La Repubblica, 19 novembre 2015
Certo, gli attentati terroristici di venerdì 13 a Parigi vanno condannati senza riserve, ma... bando alle scuse, vanno condannati davvero, quindi non basta il patetico spettacolo di solidarietà di tutti noi (persone libere, democratiche, civili) contro il Mostro musulmano assassino. Nella prima metà del 2015, a preoccupare l’Europa erano i movimenti radicali di emancipazione (Syriza, Podemos) mentre nella seconda l’attenzione si è spostata sulla questione “umanitaria” dei profughi — la lotta di classe è stata letteralmente repressa e rimpiazzata dalla tolleranza e dalla solidarietà tipiche del liberalismo culturale.
Ora, dopo le stragi del 13 novembre, questi concetti sono stati eclissati dalla semplice opposizione di tutte le forze democratiche, impegnate in una guerra spietata contro le forze del terrore — ed è facile immaginarne gli esiti: ricerca paranoica di agenti Is tra i rifugiati. I più colpiti dagli attentati di Parigi saranno i rifugiati stessi e i veri vincitori, al di là degli slogan stile je suis Paris, saranno proprio i sostenitori della guerra totale da entrambe le parti. Ecco come condannare davvero le stragi di Parigi: non limitiamoci alle patetiche dimostrazioni di solidarietà, ma continuiamo a chiederci a chi giova. I terroristi dell’Is non vanno “capiti”, vanno considerati per quello che sono, islamofascisti, in antitesi ai razzisti europei anti-immigrati, due facce della stessa medaglia.
Ma esiste un ulteriore aspetto che dovrebbe farci riflettere — la forma stessa degli attentati: un estemporaneo, brutale, sconvolgimento della normale quotidianità. Questa forma di terrorismo, una turbativa momentanea, è caratteristica soprattutto degli attentati nei paesi occidentali sviluppati, in contrasto con paesi del Terzo Mondo in cui la violenza è realtà permanente. Pensiamo alla quotidianità in Congo, Afghanistan, Siria, Iraq, Libano... quando mai si manifesta solidarietà internazionale di fronte a qualche centinaio di morti in questi paesi? Dovremmo ricordarci ora che noi viviamo in una “sfera” in cui la violenza terrorista esplode di quando in quando, mentre altrove (con la complicità occidentale) la quotidianità è terrore e brutalità.
I recenti attentati terroristici a Parigi al pari del flusso dei profughi, sono per noi un momentaneo promemoria del mondo violento al di fuori della nostra sfera, un mondo che in genere vediamo in televisione, remoto, distante, non come parte della nostra realtà. È per questo che è nostro dovere acquisire piena consapevolezza della violenza brutale che impera fuori dalla nostra sfera, non solo violenza religiosa, etnica e politica, ma anche violenza sessuale. Nella sua straordinaria analisi del processo Pistorius, Jacqueline Rose indica che l’omicidio della fidanzata va interpretato nel complesso contesto della paura che i bianchi nutrono nei confronti della violenza dei neri nonché della terribile e diffusa realtà della violenza contro le donne: «Ogni quattro minuti in Sudafrica una donna o una ragazza, spesso adolescente, talvolta bambina — è vittima di stupri denunciati e ogni otto ore una donna viene uccisa dal compagno». In Sudafrica questo fenomeno ha un nome: “femminicidio seriale”.
È un aspetto che non deve essere assolutamente considerato marginale: da Boko Haram e Mugabe fino a Putin, la critica anticolonialista dell’Occidente si configura sempre più come rifiuto della confusione “sessuale” occidentale e richiesta di tornare alla tradizionale gerarchia sessuale. Sono ben consapevole che l’esportazione non mediata del femminismo occidentale e dei diritti umani individuali può fare il gioco del neocolonialismo ideologico e economico (ricordiamo tutti che alcune femministe americane hanno appoggiato l’intervento statunitense in Iraq come mezzo per liberare le donne locali, con il risultato esattamente opposto). Ma in ogni caso assolutamente rifiutare di trarne la conclusione che gli occidentali di sinistra dovrebbero scendere a un “compromesso strategico” tollerando in silenzio “il costume” di umiliare le donne e gli omosessuali a beneficio della lotta anti-imperialista.
Quindi torniamo alla lotta di classe e l’unico modo per farlo è ribadire la solidarietà globale degli sfruttati e degli oppressi. Senza questa visione globale la patetica solidarietà alle vittime di Parigi è un’oscenità pseudo-etica.
© Slavoj Zizek Traduzione di Emilia Benghi