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Marco Palombi
Welfare? Il governo annuncia una legge per togliere i sussidi ai cittadini europei con meno di 5 anni di contratti in Germania
29 Aprile 2016
Democrazia
Esistono muri che non sono fatti di mattoni o filo spinato. «Berlino anticipa Londra: lavoratori dell’Ue discriminati».
Esistono muri che non sono fatti di mattoni o filo spinato. «Berlino anticipa Londra: lavoratori dell’Ue discriminati».

Il Fatto Quotidiano, 29 aprile 2016 (p.d.)

La porta aperta dalla trattativa tra Gran Bretagna e Unione Europea è stata imboccata per prima dalla Germania: i lavoratori comunitari, infatti, saranno discriminati rispetto ai colleghi tedeschi nell’accesso ai sussidi sociali. La ministro del Lavoro Andrea Nahles - che, per quanto vale, è socialdemocratica, il lato sinistro della Grande Coalizione - ha annunciato ieri che in tempi brevi porterà in Consiglio dei ministri una proposta sul tema: “Lo avevamo annunciato a dicembre”, ha spiegato, per colmare “le lacune interpretative” sull’accesso agli aiuti dello Stato nati dalla sentenza di una Corte sociale federale. I giudici, infatti, avevano stabilito che i cittadini dell’Unione che cercano lavoro in Germania possono accedere ai sussidi (ma non a quello di disoccupazione) dopo sei mesi di permanenza nel Paese: la sentenza aveva preoccupato assai le istituzioni locali, Comuni in testa, che temevano per la tenuta dei loro bilanci. Niente paura: interviene il governo, che fa pure un passo più in là.

In futuro, secondo il progetto del ministro Nahles, i cittadini comunitari saranno esclusi dalle prestazioni garantite dal cosiddetto pacchetto “Harz-IV”- le riforme del lavoro approvate dai governi Schroeder e Merkel - che include peraltro il sussidio di disoccupazione. Niente aiuti sociali poi (supporto per l’affitto, l’asilo dei figli e quant’altro) se non hanno un lavoro in Germania e non hanno maturato il diritto all’assicurazione sociale, che si acquisisce dopo 5 anni di lavoro senza aiuti dallo Stato. La cosa non è senza effetti in particolare nel sistema tedesco: il pacchetto di “aiuti” contenuto nel pacchetto Hartz, infatti, serve a controbilanciare gli effetti di una riforma del lavoro particolarmente penalizzante per i lavoratori.

Si rivolge, in particolare, ai cosiddetti mini-jobber, persone che pur lavorando - e costando quasi nulla in tasse alle imprese - non possono mettere in tasca 900 euro al mese: l’impresa può così abbassare il costo del lavoro, ma il dipendente rischia di fare la fame, soprattutto perché questo genere di mini-lavori sono spesso discontinui. E qui arrivano i sussidi: non solo quello di disoccupazione (equivalente alla nostra Naspi e che vale 391 euro al mese), a anche il sostegno alle spese di affitto, per i figli o i famliari a carico, eccetera fino a colmare la distanza col reddito considerato minimo (un po’meno di 1.500 euro). Può sembrare un’ottima cosa, ma questo sistema è in sostanza un enorme aiuto di Stato alle imprese (per abbassare il costo del lavoro) mascherato da welfare.

I benefici concessi ai lavoratori comunitari nel progetto Nahles, alla fine, sono condizionati a durata e resistenza nel mercato del lavoro tedesco e a una sorta di primo soccorso: un sostegno all’arrivo, che non potrà superare le quattro settimane, per coprire vitto e alloggio. Porte a perte per chi se ne vuole andare: un prestito per quelli che vogliono tornare nei Paesi d’origine.

La platea interessata non è affatto piccola. Secondo l’Agenzia federale del lavoro, riportava ieri l’A ns a, sono 440.000 i cittadini dell’Unione europea che ricevono al momento in Germania prestazioni sociali dallo Stato (su un totale di sei milioni di percettori): in numeri assoluti, il gruppo più esteso è costituito dai polacchi (92.000) seguiti da italiani (71.000), bulgari (70.000), rumeni (57.000) e greci (46.000). In termini percentuali, rispetto alle presenze in Germania, ai primi posti ci sono bulgari e rumeni.

L’idea del governo tedesco è di bloccare quei migranti interni all’Unione europea che si muovono - ha sostenuto la ministro tedesca - solo per beneficiare del welfare tedesco: questa pratica va fermata, disse, per salvare il sistema. Se il progetto è questo, però, si va parecchio più in là del tentativo di fermare “l’emigrazione del sussidio”e si introduce una discriminazione piena tra lavoratori tedeschi e lavoratori di altri stati Ue: il significato dell’Unione europea come viene raccontata - fratellanza, solidarietà, etc - corrisponde sempre meno al suo effettivo dispiegarsi nella vita dei suoi cittadini.

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