Il punto di partenza fu, nell’estate del 1994, il restauro e poi la pedonalizzazione di piazza del Plebiscito. Giornali, intellettuali, esperti di mobilità, esponenti politici di destra e di sinistra, tutti sostanzialmente contrari, previdero il traffico impazzito e la città in rivolta. Fu invece un trionfo, la piazza era un incanto, diventò lo sfondo preferito per le foto ricordo, e si cominciò a parlare di rinascimento. Ma il simbolo più forte della nuova Napoli fu il progetto per la trasformazione dell’area ex industriale di Bagnoli, circa 200 ettari, ai piedi della collina di Posillipo, di fronte all’isola di Nisida. Un luogo di suprema bellezza, noto dalla più remota antichità, carico di storia e di significati, collocato proprio al centro della sterminata area metropolitana che si estende da Caserta a Salerno e oltre, quasi ne fosse l’ombelico. La scelta di fondo fu di restituire la spiaggia alla balneazione (com’era stato prima dell’industria) e di destinare la maggior parte della superficie disponibile a un grande parco pubblico, anche con l’intento di rendere evidente l’avvio del riscatto della città–simbolo della speculazione, mostruosamente cresciuta nel dopoguerra, senza spazio per respirare, solo cemento e asfalto. Oltre al parco, molto limitate previsioni di attività ricettive, per la cultura, la ricerca scientifica, residenze e servizi, un porto turistico per circa 350 posti barca.
Tutto ciò fu oggetto di un’apposita variante urbanistica approvata nel 1998 e di un successivo piano attuativo. La realizzazione fu affidata a una società di trasformazione urbana formata ad hoc, la Bagnoli futura che, in effetti, finora ha concluso ben poco. L’unica opera condotta a termine è la spettacolare, e subito frequentatissima, passeggiata a mare ottenuta dalla trasformazione del pontile dove attraccavano le navi che scaricavano le materie prime per la produzione dell’acciaio. Ci saranno sicuramente ragioni che spiegano i ritardi, legati soprattutto ai finanziamenti e alle complicate procedure per la bonifica, ma non riesco a sottrarmi al convincimento che ci sia dell’altro. E cioè che 120 ettari di parco siano considerati uno spreco, un vuoto insopportabile, un insulto al valore assoluto rappresentato dai volumi edificabili. Se ne sono lette e sentite di tutti i colori, che un’area così bella non può non essere intensamente utilizzata, che il portafogli viene prima del verde, che il comune non avrà mai le risorse per un parco così vasto (non mi stanco mai di ripetere che il comune di Ferrara gestisce benissimo la sua “addizione verde”, un parco dieci volte più grande di quello di Bagnoli). In sostanza, secondo me, si cerca e si aspetta l’occasione buona per rimettere tutto in discussione. Come fu al tempo della Coppa America, nel 2003, quando Napoli partecipò alla gara, poi vinta da Valencia, per ospitare l’importante manifestazione velistica: i piani urbanistici furono considerati carta straccia e si scatenarono i peggiori istinti cementiferi. Da allora, opinionisti, industriali, economisti, architetti, politici in lista d’attesa, continuano a proporre alternative, infischiandosene delle decisioni e delle prerogative dell’amministrazione comunale, che peraltro sembra poco interessata. L’ultimo a intervenire è stato Vincenzo De Luca che ha proposto, da candidato alla presidenza della regione Campania, di impiantare nel parco di Bagnoli un campo da golf, non servono commenti. E adesso esplode lo scandalo dei pini insensatamente abbattuti dalla Bagnoli futura, di cui ha trattato il Corriere del Mezzogiorno ripreso ieri da eddyburg. Insomma, l’impresa pubblica il cui precipuo fine sociale sarebbe la realizzazione di un grande parco verde comincia la sua opera con la distruzione del verde esistente. Una vicenda inverosimile, vertiginosa. (Mi ha ricordato un’altra storia paradossale, quella raccontata da Letizia Battaglia, la nota fotografa palermitana, quando era assessore ai giardini del comune di Palermo, sindaco Leoluca Orlando. Le fu sottoposto un progetto che prevedeva di spiantare l’agrumeto del parco della Favorita, per sostituirlo con ilmuseo dell’agrumeto.)
Qui adesso interessano molto poco gli argomenti addotti dalla Bagnoli futura nel tentativo di salvarsi. Che l’abbattimento degli alberi fosse imposto per ragioni di bonifica, che sia o no previsto dal piano attuativo, non mi pare che abbia importanza. Conta la verità dei fatti: il parco di Bagnoli, che dovrebbe essere aperto ai cittadini da almeno un lustro, ancora non c’è (e i napoletani continuano ad affollare gli esigui spazi della villa comunale). Va avanti invece la realizzazione di opere edilizie, di cui non si avverte l’urgenza e, per favorirle, si elimina il verde esistente.
Ce n’è abbastanza perché il comune di Napoli intervenga liberandosi finalmente di una compagine inadeguata e incapace.