maglia. Il vero centro della vita sociale è situato altrove, nella piazza dove sfocia tutta la circolazione confusa e caotica delle viuzze.

Sempre più difesa, finché sussiste una vita collettiva, dagli sconfinamenti dei privati, la piazza è il luogo pubblico per eccellenza, una costante dell'urbanistica mediterranea, a partire dall'agorà grecae dal forum romano. La Plaza Mayor, scenario obbligato e spesso fastoso delle città spagnole. Le piazze strette, addossate al porto, delle isole greche. Piazza della Signoria o del Comune nelle città dell'Italia centrale. Grande piazza di Dubrovnik (la Placa) che si estende dal- l'una all'altra porta della città e la divide in due. É il luogo degli incontri e delle chiacchiere, delle assemblee di cittadini e delle manifestazioni di massa, delle decisioni solenni e delle esecuzioni.

All'origine semplice luogo di riunione, la piazza si circonda ben presto di portici e arcate, ripari contro il sole e contro la pioggia. Ora accoglie solo eccezionalmente il mercato, mentre riunisce intorno a sé i principali monumenti religiosi e civili, cui serve al tempo stesso da anticamera e da proscenio: il tempio di Roma e di Augusto e la curia, la cattedrale e l'antico palazzo del Podestà. E l'espressione del successo materiale e politico della città. Quando quest'ultima si ingrandisce, si suddivide e si specializza. Al disotto della Piazza Maggiore si delinea tutta una complessa gerarchia, che riproduce quella della vita sociale: una piazza per ogni quartiere, per ori comunità etnica o religiosa; una piazza anche per ogni funzione, dal mercato al culto all'assemblea; una piazza dalle dimensioni di una strada - un “corso” - lungo la quale si allineano le case dei ricchi e le botteghe di lusso e dove sfilano processioni e cortei; a ogni piazza, in- fine, la sua coloritura, aristocratica o popolare. Anche nel più piccolo borgo, però, è sempre sufficiente uno spazio, anche di modesto proporzioni, vicino alla chiesa o al municipio, con un caffè, qualche albero e un po' d'ombra, perché gli uomini vi si ritrovino tra loro e diano vita alla piazza.

Il particolare destino delle città musulmane vi ha provocato una diversa strutturazione dello spazio, facendo saltare le funzioni della piazza. Al centro della città gli uomini non hanno altro luogo di riunione che la moschea e il suo cortile, circondato di madrase, hans e bagni. Qui vengono annunciate le decisioni del potere e le preghiere recitate in nome del sovrano. La vita commerciale si è insediata nei suq e nei bazar; altre piazze, però, probabilmente le più grandi, si sviluppano alle porte della città, dove arrivano le carovane e vengono scaricati i cammelli. Viuzze, strade e piazze disegnano cosi lo spazio del piacere. Qui il gruppo dà spettacolo e si contempla. Qui gli uomini che passeggiano, chiacchierano e si attardano non vengono per lavorare. Sono usciti di notte con la loro barca da pesca, hanno passato la giornata nei campi. Oppure, come tanti mediterranei, non hanno un'occupazione regolare, lavorano soltanto pochi giorni all'anno, in attesa di un ipotetico impiego. Oppure ancora, e oggi sempre più spesso, hanno alle spalle una vita di lavoro trascorsa in America o in Germania, in Venezuela o in Australia, e sono tornati a finire i loro giorni a casa. Il tempo della città può cosi imporre il proprio ritmo, che non è quello, monotono e regolare, del lavoro, ma quello, discontinuo, del silenzio e della parola, delle lunghe discussioni che precedono qualsiasi decisione, accompagnano qualsiasi affare, commentano qualsiasi evento. E il tempo della passeggiata, del paseo. è il tempo in cui si sorbisce lentamente l”ouzo”: non si entra al caffè per bere, ma per rivestire il proprio ruolo in una società di uomini. E, infine, il tempo del gioco, che ha una così grande importanza nella vita dei mediterranei. La partita a carte, un quadro di Cézanne, una scena non meno celebre di Pagnol... Ma anche le scacchiere per il gioco della dama ritrovate sulle lastre di pietra del foro romano, gli astragali e i dadi, simbolo, con Cesare, dell'azzardo. Si giocherà dunque dappertutto, quando si è poveri in strada, ma più spesso in un luogo pubblico, al caffè o nei ritrovi all'aperto, oppure, quando si accentuano le differenziazioni sociali, al club o al circolo. Ogni città andalusa ha cosi il suo "circolo dei Lavoratori", ogni borgo siciliano i suoi circoli rivali dei “galantuomini”: un luogo che rompe la solidarietà sociale, certo, ma in cui ci si ritrova tra uguali, per conoscere e sfidarsi, perché la sfida accompagna sempre il gioco.

Certo, vi sono città industriose e indaffarato, come Barcellona, Marsiglia o Genova, oggi travolte dalla corrente di quell'economia mondiale che ieri avevano saputo dominare. Ma sono, in un certo senso, casi eccezionali. Altrove continuano a prevalere, come prevalevano nell'Atene di Pericle all'apice della sua potenza artigianale e mercantile, i valori dell'ozio: il lavoro, se non più agli schiavi, rimane comunque destinato agli altri. E la sola attività che abbia in ogni città un ruolo riconosciuto - il commercio, lo scambio di beni - tende a vivere al ritmo del tempo del piacere. Nessuno, come è noto, ha interesse a concludere un affare troppo in fretta. Vendita e acquisto, guadagno o perdita sembrano passare in secondo piano rispetto al piacere del mercanteggiamento, della discussione prolungata all'infinito, interrotta e ripresa, che si conclude solo quando i due protagonisti possono orgogliosamente felicitarsi l'un l'altro per aver condotto cosi bene il gioco.

Per quanto importante, tuttavia, vivere sotto gli occhi degli altri non potrebbe costituire di per sé un fine sufficiente. Lo spettacolo si estinguerebbe nella sua stessa gratuità se, da individuale, non diventasse collettivo. Nasce cosi l'esigenza delle grandi rappresentazioni che mobilitano il gruppo nella sua totalità, e gli consentono di provare, nel senso più completo dei termine, la sua coesione: esprimerla, verificarla, coglierne tutta la potenza, attingerne rinnovata fiducia. Tali rappresentazioni segnano i momenti culminanti della vita sociale. Nell'antichità c'erano il teatro, i giochi dei circo, le corse di carri e i combattimenti di gladiatori, la cui condanna da parte dei moralisti dell'impero romano, pur giustificata dalla loro degenerazione, ce ne fa dimenticare l'origine e la dimensione religiose. Oggi troviamo dappertutto o quasi lo sport, la corrida nell'area spagnola, le grandi feste religiose e civili che ancora si celebrano in alcune città italiane, e che testimoniano di un passato recente. In ogni caso, si tratta di spettacoli di uomini, agiti da uomini per gli uomini.(...)


Un albero, una piazza, una città Fotografia di G. Berengo Gardin Carloforte (Sicilia)

Grande pittore olandese è anche Jan Vermeer (Delft, 1632 - ivi, 1675). A parte alcuni paesaggi, dipinse interni di vita borghese, prediligendo le scene domestiche più comuni, i piccoli avvenimenti della giornata di una donna. La sua caratteristica è quella di rendere la tranquillità dell'atmosfera da cui è circondato, con poche figure, spesso una sola, intenta alla lettura o a occupazioni casalinghe. Egli rappresenta con precisione la realtà. La tecnica è molto raffinata: colori inediti giocati sull'accostamento di toni caldi e freddi, una materia ora traslucida ora untuosa che rende l'impressione dell'oggetto, la pennellata è spesso in piccole gocce per rendere la superficie e la riflessione di luce. Caratteristica è la fonte luminosa che vivifica gli interni. Infatti nei suoi quadri c'è qualcosa di vibrante, che rende vivo l'ambiente pacato e silenzioso ove vivono le figure (la luce che penetra da una finestra, posta per lo più a sinistra o fuori dell'inquadratura. Una luce morbida, resa con piccole pennellate punteggiate).

http://www.globalarte.it/storia/vermeer.htm

(Delft 1632 - 1675)

Figlio di un mercante d'arte, Vermeer si formò a contatto con le opere antiche e dipinse per pochi intimi. Ritrasse soprattutto scene di vita domestica, spesso le attività quotidiane. La composizione delle scene è semplice: lo spazio è definito da pochi piani e da una luce intensa e radente; le diverse zone di colore sono usate in modo da contrapporre toni caldi a toni freddi. Il risultato finale è un'immagine che evoca il senso del mistero e una sorta di attesa che ci trasmette una straordinaria ricchezza emotiva. Dimenticato per circa 200 anni, Vermeer fu riscoperto nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Oggi è considerato uno dei più grandi maestri della pittura olandese.

http://www.educazionealimentare.net/at060000h.htm

Questo disegno è di Lily He, figlia di Quinsan Ciao, una collega che insegna alla Virginia Tech. Lily è nata nel 1990; come vedete, è molto brava.

This design was paint by Lily He, the daugter of Qinsan Ciao, a collegue that teaches at Virgina Tech university. Lily was borne in 1990; as you can see, she is very skilful


L'anno scorso un mio amico ha effettuato l'upgrade da Fidanzata 6.0 a Moglie 1.0, ed ha scoperto che quest'ultima ha una tale occupazione di memoria da lasciare pochissime risorse al sistema per altre applicazioni. Egli ha anche notato che Moglie 1.0 ha la tendenza a generare processi-figli, che consumano ulteriori risorse.

Vi è inoltre un fenomeno negativo, non indicato nella documentazione del prodotto, la cui probabile presenza era stata ravvisata da altri utenti. Non solo infatti, Moglie 1.0 si installa in modo tale da essere lanciata per prima all'inizializzazione, e controllare così tutte le attività del sistema; ma inoltre, come lui ha avuto modo di scoprire, alcune applicazioni come PokerNotturno 10.3, Ubriacatura 2.5 e NotteAlPub 7.0 non riescono più a partire, mandando in stallo il sistema appena lanciato, anche se esse funzionavano perfettamente prima dell'installazione di Moglie 1.0. L'Applicazione Calcetto 2.2 inoltre funziona a tratti.

All'installazione, Moglie 1.0 installa anche alcuni "Plug-in" indesiderati come Suocera 55.8 e Cognato in versione Beta. Di conseguenza le prestazioni del sistema decadono inesorabilmente con il passare del tempo.

Ecco alcune caratteristiche che sarebbero gradite nella versione 2.0 di Moglie. 1) un pulsante "minimizza" o "Disabilita Temporaneamente"; 2) un pulsante "Dacci un taglio" o "vatti a fare un giro"; 3) un programma di disinstallazione che, senza perdita di tempo e di risorse, permetta di rimuovere Moglie 1.0 senza conseguenze future sulla funzionalità del sistema. 4) un'opzione che consenta di far funzionare il gestore di rete in maniera promiscua, e che consentirebbe di fare un uso maggiore della funzionalità di prove hardware.

Personalmente per evitare i problemi causati da Moglie 1.0, ho deciso di installare piuttosto Ragazza 2.0. Anche così comunque ho avuto parecchi problemi. Apparentemente è impossibile installare Ragazza 2.0 su Ragazza 1.0; occorre prima disinstallare quest'ultima. Altri utenti mi hanno detto che si tratta di un bug di vecchia data. Da prove effettuate mi sembra che versioni di Ragazza entrino addirittura in conflitto nella gestione delle porte di I/O. È strano che non abbiano ancora corretto un errore cosi' evidente. Cosa ancora peggiore, il programma di disinstallazione di Ragazza 1.0 non funziona bene, lasciando alcune "fastidiose tracce" nelle applicazioni di sistema. Ma il fatto piu' fastidioso è che tutte le versioni di Ragazza aprono continuamente una finestra che decanta i vantaggi del fare l'upgrade a Moglie 1.0.

AVVISO DI BUG (questo è veramente grandioso)

Moglie 1.0 ha un bug non documentato. Se si prova ad installare Amante 1.1 prima di disinstallare Moglie 1.0, Moglie 1.0 cancella, senza possibilità di recupero i file Soldi.dll e Casa.dll prima di effettuare l'autodisinstallazione. Quindi Amante 1.1 si rifiuterà di installarsi, segnalando la mancanza di risorse di sistema.

Allora Giuliano Ferrara si è convertito? É tornato a sinistra con i compagnetti di gioventù? Che ne pensa lei, dottor Scalfari? Sarà contento.

Questo piccolo-grosso ribaltone è anche una sua vittoria. Dirà o penserà che i topi cominciano ad abbandonare la nave che affonda. Prima Sgarbi, poi Cirino Pomicino, adesso anche il nostro Elefantino.

Via, la questione Sofri è solo un pretesto o nel migliore dei casi un'occasione. A me non piacciono i voltagabbana e perciò non mi sento di far festa, anzi. Considero la conversione a sinistra di Giuliano Ferrara un brutto segnale per la destra e uno ancora più brutto per la sinistra. E lei?

SILVIO MAZZEI Roma

Io, signor Mazzei, ho la mia opinione su Ferrara e l'ho espressa più d'una volta anche in questa rubrica di lettere e sull'Espresso. Perciò non starò a ripeterla. Ma nella fattispecie di questo piccolo-grosso ribaltone, per usare le sue parole, mi limiterò a raccontarle una barzelletta di buona qualità che mi pare sia eccellente metafora per il caso in questione.

Il figliol prodigo torna finalmente alla casa del padre dopo un lungo periodo di scioperataggine e il padre è in festa e prepara le dovute accoglienze. Il vitello grasso viene a sapere la notizia e se ne preoccupa. Teme che finisca come in altre analoghe occasioni con la macellazione del più saporoso animale della fattoria; perciò decide di scappare. Avvisa le altre bestie della stalla e se ne va. Ma poi è assalito da altri pensieri. Perché andarsene? Il suo destino è comunque segnato, lì o altrove finirà comunque al mattatoio. Tanto vale che sia laddove è nato, in mezzo ai suoi parenti e amici. Perciò torna indietro. Quando è di nuovo sulla soglia della stalla si sente una voce gridare: è tornato il vitello grasso! Risponde da lontano un'altra voce: ammazzate il figliol prodigo. Fine della barzelletta.

Ci rifletta su, signor Mazzei, ma non faccia l'errore di identificare Ferrara coi vitello grasso per via delle dimensioni.

A young man, kind of a skinhead, had started to work on a farm. The boss sent him to the back fourty to do some fencing work, but come evening he's half an hour late. The boss gets on the CB radio to check if he's all right.

"I've got a problem, Boss. I'm stuck 'ere. I've hit a pig!"

"Ah well, these things happen sometimes," the boss says. "Just drag the carcass off the road so nobody else hits it in the dark."

"But he's not dead, boss. He's gotten tangled up on the bull bar, and I've tried to untangle him, but he's kicking and squealing, and he's real big boss. I'm afraid he's gonna hurt me!"

"Never mind," says the boss. "There's a .303 under the tarp in the back. Get that out and shoot him. Then drag the carcass off the road and come on home."

"Okay, boss."

Another half an hour goes by, but there's still not a peep from the kid. The boss gets back on the CB. "What's the problem, son?"

"Well, I did what you said boss, but I'm still stuck."

"What's up? Did you drag the pig off the road like I said?"

"Yeah boss, but his motorcycle is still jammed under the truck."

Il Presidente G. Bush vuole aumentare la sua popolarità e per questo và in una scuola elementare ad illustrare il programma del suo governo e poi invita i bambini a porre delel domande di chiarimento.

Il piccolo Bob alza la mano e dice:

-Presidente, ho tre domande da porle:

1. perché Lei pur avendo perso le elezioni in termini quantitativi è stato nominato Presidente?

2. è convinto che la bomba di Hiroshima sia stato il peggior attacco terroristico della storia dell’umanità?

3. perché vuole attaccare l’Iraq senza motivo?

In quel momento suona la campana della ricreazione e tutti i bambini escono. Al rientro il Presidente invita nuovamente i bambini a porre altre domande.

Il piccolo Joy alza la mano e dice:

-Presidente ho cinque domande da porle:

perché Lei pur avendo perso le elezioni in termini quantitativi è stato nominato Presidente?

2. è convinto che la bomba di Hiroshima sia stato il peggior attacco terroristico della storia dell’umanità?

3. perché vuole attaccare l’Iraq senza motivo?

4. perché la campanella della ricreazione ha suonato venti minuti prima?

5. Dov’è Bob?

Risuona la campana….

A man was crossing a road one day when a frog called out to him and said, "If you kiss me, I'll turn into a beautiful princess."

He bent over, picked up the frog, and put it in his pocket.

The frog spoke up again and said, "If you kiss me and turn me back into a beautifull princess, I will be your loving companion for an entire week."

The man took the frog out of his pocket, smiled at it, and returned it to his pocket.

The frog then cried out, "If you kiss me and turn me back into a princess, I'll stay with you for a year and do ANYTHING you want."

Again the man took the frog out, smiled at it, and put it back into his pocket.

Finally, the frog asked, "What is the matter? I've told you I'm a beautiful princess, that I'll stay with you for a year and do anything you want. Why won't you kiss me?"

The man said, "Look, I'm a Software Engineer. I don't have time for a girlfriend, but a talking frog is cool."

© 2025 Eddyburg