«Le condizioni di salute dell'intero territorio sono al primo posto: un precedente fondamentale per tutti i territori e le città che vivono ancora in condizioni di grave pericolo per la salute umana».
Il manifesto, 4 giugno 2013
Una sentenza esemplare quella emessa dalla Corte di appello di Torino per il disastro ambientale dell'Eternit. Il responsabile della multinazionale franco-svizzera Stephan Schmidheiny, riconosciuto colpevole di disastro ambientale doloso, ha visto aumentare la condanna da 16 anni di reclusione, in primo grado, a 18. Nella sentenza i giudici hanno esteso la responsabilità dell'imputato non soltanto ai siti produttivi piemontesi, dove è avvenuto il maggior numero delle 2.800 vittime, ma anche a quelli di Bagnoli e Rubiera.
Sono due motivi che rendono eccezionale la sentenza. In primo luogo si riconosce il danno verso l'intera popolazione e non soltanto per gli operai che lavoravano nelle fabbriche. Ci sono stati morti non solo tra le maestranze ma anche tra i loro familiari e l'intera la popolazione. La tutela della salute di tutti a prescindere dalle condizioni soggettive di dipendenza da questa o quella fabbrica è stata riconosciuta come un diritto assoluto. Non si può che festeggiare per l'importanza di questa posizione. Sarà più difficile -anche se non mancheranno nel futuro tentativi di sfuggire alle responsabilità- inquinare, provocare morti, malattie e invalidità. Le condizioni di salute dell'intero territorio sono al primo posto: un precedente fondamentale per tutti i territori e le città che vivono ancora in condizioni di grave pericolo per la salute umana.
Per il secondo motivo, quello relativo al risanamento dei danni provocati dall'inquinamento ambientale, quantificati dalla Corte in 30,9 milioni in favore di Casale e 20 in favore della regione. dobbiamo fare un piccolo passo indietro. Alla fine del 2011 il sindaco di Casale Monferrato, città che conta circa 1.800 morti su circa 36 mila abitanti, aveva accettato di ritirare la costituzione di parte civile al processo d'appello in cambio di una somma di denaro che -così si affermò- sarebbe servita per le bonifiche ambientali. L'offerta di Schmidheiny era pari a 18,3 milioni e dopo una gigantesca protesta organizzata il 7 gennaio del 2012 dall'associazione dei familiari delle vittime, il comune fece marcia indietro dichiarandola irricevibile.
Se non fossimo davanti ad una tragedia di proporzioni inaudite potremmo misurare il danno che avrebbe avuto la popolazione se quel pavido atto fosse stato confermato. Ma la vicenda ci porta invece ad affrontare la questione di fondo che c'era dietro l'iniziale accettazione del risarcimento: si disse infatti che era una strada obbligata, visto che a causa dei selvaggi tagli alla spesa pubblica non c'erano soldi per compiere le bonifiche. La strada invece c'era: quella di rivendicare rigorosamente i diritti collettivi. Bene ha fatto la popolazione di Casale a non demordere e la loro lotta di civiltà ha aperto la strada per ulteriori azioni non solo contro chi inquina, ma anche contro chi continua a demolire il welfare urbano sulla base delle ricette liberiste. I soldi, infatti, ci sono: problema è che vengono sperperati nel calderone delle grandi opere inutili. Davvero una sentenza storica.